L’Angolo Della Morte: Le 10 uscite Death Metal più significative di Dicembre 2018

A cura di Apparizione79

Nonostante l’atmosfera natalizia e i propositi di buone azioni e ottimi pensieri che porta con sè, anche questo mese non potevamo evitare di addentrarci nei meandri più oscuri della produttività musicale mondiale: il nostro caro death metal non dorme mai, evidentemente nemmeno a dicembre, mese delle feste da trascorrere in famiglia, in compagnia dei propri cari.
Le copiose uscite dicembrine mi hanno impegnato parecchio: non troverete nomi importanti all’interno della lista di questo mese ma una moltitudine di titoli varati da band più o meno note nel panorama estremo.
Pescare nell’underground mi da particolare soddisfazione, sia per la qualità dei prodotti che mi tocca assaporare, sia perchè ritengo più importante segnalare un disco poco conosciuto rispetto ad uno (magari altrettanto meritevole) proveniente da una band più nota per gli appassionati.
Spero che questo anno di Angolo della morte sia stato di gradimento per qualcuno perchè noi ci abbiamo messo tutto l’impegno e la passione che possediamo.
A voi la lista di dicembre, l’ultima del 2018.

1 . Mass Infection – Shadows Became Flesh – Comatose Music

Ascolta su Bandcamp.

Quelli della Comatose decidono di fare un bel regalino di Natale a tutti noi con la pubblicazione del quarto album di studio dei brutal black-deathsters greci Mass Infection.
I nostri sono maestri incontrastati del terrore sonoro, capaci di produrre un muro musicale di violenta e inarrivabile malignità, condito da un’esecuzione mirabile a livello tecnico.
La scena greca estrema è una delle più interessanti del pianeta, soprattutto tenendo conto della ridotta popolazione che abita la penisola che diede i natali ad Omero: ne è passato di tempo da allora e la vecchia civiltà ellenica ha ceduto il passo alla modernità, nella quale si collocano a pieno titolo i Mass Infection.
La band propone una musica di notevole impatto e ispirazione: pur restando pienamente ancorati nei territori del blackened death metal più feroce e insano, i nostri sono tra i più originali interpreti delle tetre e malevole caratteristiche di quel tipo di musica.
La voce, pesantemente distorta e di stampo americanoide, accompagna con profondità la violenza del riffing e l’incessante assalto orchestrato da basso e batteria.
Questo genere di band, a volte, sconta un’eccessiva maniera, una capacità esecutiva che si sposa a fatica con il sentimento che dovrebbe caratterizzare la proposta musicale.
Non è il caso dei nostri che riescono a fornire una performance perfetta senza lasciare mai che l’ascoltatore si dimentichi che deve finire male, che il mondo non è luogo nel quale si può stare allegri, che la violenza alla fine trionferà su tutti noi schiacciando le nostre esistenze.
“Enduring through the apocalypse” è il pezzo che rende meglio di tutti l’idea delle capacità del quartetto greco: la furia assassina dei blast beats non sfocia mai nel caos, il sound resta sempre compatto, d’assalto, senza perdere mai nemmeno per un istante il collante complessivo degli strumenti nonostante le velocità furibonde alle quali i nostri sono in grado di lanciarsi.
Mi sono piaciute molto anche “The merging of infinity” e la title track.
Tra una sfuriata e l’altra e tra uno stacco blackmetallico e il successivo, il disco si dipana possente fino al suo epilogo senza lasciare in vita nessuno di noi. I regali sono sempre graditi, soprattutto quelli natalizi che, in teoria, dovrebbero arrivarci dalle persone che ci sono più care: non credo che i Mass Infection avessero intenzione di fare un presente ad alcuno di noi quando hanno varato il loro nuovo sforzo; tuttavia, la mattina di Natale, quest’anno, il mondo si è svegliato con questo regalino sotto l’albero: un pacchetto pieno di riff brutali, growl assatanati e botte di cassa e rullante.
Ad ognuno il suo.

2 . Sulphur Aeon – The Scythe Of Cosmic Chaos – Van Records

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Terzo album per i deathsters tedeschi che iniziano a meritare una certa importanza all’interno del panorama estremo.
Non tanto per il numero di prodotti varati, ma soprattutto per la qualità che il combo renano è in grado di mettere sul piatto della bilancia: siamo di fronte ad un ispiratissimo death metal atmosferico, nel quale si fondono con assoluto successo elementi classicamente brutali e caotici con altri di derivazione sognante e sinfonica.
Ecco che, quindi, passiamo da pezzi super veloci incentrati sul caos furioso dei blast beats a intermezzi melodici di grande sentimento impreziositi da inserimenti ambient di ottimo effetto: i nostri sono in grado di creare un sound maturo, particolare, estrememente brutale nelle parti death classiche e di notevole impatto emozionale nei numerosi stacchi più ragionati.
La registrazione non troppo pulita serve, a mio modo di vedere, a donare profondità ai pezzi, a non rendere mai asettico il sound: un disco che ha caratteristiche oniriche come questo non può essere reso in modo troppo chiaro e diretto.
Ne esce di certo un eccellente prodotto, per lo spessore non solo compositivo, ma anche esecutivo che i nostri posseggono. Di mio estremo gradimento le parti death classiche, spesso abbellite dalle tastiere ma sempre in grado di gettare l’ascoltatore nel caos vorticoso dei racconti lovecraftiani marittimi che popolano i testi dei ragazzi tedeschi.
Il viaggio dei nostri regala alcuni espisodi di maggior valore in songs quali la melodiosa e varia “Yuggothian spell”, l’abissale “Sinister sea sabbath” e la furibonda “Veneration of the lunar orb”.
In conclusione, un gran bel disco: trascinato dai riff ispirati delle chitarre, dal lavoro di qualità del basso, dalla voce maligna del singer e dalla furia della batteria; ma soprattutto dalla varietà del convincente songwriting, sempre ispirato e sensato nonostante la lunghezza complessiva del lavoro.
I Sulphur Aeon, con questo disco, dimostrano come sia possibile creare un sound che differisce dal rispetto dei canoni più rigorosi del genere senza essere inutilmente complicati, noiosi o, peggio, inascoltabili.
E noi, soddisfatti, non possiamo che inabissarci con loro nelle onde scure del mare invernale, travolti da una tempesta di riffs, screams e mulinelli di rullante.

3 . Obscenity (GER) – Summoning The Circle – Apostasy Records

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Siamo sempre in Germania, ma la proposta degli Obscenity è del tutto diversa da quella dei paesani Sulphur Aeon, a dimostrazione della notevole multidimensionalità del moderno death metal di stampo teutonico.
In realtà, di moderno nel nuovo disco degli Obscenity non c’è proprio nulla, se non vogliamo includere nel concetto la produzione connotata da chiarezza e potenza un tempo difficili da scovare in prodotti come questo.
I nostri sono dei decani dell’old school: maestri del riff duro e ritmato, della batteria rullante e dei cambi di tempo, non mutano il proprio stile neppure di fronte all’inserimento nella line-up di un nuovo singer che svolge le sue mansioni in maniera classica che meglio non si potrebbe immaginare, vociona distorta e growleggiante, tempestata da numerosissimi scream.
Gli Obscenity propongono un death metal di stampo europeo che affonda le proprie radici ispiratrici in band come Morgoth, Entombed, Grave e Unleashed: i nostri sono capaci di creare pezzi profondi e violenti senza mai lasciarsi andare ad alcuna deriva innovativa.
Presenza importante di assoli classicamente rockettosi, batteria tumpeggiante, basso sempre ben arrangiato e voce poderosa: siamo davanti ad un bellissimo disco di classico death metal old school di grande impatto.
Credo che la forza degli Obscenity stia proprio nel loro pedigree: questa band ha quasi 30 anni di attività alle spalle e ben 10 album in studio (oltre ad una altrettanto vasta produzione minore), si è guadagnata il diritto di continuare a suonare la musica che piace, primi fra tutti, ai propri membri fondatori, senza dover dimostrare più nulla a nessuno.
E allora, la storia del genere si erge possente e diretta in pezzi come la opener “Used and abused”, la iperclassica e veloce “Infernal warfare”, la più ritmata “Dreadfully embraced”, impreziosita da un bellissimo assolo melodico.
Gli Obscenity fanno il loro dovere e lo fanno al meglio: nessun compromesso per una delle band più antiche di tutto il panorama death metal mondiale, per una band che in carriera non ha ottenuto riconoscimenti particolari ma si è guadagnata il diritto di suonare il proprio classico, poderoso death metal della tradizione senza dover rendere conto a niente e a nessuno.
Non siamo davanti ad un capolavoro, ma il prodotto è ottimamente eseguito, le idee compositive sono chiare e dirette, la resa eccellente: un disco che farà felici coloro che non amano particolari deviazioni dalla via maestra; se, invece, avete voglia di innovazione e diversità, rivolgete le vostre attenzioni altrove.

4 . Zealotry – At The Nexus Of All Stillborn Worlds – Unspeakable Axe records

Ascolta su Bandcamp.

Questi ragazzi di Boston chiudono il 2018 con l’uscita del loro terzo full lenght in pochi anni di vita, chiarendo di avere tantissime idee da mostrare al resto del mondo.
Gli Zealotry suonano un death metal estrememente complicato, figlio dell’evoluzione delle sonorità della band verso lidi popolati da digressioni sinfoniche, arzigogoli compositivi e tecnicismo esasperato.
Siamo pienamente nel circuito death metal: ce lo conferma la voce del singer, aspra e aggressiva, capace di passare da tonalità tipicamente growl ad altre brutalmente thrashose senza mai abbandonare la strada della violenza e senza mai ricercare alcuna melodia; le chitarre che disegnano il loro compatto muro di suono trascinandoci da un riff all’altro per tutto il disco; e il possente blast beat della batteria.
Molti collocano questa band all’interno della scena death progressive: ci può stare, anche se sarebbe opportuno definire meglio queste etichette per evitare confusione.
Infatti, nonostante siano presenti parti vagamente sinfoniche (con addirittura l’inserimento di qualche coro) e i nostri utilizzino strumentazioni elettroniche per completare il proprio sound, ciò che rende questa band particolare e diversa da un combo dedito al death metal classico è soprattutto la ricerca del riff complicato, della composizione mai diretta e lineare come avviene nella maggior parte dei prodotti tradizionali.
Se la definizione di death progressivo includesse quanto sopra descritto, allora sì, i nostri suonano una forma di death progressivo: a mio modo di vedere, siamo di fronte ad un prodotto death metal al 100 per cento, soltanto molto complesso, dedicato a coloro che hanno l’orecchio pesantemente allenato e sono in grado di cogliere i vari passaggi compositivi della band senza perdersi nel mare di riff che si susseguono uno all’altro e senza limitarsi all’apprezzazmento sterile della tecnica esecutiva messa in mostra dai nostri.
Anche se il presente disco mi è risultato indigesto ad un primo ascolto, con maggiore attenzione sono riuscito a cogliere l’intento della band, che non è soltanto quello di complicare le cose per dimostrare di essere molto bravi, ma anche quello di fornire un’anima al prodotto e un senso complessivo alle varie songs dell’album.
Alla fine, senza voler etichettare alcunchè, mi pare che sulla East Coast americana stiano proliferando un certo numero di nuove proposte, tutte con caratteristiche differenti le une dalle altre, ma accomunate dalla ricerca di un sound nuovo, determinato dalla volontà di interpretare il death metal in una chiave di lettura meno diretta e lineare.
Parliamo pure di progressive se volete. In ogni caso, in conclusione, il lavoro degli Zealotry raggiunge eccellenti livelli sotto diversi aspetti, ma resta complesso, troppo complicato, dedicato davvero ad una elite di ascoltatori particolarmente attenti ed allenati.

5 . Feral – Flesh For Funeral Eternal – Transcending Obscurity Records

Ascolta su Bandcamp.

Se gli Zealotry amano complicare le cose, gli svedesi Feral invece fanno esattamente l’opposto: i nostri, qui al terzo full lenght, incentrano il tutto sul riffone spesso e diretto stile Grave ed Entombed della maturità, con una costruzione dei pezzi che più lineare e aggressiva non si può.
Vociona growleggiante sparata sulla faccia del malcapitato, batteria che non accenna a diminuire i battiti, chitarre sempre altissime e rotonde, basso non pervenuto.
Non siamo davanti a qualcosa di indimenticabile, ma, come ho già affermato più volte in precedenza, questo genere di prodotti ha il pregio di non perdersi in inutili deviazioni e di regalare all’ascoltatore 40 minuti di musica chiara, senza compromessi e ben suonata.
Musica di impatto, estremamente fluida ed essenziale, dotata di una sana ignoranza deathmetallica old school, che ha il suo principale punto di debolezza nella scarsa varietà della composizione, nella inevitabile somiglianza che tutte le songs del disco finiscono per avere tra loro.
Diciamo che i Feral non sono maestri nel creare alcun tipo di atmosfera, non hanno l’intento di comunicare qualcosa con il proprio sound, preferiscono aggredire il palco senza fare prigionieri (questo tipo di suoni ha un forte impatto dal vivo in effetti) senza voler dimostrare di essere più bravi di altri e senza il desiderio di inventare nulla.
Tra i pezzi migliori del disco ho trovato la possente “Vaults of undead horrors”, la direttissima “Gathering their bones” e la ultrariffosa “Buried”.
Alla fine, lascirsi prendere dal riff e non pensare troppo a quello che stiamo ascoltando è sempre divertente: la musica deve essere anche disimpegno e i Feral propongono un sound che, di sicuro, lascerà soddisfatti gli appassionati di sonorità brute e aggressive.
Ultimo episodio death metal del 2018, il disco è uscito il 30 dicembre, poco prima dell’inizio del nuovo anno: forse questa sarà l’unica nota di particolarità per un lavoro che suona superclassico e zero innovativo. Ma allo stesso tempo, onesto, divertente e diretto.

6 . Sulphurous – Dolorous Death Knell – Dark Descent Records

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Etichetta di un certo valore nel panorama death metal per l’esordio di questa band danese, proveniente per la precisione dalla prolifica scena della capitale Copenagen.
In un paese come la Danimarca, dove tutti sorridono agli estranei, dove la gente si muove con la bicicletta e non paiono esistere motivi di disappunto sociale particolari, vivono tuttavia soggetti, e non pochi, che sono dediti a suonare una musica tutt’altro che espressiva di una mentalità serena ed espansiva.
I nostri, infatti, propongono un death metal tetro e cavernoso, con spunti che sconfinano in territori doomeggianti, che trova i suoi principali ispiratori in bands oscure e cattive i cui capifila sono gli americani Incantation, anche se non si può fare a meno di evidenziare, per i più attenti frequentatori delle cantine del death metal, le somiglianze tra il presente disco e la produzione dei conterranei Phrenelith, sia nella musica che nell’artwork.
In effetti, ho spulciato un pò la storia e le line-up delle due bands e ho scoperto che condividono il drummer: forse il motivo sarà questo, o forse no, tuttavia, se avete ascoltato il disco dei Phrenelith del 2017 troverete enormi somiglianze con questo “Dolorous death knell”.
Svelato l’arcano dell’ispirazione dei nostri, non resta che godersi questi poco più di 30 minuti di rude e malevolo death metal, capace di creare atmosfere cupe e mortifere attraverso una voce estrememente gutturale, un riffing in parte rock e in parte doomeggiante, una sezione ritmica azzeccata e ben interpretata da basso e batteria.
Il prodotto finisce per non eccellere: a me è piaciuto, ma non posso fare a meno di sottolineare che le numerose idee compositive non trovano spesso sbocchi adeguati; ci sono eccellenti assoli dall’atmosfera cupa e tempestosa e il riffing è complessivamente convincente, ma manca la personalità che la band dovrebbe donare ai pezzi che finiscono per assomigliarsi un pò troppo tra loro.
La band danese è operativa da parecchio tempo anche se questo disco ne rappresenta l’esordio a livello produttivo: forse i nostri devono soltanto togliersi un pò di ruggine di dosso e provare a migliorare quanto di buono contenuto in questo disco.
Le canzoni che ritengo migliori sono “The flickering”, “Reapers gale” e “Aura of decay”: in conclusione un disco che ho apprezzato più nell’intento che nella resa, nonostante non lo sconsigli affatto, soprattutto a coloro che amano addentrarsi nella desolazione e nel buio di una foresta innevata in una notte invernale senza luna.

7 . Fleshless – Doomed – Rotten Roll Rex

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I Fleshless rappresentano una delle band più antiche della scena death metal centroeuropea: attivi dalla fine degli anni ottanta, i ragazzi della Cechia hanno sempre conservato la stessa line-up nei decenni (salvo l’introduzione di un batterista in un secondo momento, visto che inizialmente la band si serviva della drum machine), caratteristica che spesso accomuna gruppi provenienti da zone di underground molto forte e radicale come quello in essere nei paesi dell’Est Europa.
Se i conterranei Krabathor hanno rappresentato un nome importante per il death metal ceco, i Fleshless sono forse stati i primi loro conterranei a suonare brutal-grind: oggi, il movimento estremo ceco è fortemente imperniato sul grindcore, genere che da quelle parti la gente sembra apprezzare parecchio.
Forse, per questo motivo, per in qualche modo staccarsi e distinguersi da origini ormai troppo condivise, i mostri sacri provenienti da una cittadina non lontana dalla capitale Praga hanno modificato il proprio sound: non aspettatevi il tradizionale death-grind dei primi lavori dei Fleshless, in questo disco non lo troverete.
Siamo pienamente nel territorio brutale: voce growl molto distorta e mai dedita alla melodia, riffs duri e pesanti, batteria spesso lanciata a mille, bassone possente. Tuttavia, accanto alle classiche sparate in stile brutal, i nostri hanno deciso di impreziosire il proprio death metal con parti più ragionate, che sfociano addirittura in passaggi melodici veri e propri.
La resa complessiva mi ha convinto non del tutto. Il fatto che, negli ultimi anni, non abbia seguito più di tanto l’evoluzione della band ha il suo significato: a me i Fleshless piacevano quando suonavano il loro death-grind delle origini; anche nel lavoro odierno, le parti che più mi affascinano sono quelle in cui il doppio pedale tappezza lo sfondo di parti d’assalto, nelle quali il riffing poderoso viene lanciato a velocità vicine al grindcore.
Credo sia questa l’anima della band: il songwriting più ricercato non è cosa che contraddistingue questo tipo di gruppi pionieristichi, inevitabilmente figli di un sound ignorante, primitivo, ma terribilmente efficace.
Nel complesso, il disco è più che passabile; ci sono songs di mio gradimento, quali “4th dominion”, “Ninety-seven pieces” e “Parasites fodder”. Tuttavia, mi sento di consigliare il disco soprattutto a coloro che, magari per ragioni anagrafiche, non conoscono molto dei primordi della band, del periodo in cui i Fleshless si sono rivelati al mondo quale una delle più importanti band brutali del panorama europeo.
Album da evitare per chi, invece, si aspetta di trovare qui dentro quel sound brutal-grind che ha reso famoso il marchio di questa storica band underground.

8 . Whitemour – The Devil Inherits The World – Art Gates Records

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Band finlandese attiva da diverso tempo, anche se in precedenza dedita al black metal, che qui giunge al suo primo disco intero in carriera.
I nostri propongono un sano e crudo death metal senza tanti compromessi, con una vena black in alcuni passaggi particolarmente avari di profondità che forse richiamano le origini musicali della band; il sound di base è tipicamente death metal europeo, con quella classica caratteristica ricerca del riff duro e penetrante che ha fatto la fortuna, anni orsono, di mostri sacri come Bolt-Thrower, Benediction e primi Pestilence.
Niente di nuovo sotto il sole, anche se alcune idee messe in mostra dai nostri sono degne di attenzione: ci sono alcuni accenni melodici interessanti e un’energia esecutiva di un certo spessore, come spesso accade per le band finniche.
I nostri non hanno particolari desideri di stupire o creare atmosfere di alcun genere, sono soltanto votati a suonare per bene una musica fortemente derivativa e che non si stacca mai troppo dal tributo al passato.
Tuttavia, considerato che i ragazzi finlandesi sono all’esordio e che i 40 minuti del disco scivolano via sereni e convincenti, credo che lo sforzo dei nostri meriti una piccola parte della nostra attenzione anche in virtù del fatto che gli spunti qui soltanto accennati, in futuro, potranno condurre la band a creare un sound più maturo e caratterizzato.
Tra i pezzi spiccano “Voice of the fallen”, particolarmente cruda e brutale, “Wrath” per il notevole lavoro della parte ritmica nel tenere in piedi con convinzione uno dei pezzi più particolari del disco, e, per finire, “Malefica”, nella quale il mid tempo principale della song si interseca con alcuni passaggi di stampo più moderno, quasi death n’roll.
Insomma, niente di eclatante, ma un lavoro profondo e ben suonato, duro e dallo spirito profondamente death metal che sarebbe un peccato trascurare del tutto.

9 . Fleshreaper – Blue Skies Laced With Pesticide – Horror Pain Gore Death Productions

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Simpatica uscita minore da parte di questa band proveniente da Tampa, Florida. I nostri propongono un divertente death metal da spiaggia, che poco ha da spartire con le sonorità che hanno reso famose le band provenienti dalla baia floridiana in passato: linea compositiva che parte da una base molto diretta, a tratti punk, in definitiva thrash, sulla quale i nostri piazzano una voce screameggiante aspra e cattiva, assoli ispirati e alcuni rallentamenti riffosi più tipicamente death metal.
Ne esce un prodotto di nicchia, nel quale ci sono anche alcuni cori puliti che richiamano certe espressività murder metal tipo Macabre o Abscess, sicuramente non imperdibile ma godibile.
Nel combo suonano alcuni musicisti attivi da parecchio, tra cui alcuni ex membri dei Massacre, e ciò rende il prodotto ben suonato, a tratti poco ispirato nella composizione ma mai banale e scontato.
Come detto, siamo davanti ad un prodotto minore, di nicchia, che potrebbe non interessare a coloro che amano il death classico e neppure a quelli che sono interessati a intrichi che qui dentro non troverete.
Ho apprezzato la cruda direzione della band, la sua volontà di suonare un death metal di una semplicità coinvolgente che potrebbe benissimo essere sparato da un vecchio stereo da spalla su una spiaggia. Questo genere di prodotti è davvero rara: di solito ci troviamo dinnanzi a proposte che ricalcano strade già ripercorse o a lavori innovativi di altro spessore.
Tuttavia, mi sento di segnalare questo disco per la sua chiarezza, onestà e perchè divertente, soleggiato e positivo. Consigliato non a tutti, ma a coloro che dal genere ricercano una sana, cruda, potenza senza tanti pensieri e che, a volte, vogliono ascoltare anche il death metal con un solo orecchio, mentre con l’altro e con il cervello si concentrano su altro.

10 . Rancorum – The Vermin Shrine – Loud Rage Music

Ascolta su Bandcamp.

Band di Bucarest che giunge all’esordio discografico prodotta dalla conterranea label Loud Rage.
La scena death rumena sta iniziando a diventare di un qualche interesse ultimamente anche grazie a questa piccola etichetta che ha il coraggio di lanciare e farci conoscere le opere dei combos provenienti da quella terra non particolarmente produttiva negli anni d’oro della musica estrema.
I Rancorum non hanno suscitato miei particolari entusiasmi, ma non posso fare a meno di sottolineare che i ragazzi sono capaci di suonare un death metal estremamente diretto, pragmatico e senza sbavature degne di nota.
La linea compositiva, anche a detta degli interessati, è condizionata da band appartenenti alla scuola svedese (Dismember ed Entombed in particolare) e a quella olandese (Pestilence e Gorefest): si passa così da parti death classiche imperniate su un solido e ben disegnato tumpa tumpa di scandinava memoria a stacchi dommeggianti (nei quali emerge una certa dedizione allo slam tuttavia), il tutto in poco più di 30 minuti di roba ben orchestrata, godibile e dall’intento chiaro e lineare.
Quello che difetta è la capacità dei nostri di creare una linea compositiva di un qualche spessore: i pezzi sono validi e ben suonati, ma non hanno una direzione particolarmente caratterizzata, sono di buon impatto ma non lasciano mai il segno.
Nel complesso, le canzoni più interessanti sono la rocciosa “Ravager”, la più ragionata “Towards below” e la cruda title track.
Buon esordio all’insegna della tradizione più rigorosa: disco da possedere soltanto per chi non può proprio fare a meno di ascoltare tutto ciò che di old school esce sul pianeta o per chi si vuole avvicinare all’underground rumeno dando fiducia alle uscite pionieristiche provenienti da quella remota scena estrema.

Ogni mese L’ANGOLO DELLA MORTE vi fa scoprire le più interessanti uscite DEATH METAL!

Redazione

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