Anti-Hardcore 1982-1986

Chi legge di musica (e se siete qui siete fra questi) si imbatte spesso in generi mai sentiti nominare. Ad esempio sfogliando le pagine del leggendario libro “American Punk Hardcore” di Steven Blush troviamo un paio di trafiletti dedicati ai gruppi “anti-hardcore”. Una definizione che in realtà non è mai stata codificata ma che riassume una corrente di band che prendevano le distanze dall’hardcore del periodo. Nel libro, che è considerato il “più bello, documentato e completo che sia mai uscito sulla scena hardcore punk americana”, in più di 400 pagine vengono dedicate solamente 8 righe a quello che in realtà fu un fenomeno importantissimo, conosciuto solo dai più attenti e amato da pochi.

Ci sono stati alcuni grandi gruppi antihardcore, Flipper, No Trend, Negativland, Frantix, Culturcide. A me interessavano perchè spostavano in avanti il discorso. Nell’84 ascoltavo i No Trend e dell’hardcore non me ne fregava più un accidente. Era diventato vecchio, dopo un po’.

Al Flipside

Spulciando libri, interviste e recensioni è difficile trovare altri riferimenti all’antihardcore. Fa eccezione un’intervista a Kurt Cobain del 1992 per Select.

Conobbi questo ragazzo, Buzz Osborne, che suonava nei Melvins. Un giorno mi fece una compilation in cassetta che mi convertì al punk istantaneamente. Quel giorno mi rasai i capelli e comprai un paio di stivali da battaglia. Erano gli anni 80 ed eravamo influenzati da un sacco di… stronzate underground. L’hardcore in realtà non mi è mai piaciuto. Ai tempi per fare i punk ascoltavamo band anti hardcore come Flipper, Butthole Surfers e Scratch Acid.

L’anti-hardcore non è una scena, non è uno stile ma un’attitudine mentale che darà vita a tre grossi filoni che si svilupperanno negli anni 90: il noise rock, il grunge e lo sludge. Le band “anti hardcore” portavano avanti il concetto di indipendenza e do it yourself ma senza le “menate” politiche e i dogmi filosofici. Erano più introspettive e alienate, più impegnate a sconfiggere i propri demoni che a provare a cambiare il mondo.

I muri della mia vita mi stanno crollando addosso / sto correndo ma non posso nascondermi / missà che proverò il suicidio / non riesco a respirare / non sto scherzando, fa male

Butthole Surfers, Suicide

“Suicide” dei Butthole Surfers è un brano a suo modo seminale: poco più di due minuti di follia sparata a folle velocità sull’ignaro pubblico punk, generalmente più abituato a ragionare da branco che a porsi domande interiori.

Pensi di essere unico / Pensi di essere da solo / Non hai mai imparato a pensare da solo / L’unica tua preoccupazione nell’esistenza / E’ quella di essere accettato dalla massa

No Trends, Kiss Ass To Your Peer Group

Se vi siete chiesti perchè nei primi anni 90 le band “grunge” avessero testi “lamentosi” eccovi la risposta: erano figlie dei gruppi antihardcore, in un certo senso la versione depressa dell’hardcore.

Il 1983 fu un anno di svolta per il genere. Erano passati quasi 5 anni dall’esordio dei Germs, dai primi singoli di Fear, Dead Kennedys e Black Flag. Pubblico e musicisti, dopo l’abbuffata iniziale, iniziarono ad essere saturi, o semplicemente più grandi e “maturi”. Nel 1978 i pionieri del genere erano adolescenti e in quei primi 5 anni diedero tutto quello che potevano, vivendo l’hardcore come vero e proprio stile di vita. La spinta iniziale non si era esaurita, anzi, a partire dal 1981 il genere conquistò ogni parte del pianeta in un fiorire di gruppi che ancora oggi non si è esaurito. Ma, come in tutte le cose, ci furono anche persone che vollero andare oltre. A livello di tematiche, a livello sonoro. Anche, semplicemente, per essere più punk degli altri.

I più noti “traditori” furono i pluri citati Black Flag, con il disco “My War” di cui vi abbiamo parlato in questo articolo. Ma un paio di anni prima furono i Flipper a creare la prima grossa frattura nel genere grazie all’album “Generic”, disco che fu seminale anche per la nascita dello sludge (ve ne abbiamo parlato qui). “My War” e “Generic” furono la punta dell’iceberg di un fenomeno di ribellione ai dogmi hardcore che limitavano la libertà e lo sviluppo di nuove idee. Ancora oggi certi dischi vengono guardati con sospetto dalla comunità “punk”: troppo artistoidi e rumorosi, poco divertenti e/o poco impegnati.

Dare testate contro un muro risolverà definitivamente i miei problemi?

Black Flag, Beat My Head Against The Wall

Tra i primi sperimentatori in campo “punk” troviamo i Negativland, il cui nome fu rubato dai krautrockers Neu. La loro musica è un collage di suoni, rumori, musiche, dialoghi riassemblati con umorismo, satira, naivete. I loro dischi sono un’avventura sonora di difficile catalogazione, vicini a certi esperimenti dei Residents. Eppure nel 1987 conquistarono un contratto con la SST di Greg Ginn, chitarrista e mente dei Black Flag con cui pubblicheranno una manciata di album. Ovviamente non c’è niente di hardcore nel sound dei Negativland, ma non c’è nessun genere che possa descriverli.

Anche i Saccharine Trust appartenevano alla scuderia SST e furono “scoperti” dagli amici Minutemen. Benchè il primo EP “Paganicons” (1981) sia citato nella famosa lista dei 50 dischi preferiti da Kurt Cobain, i successivi lavori sono molto più interessanti: in “Surviving You, Always” (1984) inventano il sound post-hardcore matematico e il jazzcore fatto di dissonanze, scale sbilenche, tempi storti e idee strampalate. Il successivo “Worldbroken” (1985) vede la band persa in un delirio psichedelico/free registrato dal vivo. Saccharine Trust dividevano le serate con Black Flag e Minutemen ed erano sempre quelli che aprivano i concerti. A sentire queste registrazioni per molti deve essere stata la cosa più interessante della serata, per altri la peggiore. Nel 1986 pubblicarono “We Became Snakes”, in cui l’anima free si sposa perfettamente con il punk, l’hardcore, il noise rock e la fusion. Un disco unico. Se amate la svolta freakettona dei Black Flag post-My War non potete perderli. E’ un crimine che non vengano citati assieme ai grandi del periodo.

Tra i gruppi “punk strani” che contribuiranno alla nascita dell’antihardcore è doveroso nominare i Wipers da Portland, capitanati dal talentuoso chitarrista Greg Sage. I loro dischi vengono citati fra i principali ispiratori del sound alternative rock, avendo fatto da ponte tra Velvet Underground, Television, Jim Carrol e Dinosaur Jr, Sonic Youth, Nirvana, Slint. Il punk dei Wipers è sbilenco, percorre sentieri impervi, alienanti e a tratti stupefacenti grazie a dei crescendo emozionali di rara intensità. I primi tre dischi “Is This Real?” (1979), “Youth Of America” (1981), “Over The Edge” (1983) andrebbero insegnati a scuola.

Non voglio nascere qui di nuovo / Amico, questa non è un’esistenza

Wipers, Youth Of America

Non sono americani nè hardcore ma meritano una citazione per il loro mood “anti tutto” autodistruttivo: gli australiani Birthday Party, capitanati da un giovanissimo e irruento Nick Cave, polemico verso qualsiasi cosa gli capitasse a tiro. “Prayers on Fire” del 1981 è un capolavoro di post punk di scuola Stooges, senza dubbio ascoltato e amato dai Flipper, che ne rappresentano in un certo senso la risposta americana.

Nati dalle ceneri dei Negative Trend (un solo EP pubblicato nel 1978 di anthemico punk rock), i Flipper di San Francisco esordirono nel 1982 con il singolo “Love Canal / Ha Ha Ha” rumorosissimi e ipnotici brani di alienazione e noia che diverranno dei piccoli classici tra i fan. Lo stesso anno pubblicarono “Generic” fondamentale pietra miliare della musica, non solo punk.
Ted Falconi alla chitarra, Steve DePace alla batteria, Bruce Loose e Will Shatter entrambi voce e basso, mettono in scena una inquietante jam fra Stooges, Joy Division, Germs, Birthday Party e Velvet Underground. E’ la prima volta che il punk e l’hardcore subiscono un netto rallentamento di bpm, in un periodo in cui le band erano sempre più frenetiche, i Flipper dimezzarono la velocità, inserirono quintali di rumore e testi pieni di autentico disagio metropolitano. E’ una rivoluzione. Le ipnotiche “I Saw You Shine” e “Sex Bomb” durano in media 8 minuti e sono l’apice sonoro di un disco fra i più importanti di sempre.

Due anni dopo pubblicarono “Gone Fishin'”, disco decisamente meno citato rispetto a “Generic” ma altrettanto sballato. E’ la prova che il sound della band è “troppo” e che se già fu arduo affrontare il primo, il secondo proprio non ci voleva. Eppure “Gone Fishin” è poco minore del fratello più grande. Il basso detta legge sopra a strati di chitarre rumorose prive di melodia, la voce disturbante, suoni su suoni che vanno e vengono: si dice che i PIL abbiano preso da Generic l’idea per il loro “Album” ma anche dal punto di vista sonoro la band di Lydon ha rubato parecchio. E non solo loro: Big Black, Melvins, Scratch Acid si sentono fra i solchi di “Gone Fishin”, il seguito di “Generic” che nessuno ebbe il coraggio di chiedere ma che i Flipper ci diedero lo stesso. I Flipper si “vendicarono” con i PIL pubblicando nel 1985 il live “Public Flipper Limited”, contenente registrazioni dal vivo tra il 1980 e il 1985. Nel 1992 furono addirittura prodotti da Rick Rubin nell’album “American Grafishy”, uscito per l’American. Con una formazione dilaniata da morti e un vissuto ai margini, nel 2009 si rifecero vivi con “Love” per ricordare alle nuove generazioni da dove viene il male di vivere in musica. Attualmente sono in tour con David Yow dei Jesus Lizard e Mike Watt dei Minutemen.

Doveroso segnalare la band di passaggio fra i Negative Trend e i Flipper: Toiling Midget, che vedeva in formazione anche Ricky Williams  dei Crime e degli Sleepers (da cui si formeranno i Tuxedomoon). Nel 1982 pubblicano l’inafferrabile “Sea Of Unrest”, il cui sound è una sorta di David Bowie in versione free noise. Con la fondazione dei Flipper e rimasto solo Ricky Williams, la band pubblicò un altro disco con diversa formazione “Dead Beats” (1985) e un terzo con addirittura Mark Eitzel, leader degli American Music Club intitolato “Son” e pubblicato nel 1992.

Il Texas è sede di alcune delle più folli band di sempre (ci siamo occupati in queste pagine di Roky Erickson, della label Trance Syndicate e della scena megapsichedelica di Houston) e non a caso è il luogo da dove vengono i Culturcide. Formati nel 1979 e ispirati dai Throbbing Gristle l’anno dopo pubblicarono il primo singolo “Consider Museums As Concentration Camps/Another Miracle”. Ma lo shock musicale lo generò il primo album “Year One” (1982) ricco di intuizioni noise, declamazioni punk, andamento sbilenco, idee strampalate: i Culturcide erano degli autentici freak in un ambiente di personaggi strani che contribuirono alla futura destrutturazione del punk. Nel 1986 con “Tacky Souvenirs Of Pre-Revolutionary America” andarono persino oltre, prendendo alcuni classici dell’epoca e cantandoci sopra: Bruce Springsteen, Huey Lewis, Pat Benatar sono solo alcuni degli artisti dissacrati in questa folle operazione. La band, infatti non risuonò le canzoni ma semplicemente registrò sopra agli originali. Inutile dire che i Culturcide furono sommersi da lettere di avvocati e l’album non fu mai ristampato. Potete immaginare qualcosa di più hardcore?

Rimaniamo in Texas con la formazione antihardcore più celebrata, quella che ha definito quanto fosse “cool” ascoltare qualcosa di totalmente “uncool”: i Butthole Surfers, geniali fin dal nome. Impossibile sintetizzare in poche righe l’impatto dei loro live show, l’attitudine e una carriera che comprende persino dei dischi major prodotti da John Paul Jones dei Led Zeppelin. Butthole Surfers si formarono a San Antonio nel 1981, nel 1983 pubblicarono l’EP omonimo (conosciuto anche come “Brown Reason To Live”) per la Alternative Tentacles: in neanche 20 minuti succede letteralmente di tutto. Assalti punk, schizzi art rock, psichedelia, rumore e tanto disagio: l’esperienza di ascolto offerta dalla band è assolutamente traumatica e se non ha perso ancora oggi la potenza immaginatevi cosa poteva essere ascoltarli nel 1983. Nel 1984 pubblicarono l’album “Psychic… Powerless… Another Man’s Sac” ovvero la risposta alla domanda “che succede a dare troppi acidi ad un punk?”. La risposta che danno i Butthole Surfers è ovviamente bellissima. Red Crayola, Chrome, Pere Ubu, Syd Barret, Captain Beefheart vengono mixati con sarcasmo, ironia e inzuppati nella droga. La lunga carriera dei texani vedrà dischi sempre più asciutti ed arrangiati, allontanandosi sempre più dall’iniziale ricetta fuori di testa.

Ci spostiamo in Maryland, casa dei No Trend, la band che più di tutte sintetizza al meglio il concetto di anti-hardcore. Prendete i Flipper, riempiteli di botte, rubategli gli strumenti e avrete i No Trend, una band che era contro tutto e tutti, incapace di suonare (la chitarra non ha mai suonato mezzo accordo) ma in grado di realizzare dei capolavori di malessere. “Too Many Humans …..” registrato agli Inner Ear Studio da Don Zientara del giro Dischord e pubblicato, autoprodotto, nel 1983, è un delizioso sotto prodotto del punk. Sporco, ribelle, insofferente, volgare suona come dei Germs a metà della velocità, dei Flipper senza braccia, dei Sonic Youth in botta. Di fatto inventarono il noise rock. Con formazione rinnovata diedero alle stampe altri dischi e una collaborazione con Lydia Lunch, che pur con qualche costruzione musicale in più mostra una band sempre ai margini della non-musica. Ai tempi si diceva nowave, ma i No Trends erano qualcosa di unico. Nello stile della band citiamo i Mission For Christ, che nel 1984 pubblicarono un rumoroso singolo per la label dei No Trend.

Benchè rientrino nei classici del East Bay Punk, i Californiani Fang proponevano uno stile leggermente diverso, più vicino ai Flipper che agli Angry Samoans. Riff lenti e ipnotici, voce malsana e annoiata, chitarre rumorose fanno di “Landshark!” (1983, pubblicato dalla Boner del chitarrista Tom Flynn, a cui abbiamo dedicato uno speciale) un classico di cui si parla ancora oggi per aver influenzato Mudhoney e, soprattutto, Nirvana (in “Bleach” si sente parecchio l’influenza sia chitarristica che vocale). Drogati, degenerati e pure assassini (il cantante uccise la fidanzata in un delirio tossico) i Fang sono la versione “sbagliata” dell’hardcore.

A questo punto doveroso citare i Black Flag del periodo My War, una delle più incredibili svolte nel mondo musicale. Da paladini dell’hardcore a freakettoni metallari intrippati di Grateful Dead.

Nel periodo di My War ascoltavamo “Born Again” dei Black Sabbath. L’adoravo. Sembra un bulldozer che sta per passarti sopra. Hanno portato all’estremo “Volume 4”. Pezzi come “Trashed” e “Disturbing The Priest” erano perfetti, i Black Sabbath con un vero cantante! Adoravamo “Heaven And Hell”, “Mob Rules”, “Born Again”

Bill Stevenson

Nel lessico dei Flag c’erano tutti i dischi degli ZZ Top, assieme a Mc5, Velvet Underground, il primo Nugent, i Sabbath, gli AC/DC con Bon Scott, Captain Beyond, rock metallaro. Non punk. L’unico punk che sentivamo era la roba della SST e dei nostri amici, altrimenti era troppo leggerino per Ginn e Dukowski

Henry Rollins

Mentre Henry Rollins era in fissa con Nick Cave ed Einsturzende Neubauten il resto della band era in pieno trip hard rock settantiano. Questa strana fusione di ascolti, in un ambiente crudo come quello hardcore diede vita al sound “sludge” di “My War” (1984), in particolar modo il lato B, uno shock musicale senza precedenti. Se Flipper e Fang avevano rallentato il genere, i Black Flag ne inspessirono ulteriormente il sound in una strana accozzaglia punk metal piena di assoli, indigeribile per la maggior parte dei frequentatori della scena. Fu l’atto di ribellione estremo e il punto di non ritorno per la band che culminò nell’EP “The Process Of Weeding Out” (1985), interamente strumentale e figlio degenere del jazz rock. La label di Ginn, la SST, era piena di progetti strampalati adatti ad un pubblico di vecchi hippie o giovani stoner ma per tutti sarà sempre l’etichetta hardcore per eccellenza; stessa sorte per i Black Flag che furono sia il simbolo del hardcore che la pietra tombale. Dopo My War il mondo musicale non sarà più lo stesso e i suoi semi nasceranno anno dopo anno in terreni sempre più fangosi: Melvins, Crowbar, Kyuss sono tre esempi di mutazione del classico “My War Sound”.

LEGGI ANCHE : LEZIONE DI MUSICA CON MY WAR DEI BLACK FLAG

MDC, Big Boys, The Dicks, poi Butthole Surfers. Infine Scratch Acid. Ovvero l’evoluzione del hardcore Texano dei primi anni 80. Gli Scratch Acid nel 1984 pubblicarono il fondamentale EP omonimo, uno stralunato e perverso punk-blues-nowave-newwave sormontato dalle urla belluine di David Yow, degenerato fratello sonoro di Nick Cave devoto a Iggy Pop, David Bowie, David Byrne e Darby Crash. E’ difficile riassumere l’esperienza di ascolto di questa piccola gemma: Cramps in botta acida che provano a suonare cover degli Stooges con i Pere Ubu a disturbarli. “Just Keep Eating” (1986) e
“Berserker” (1987) continuano il folle viaggio della band andando a cozzare sempre di più nei territori cari ai Birthday Party.
Rey Washam e David Wm. Sims risposero all’appello di Steve Albini e divennero la sezione ritmica dei Rapeman, progetto post-Big Black. Yow seguì il duo a Chicago e formerà i Jesus Lizard. (se volete saperne di più vi segnaliamo il nostro speciale sulla scena “grunge” di Chicago dei primi anni 90).

Steve Albini fondò i Big Black a Chicago nel 1981. Suicide, Ramones e Stooges gli indicarono la via, Naked Raygun, Flipper, Dead Kennedys gli fecero venire voglia di suonare. Giornalista e dj radiofonico, riuscì a farsi odiare da tutti per le sue idee provocatorie. Ecco perchè il suo migliore amico era il Roland TR-606, una drum machine con cui sviluppò le prime idee dei Big Black. Steve era talmente misantropo che registrò quei pezzi in casa con un registratore a quattro piste. Ne venne fuori l’EP “Lungs”, ovvero una manciata di canzoni ispirate al dark wave di Killing Joke, Joy Division, Cure. In breve tempo si fece notare nella scena locale e riuscì a coinvolgere nelle sue follie Jeff Pezzati e Santiago Durango dei Naked Raygun. Con l’innesto di un batterista a doppiare la drum machine nacque il secondo EP “Bullzozer”, vero e proprio esordio del suono ulceroso dei Big Black. In un colpo solo Albini inventa l’industrial metal e il noise rock anni 90.

Dato che non mi piace lo sport, non mi piace ballare in discoteca, non mi piacciono le droghe, non bevo, non sbatto la testa sul pavimento e non ho una moglie da picchiare, almeno ho i Big Black

Steve Albini

Testi intrisi di violenza, razzismo, omofobia erano la ricetta per far incazzare chiunque nella scena punk, ma la spontaneità irriverente di Steve iniziava a pagare e il pubblico che lo seguiva era sempre più numeroso. Con il terzo EP “Racer-X” debuttarono per la Homestead che diede alle stampe il vero e proprio esordio, il monumentale “Atomizer” (1986), ritratto horror delle perversioni americane più deviate. Un album irripetibile e ineguagliabile. Dopo un tour europeo e il divorzio con la Homestead i Big Black si accasarono per la locale Touch&Go che pubblicò l’EP “Pigpile” e il secondo disco “Songs About Fucking” a band ormai satura. Il sodalizio con la label durò anche dopo la fine dei Big Black dato che Steve si occupò di registrare quasi tutti i dischi pubblicati, oltre ovviamente a marchiare i due lavori dei Rapeman con gli ex Scratch Acid: l’EP “Budd” e l’album “Two Nuns And A Pack Mule” (1988).

Whipping Boy si formarono nel 1982 a Palo Alto, California. Il frontman della band era il carismatico Eugene Robinson, uno dei pochi ragazzi di colore della scena. Dopo l’esordio del 1983 “The Sound Of No Hands Clapping”, classicamente hardcore, Whipping Boy diedero un brusco cambio al proprio sound con l’album “Muru Muru”, rumoroso, fastidioso, ulceroso. Piacevole come un’unghia strisciata sulla lavagna. Inutile dire che persero tutti i loro fan. Nel terzo disco sterzarono ulteriormente con “The Third Secret Of Fatima”, più vicino al nascente post-hardcore, tra futuro emo e qualche smetallata. Dopo la fine della loro breve carriera, Eugene fondògli Oxbow, autori di un apocalittico blues-noise, ancora oggi in attività. Eugene è inoltre un apprezzato giornalista musicale.

Talmente sconosciuti che rischiavamo di dimenticarceli i Drunks With Guns era una band di cialtroni del Missouri formata da spacciatori e nichilisti, talmente anti da perdere i master delle registrazioni e mandare in stampa una brutta copia in cassetta per il loro primo singolo in 7″ uscito nel 1985. Il cantante pur di non avere nessuno intorno diceva a chiunque di essere malato di AIDS, ovviamente mentendo. Si sciolsero nel 1987 per poi riformarsi negli anni 90. Solo che cantante e resto del gruppo riformarono due band diverse con lo stesso nome, ovviamente con risultati orripilanti. Se amate i Flipper i Drunks With Guns portano avanti egregiamente il loro sound e la loro cazzonaggine.

Con l’avvento della nuova generazione l’hardcore si ibridò con praticamente ogni genere : il country nei Meat Puppets, il jazz nei Nomeansno, funky nei Big Boys e Minutemen fino a flirtare con il thrash metal delle numerose band crossover sparse per il mondo. L’antihardcore sopravvisse nelle file più “smart”: Mark Arm dei Mudhoney prima con i Mr Epp & The Calculations e successivamente Green River, band che dettò lo standard del grunge per tematiche e sound. In maniera affine i Frantix, da Denver, con lo scorrettissimo “My Dad’s a Fuckin’ Alcoholic” gettarono un ponte verso Seattle. Frantix divennero The Fluid e furono la prima band non locale a firmare per Sub Pop. Da citare anche i dark Mighty Sphincter, tra i più noti in ambito horror punk / death rock, sono talmente stravaganti da risultare consigliati a chi cerca sonorità particolari; gli scorrettissimi Kilslug, figli mai riconosciuti di Flipper e Black Sabbath; i proto noise rock Killdozer. Da citare, giusto perchè i lettori non sono mai sazi abbastanza, anche band lontane dalla scena hardcore come Sonic Youth, Swans, Chrome, Savage Republic, Sun City Girls, Pussy Galore, Chrome. Gli Stati Uniti non hanno limite al peggio.

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