I migliori 60 dischi femminili del 2018 – Parte 2

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First Aid Kit – Ruins (Columbia)

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Basterebbe il singolo “Fireworks” per giustificare la presenza del duo Svedese First Aid Kit in questa lista. Ma al di là della perfezione “pop” del brano in questione tutto il disco (il quarto) è un gioiello di folk/country/americana che proietta le sorelle Klara e Johanna Söderberg dritte negli anni 70 di Emmylou Harris .

Snail Mail – Lush (Matador)

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Lindsey Jordan pubblica canzoni a nome Snail Mail dal 2015, ovvero da quando aveva 16 anni. Il primo EP se lo è autoprodusse mentre il secondo uscì per la Syster Polygon Records dei Priests. Poco prima di compiere 19 anni pubblica “Lush”, l’esordio sulla lunga distanza pubblicato da Matador. Ora, magari conoscete una marea di adolescenti in fissa con Liz Phair, Cat Power, Fiona Apple, Sonic Youth, Pavement (insomma con l’alternative lofi degli anni 90) ma penso che siano merce piuttosto rara. E ancora più rare sono coloro che si scrivono un disco tutte da sole. E se magari non piace agli adulti poco importa perchè “Lush” (citazione shoegaze?) è un disco come non ne escono più, basato su canzoni apparentemente semplici, rumorose, arrabbiate e scazzate. Magari sarà una meteora ma “Lush” è uno dei dischi più rappresentativi di questo 2018.

Jorja Smith – Lost & Found (Famm)

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Si è fatto gran parlare in Gran Bretagna su Jorja Smith. Dopo aver pubblicato il brano “Blue Lights” su Soundcloud viene contattata dal gotha commerciale americano (Drake, Skrillex…) , Jorja entra nello star system e finisce addirittura nella celebratissima colonna sonora di Black Panther curata da Kendrick Lamar. “Lost & Found” è l’atteso debutto che però riprende i brani scritti da Jorja in fase adolescenziale, dovremo quindi aspettare il futuro per capire che direzione prenderà la sua carriera. Ma intanto a colpire tutti è lo splendido timbro della sua voce mentre la musica è sospesa tra jazz, soul, Erykah Badu, Amy Winehouse e Lauryn Hill. Siamo sicuri che sarà una carriera in crescendo. 

Kali Uchis – Isolation (Virgin)

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Se nel 2016 c’è stata Solange, nel 2017 SZA, il 2018 è l’anno di Kali Uchis
Karly-Marina Loaiza è colei che è stata designata come regina del soul per quest’anno e per il suo disco d’esordio si sono mossi praticamente tutti: Snoop Dogg (il primo a scoprirla), Lana Del Rey (l’ha voluta in tour con lei) e gli ospiti del disco Badbadnotgood, Damon Albarn, Thundercat, Two Inch Punch, Dave Sitek, Tyler The Creator, Bootsy Collins, Jorja Smith..vabbè si può andare avanti ancora per molto. Disco suonato, arrangiato e prodotto alla perfezione. Niente male per una ragazza del 1994 di origini Colombiane.

Neneh Cherry – Broken Politics (Smalltown Supersound)

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La carriera di Neneh Cherry è stata molto parca. Dall’esordio “Raw Like A Sushi” del 1988 abbiamo avuto due dischi negli anni 90 “Homebrew” e “Man” e poi il ritorno nel 2012 con la collaborazione con i The Thing. L’ultimo disco è “Blank Project” del 2014. Una discografia breve ma straordinaria. “Broken Politics” è il disco più minimale di Neneh, pur essendo prodotto da Four Tet e da Del Naja dei Massive Attack (e si sente nel singolo “Kong”) la protagonista assoluta è la sua voce. E non è certo un male. Neneh, che ha superato ormai la cinquantina, è una donna matura, mai banale e sempre intelligente: un monumento alla femminilità.

Maggot Heart – Dusk To Dusk (Teratology Sound & Vision)

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La chitarrista Linnéa Olsson ha militato in passato in formazioni di culto come Sonic Ritual, Beastmilk e The Oath, e nel 2017 ha iniziato a far uscire brani con il nome Maggot Heart. “Dusk to Dusk” è l’esordio interamente scritto dalla Olsson e suonato con l’aiuto di Gottfrid Åhman e Uno Bruniusson (entrambi provenienti dagli In Solitude). L’album è definibile come “dark heavy rock” e in qualche modo porta avanti il sound dei Beastmilk: le canzoni sono basate su riff potenti ed energici ma suonano parecchio oscure, merito anche dei suoni quasi “ottantiani” che flirtano con il noise e il post punk. Un progetto particolare, per niente commerciale e che mostra la vitalità artistica di Linnéa. 

Carla Bozulich – Quieter (Constellation)

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La carriera di Carla Bozulich parte da lontano: a metà anni 80 era nei InvisibleChains, nei primi anni 90 nella band alternative Ethyl Meatplow e nel resto della decade negli alternative country rockers The Geraldine Fibbers. Dal 2000 in poi si mette in proprio con il suo nome e come “Evangelista”, conquistando lodi della critica e diventando un personaggio di culto. Da qualche anno però gravi problemi di udito l’hanno costretta ad interrompere tour e registrazioni. “Quieter” è una raccolta di brani incisi durante il periodo di “Boy” (2014) con l’aiuto di ospiti come 
Marc Ribot, Sarah Lipstate (Noveller), Freddy Ruppert, Shahzad Ismaily. Il disco è, come da titolo, calmo, riflessivo e ovviamente molto tormentato. Ma non urlato. Il “punk” di Carla è sotto pelle, più nell’attitudine senza compromessi che nel suono.

Jessica Moss – Entanglement (Constellation)

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Jessica Moss è la violinista di Thee Silver Mt. Zion Memorial Orchestra e Black Ox Orkestar e collaboratrice di Carla Bozulich (con cui condivideva i The Geraldine Fibbers), Arcade Fire e Vic Chesnutt. “Entanglement” è il suo terzo disco, composto da due parti. La prima, “Particles”, dura più di 20 minuti, mentre il resto è occupato dai quattro frammenti di “Fractals”. L’album è un viaggio strumentale tra soundscapes, droni, ambient, post rock e post-minimalismo basato sul violino di Jessica. “Profondamente influenzata dalle esperienze di viaggio in solitaria – suonando in spazi precari preservati da appassionate comunità sottoculturali […] – il nuovo lavoro di Jessica Moss è un’invocazione alla comunicazione / connessione in stato di isolamento, alle misteriose energie che legano il singolo e l’universale, alle indomabili energie terrestri che portano micro-comunità di persone a riunirsi e condividere esperienze in modo sostenibile e attento. Questa è una musica a lunga capacità d’attenzione che sintetizza meravigliosamente forma e sostanza, e in generale i concetti opposti come austerità e opulenza, espansività e intimità.” 

Soccer Mommy – Clean (Fat Possum)

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Sophie Allison ha solo 20 anni ma incide canzoni in solitaria da quando ne ha 16 con il nome Soccer Mommy. Grazie alle sue qualità ha strappato un contratto alla Fat Possum e la produzione del disco d’esordio “Clean” da parte di Gabe Wax (War On Drugs, Deerhunter, Beirut). “Clean” è un disco un po’ folk, un po’ pop, un po’ alternative anni 90, come ci possiamo aspettare da una ragazza che ha appena passato l’adolescenza con l’umore tormentato. 

Brandi Carlile – By The Way, I Forgive You (Elektra)

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Brandi Carlile è una cantautrice Americana piuttosto sconosciuta dalle nostre parti ma che ha già una discografia nutrita pur essendo relativamente giovane. L’album “The Story” è stato coverizzato integralmente per beneficenza da Pearl Jam, Adele, Dolly Parton, Indigo Girls, Kris Kristofferson. L’impegno nel sociale e l’organizzazione del festival solo femminile “Girls Just Wanna Weekend” la rendono una delle personalità più interessanti presenti nel pop/country mainstream.  “By The Way, I Forgive You” ha ricevuto ben sei nomination ai Grammy Awards.

Noname – Room 25

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Noname è una cantante e poeta di Chicago emigrata a Los Angeles che ha avuto una discreta notorietà col primo mixtape intitolato Telefone, pubblicato nel 2016. In questo primo album Fatimah Warner fa i conti con il diventare adulta e con le difficoltà e le ipocrisie della società. A livello musicale è un piacevole disco che volteggia dolcemente tra soul, r&b, hip hop, jazz con suoni sia moderni che retro, piacevolissimo da ascoltare grazie all’altissima qualità delle canzoni. Per ora uscito solo in digitale. 

Mitski – Be The Cowboy (Dead Oceans)

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L’anno scorso la Nippo-Statunitense Mitski Miyawaki conquistò il cuore di pubblico e critica con il brano “Your Best American Girl”, tratto dall’album “Puberty 2”. Dopo un anno ritorna con “Be The Cowboy”, composto da bozzetti di 14 brani dalla durata media di 2 minuti scarsi. Niente ritornelli, niente allegria, solo tanta confusione e frustrazione verso i rapporti di coppia che una ragazza “nomade” come Mitski non ha mai potuto avere. Il carattere di Mitski è sfuggente e questa sua caratteristica si riflette anche nel songwriting:  brani che potrebbero essere hit vengono troncati sul nascere. Ma è proprio questo lato a piacere.

Alice Bag – Blueprint (Don Giovanni Records)

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Alice Bag è uno dei volti più iconici della stagione punk americana. Chicana e arrabbiata ha prestato la sua ugola nei The Bags ed è  tra i protagonisti dello storico documentario The Decline Of Western Civilization. Successivamente ha militato in Castration Squad, Cholita e Las Tres. Dopo anni di silenzio nel 2016 ha iniziato a pubblicare dischi a suo nome e “Blueprint” è il suo secondo disco. Un album che alterna furore punk, brani hard rock (un po’ alla Joan Jett) e ballatone. Nella anthemica “77” possiamo ascoltare i cori di Kathleen Hanna (Bikini Kill) e Allison Wolfe (Bratmobile), in “See Ja Croven” Teri Gender Bender (Les Butcharettes) ovvero il passato e il presente delle riot grrrrls. 

Bettye Lavette – Things Have Changed (Verve)

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Se le cantautrici adolescenti sono immerse nei patemi amorosi e nelle  grandi domande della vita di cosa può cantare una settantaduenne come Bettye Lavelle? Secondo la sua label la risposta è “Bob Dylan”. E Bettye, pur non conoscendo benissimo il repertorio del folk singer, si lancia e registra 12 cover del repertorio di Bob Dylan, scegliendo fra il canzoniere meno banale. Ad aiutarla spunta Keith Richards, ma soprattutto una band straordinaria formata da Pino Palladino (basso), Leon Pendarvis (tastiera), Steve Jordan (batteria), Larry Campbell (chitarra). “Things Have Changed” è un disco di classe, di quelli che fanno stare bene da quanta bellezza esce dai solchi del disco. Se volete ascoltare Dylan cantato bene e con tanto “soul” questo è l’album giusto. 

Julia Holter – Aviary (Domino)

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La prolificissima carriera di Julia Holter si arricchisce di un nuovo imperdibile capitolo intilato “Aviary”. Chi ha iniziato ad amarla con i precedenti “Loud City Song”, “Have You In My Wilderness” e “In The Same Room” (ovvero i dischi pubblicati da Domino) non resterà deluso, anzi. “Aviary” è un’opera monumentale composta da 15 brani per quasi un’ora e mezza di “art rock” attitudinalmente simile a quello di Kate Bush. Musica sperimentale quindi, ricca di suoni e umori a volte elettronici, a volte jazzati ma sempre ottimamente arrangiata. C’è chi l’ha paragonata a Robert Wyatt, Joanna Newsom, Laurie Anderson, Talk Talk, Meredith Monk, Alice Coltrane, Nico e Bjork: non ci sentiamo di dargli torto ma Julia merita di essere nel pantheon dei grandi autori sperimentali ed essere metro di paragone lei stessa.

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Redazione

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