I 20 Migliori Dischi PUNK Del 2022
A cura di Diego Curcio
Le regole d’ingaggio sono sempre le stesse: stilare un classifica con i 20 migliori dischi punk, hardcore, powerp-pop (e declinazioni varie) usciti nel corso del 2022. Niente singoli ed ep, ma solo 33 giri, o quasi. Il tutto nella speranza di non aver dimenticato troppa gente. Anche se è inevitabile, vista la mole di uscite che ormai si susseguono ogni anno. Rileggendo questa lista – e cercando di evitare più refusi possibili – mi sono accorto di una certa preponderanza di gruppi europei, rispetto a quelli americani. Sicuramente non è un caso. L’Europa continentale (Italia, Francia, Germania e Spagna, per non parlare dell’ex blocco sovietico), in questi ultimi anni, ci stanno regalando gruppi e dischi davvero eccezionali. E anche il Regno Unito sta tornando ad avere un ruolo di primo piano nella scena punk mondiale, dopo lo strapotere statunitense degli anni Novanta e dei primi Duemila. Le penisola scandinava, invece, resta una splendida certezza.
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01) Soul Glo “Diaspora Problems” (Epitaph)
“Diaspora Problems” dei Soul Glo è indubbiamente il migliore disco punk-hc del 2022. E non lo dico solo per il fatto che la band di Philadelphia suoni una musica estrema e velocissima, con testi pieni di rabbia e odio nei confronti di una società oppressiva e razzista. Ma anche perché questo lp, uscito per Epitaph, certifica una sorta di evoluzione del punk-hc, che, da musica per proletari bianchi e annoiati, ha saputo tramutarsi in un mezzo espressivo perfetto per dare voce alle minoranze etniche e sociali, che lottano per i propri diritti. A dimostrarlo sono le solide radici black dei Soul Glo – 3 quarti di loro sono afroamericani – che al di là dei facili e giustissimi paragoni con i Bad Brains – “Diaspora Problems” ha la stessa furia irrefrenabile di “Pay To Cum” – riesce a mescolare il punk più corrosivo e metallico, all’hip hop e all’elettronica.
02) Rotten Mind “Unflavored” (Lovely Records).
Il quarto disco della band di Uppsala (Svezia) è una vera delizia di dark punk melodico e malinconico Pur non discostandosi troppo dai 3 album precedenti – tutti stupendi – “Unflavored” vira ulteriormente verso i suoni liquidi della new wave, dando vita a un post-punk glaciale e sintetico. I Rotten Mind sono una delle realtà più interessanti della scena europea e ricordano, per sonorità e attitudine, un altro grande gruppo svedese di qualche anno fa, i Vicious di Umea. Con questo lp, però, il quartetto di Uppsala compie un importante passo in avanti. Fra bassi ipnotici e cori epici ,“Unflavored” è un album destinato a resistere allo scorrere del tempo.
03) Syndrome 81 “Prisons Imaginaires” (Destructure, Sabotage, Black Water)
Un’altra band europea e un altro disco pazzesco, che guarda agli anni Ottanta, senza risultare rétro e derivativo. I Syndrome 81 di Brest (estrema punta nordovest della Francia), hanno imparato a memoria la lezione di due pesi massimi del punk europeo come Blitz e Camera Silens, riuscendo però a creare un suono molto personale e unico. La band d’Oltralpe è uno dei nomi di punta della nuova ed entusiasmante scena oi!-post-punk francese, che annovera fra le proprie fila altri gruppi eccellenti come Rixe, Condor, Bromure e Kronstadt. Dopo una serie di singoli al fulmicotone disseminati in circa dieci anni di storia, i Syndrome 81 hanno finalmente pubblicato il loro primo album sulla lunga distanza. “Prisons Imaginaires” è il punto di incontro perfetto tra le atmosfere oscure e disperate del post-punk e l’aggressività e la potenza corale dell’oi!. Una miscela blasfema, visto che parliamo di due generi spesso antitetici, che ridefinisce il suono del punk contemporaneo.
04) The Manges “Book Of Hate For Good People” (Striped Records)
Solitamente i Manges lasciano passare molto più tempo fra un disco e l’altro. Ma questa volta, complice la pandemia, che ha decisamente penalizzato un buon album come “Punk Rock Addio” uscito nel 2020, Andrea, Mayo, Mass e Manuel sono tornati in studio dopo appena 24 mesi. E quando si sono resi conto di avere per le mani dell’ottimo materiale, hanno deciso di ficcarlo dentro uno dei loro migliori lp di tutti i tempi. Nel 2023 i Manges compiono 30 anni di carriera e se può sembrare incredibile che una punk band italiana riesca a raggiungere un traguardo del genere, c’è da dire che il quartetto ligure è diventato ormai un punto di riferimento per tutta la scena punk-rock internazionale. “Book Of Hate For Good People”, che nel titolo cita gli Screeching Weasel ma nei fatti è dieci spanne sopra qualsiasi disco pubblicato negli ultimi 20 anni da Ben e compagni, è un album eccezionale: pieno di melodie memorabili e pezzi splendidi. Il mio preferito dopo “Go Down”del 2006.
05) The Chats “Get Fucked” (Bergain Bin Records)
La forza dei Chats, oltre all’irruenza giovanile, è la voce sfrontata di Eamon Sandwith, che con il suo accento sguaiato e urticante, rende ancora più ruvidi i pezzi della band australiana. I ragazzini terribili di qualche anno fa (avevo eletto la loro raccolta uscita per Bubca disco punk del 2018) non sono affatto cresciuti e anche in questo “Get Fucked”, a cominciare dal titolo, dimostrano di amare ancora il garage-punk velocissimo e maleducato. Rispetto al precedente “High Risk Behaviour”, però, questo nuovo lavoro dei Chats è molto più compatto e a fuoco: 13 canzoni vorticose e furibonde, in cui l’alcol e il divertimento sfrenato la fanno ancora da padroni. Non c’è molto da dire su “Get Fucked” se non: ascoltatolo fino all’intontimento, perché la sua urgenza vi travolgerà, martellandovi il cervello per giorni e giorni.
06) Osees “A Foul Form” (Castel Face)
Dopo una manciata di album che flirtavano addirittura con il prog, quel geniaccio di John Dwyer e cioè l’anima e la sostanza degli Oh Sees, ha deciso di scrivere, suonare e pubblicare con la sua Castel Face un disco punk-hc, che spariglia completamente le carte. I dieci pezzi in meno di 22 minuti di “A Foul Form” sono schegge di punk sporco, ottuso e lofi, che colpiscono per la loro forma sgraziata e al tempo stesso incantevole. Forse questo album è sorta un omaggio alle origini del progetto di Dwyer prima che le sue continue sperimentazioni e contaminazioni lo portassero a battere terreni sempre nuovi e, in certi casi, impervi. “A Foul Form” è musica minimale da cavernicoli: una boccata d’aria fresca per chi ama il rumore e la spontaneità.
07) Sharp Class “Tales Of A Teenage Mind” (Autoprodotto)
Gli Sharp Class sono tre ragazzini delle Midlands innamorati dei Jam (al limite del plagio), del primo punk inglese e dei Kinks. Un gruppo di mocciosetti che, nonostante la giovane età, sa decisamente il fatto suo, come dimostra questo esordio autoprodotto e assolutamente da manuale. Certo, a un primo ascolto“Tales Of A Teenage Mind” può sembrare un disco abbastanza derivativo, che, oltre alla band di Paul Weller, guarda piuttosto sfacciatamente a tutto il giro revival mod della fine degli anni Settanta (Secret Affair e The Chords su tutti). Ma la freschezza e l’irruenza di questi ventenni riuscirà a farvi mettere da parte ogni giudizio affrettato. In questi dieci brani melodicissimi e ruspanti c’è tutta la passione di chi ha appena capito che la musica gli ha appena salvato la vita.
08) Exwhite “Estray” (Turbo Discos)
Ok, lo so che si tratta soltanto di un ep 12” e, qualche riga più su, mi ero ripromesso di inserire in questa classifica esclusivamente lp. Ma “Estray” degli Exwithe conta comunque un totale di 8 pezzi, anche se quasi tutti sotto i 2 minuti di durata. A farmi scoprire questa banda di crucchi è stato il mio amico Alberto Canale di Flamingo Records e, anche questa volta, ci ha visto giusto. Gli Exwhite suonano un punk minimale e dai richiami garage, con qualche timido accenno surf. La vena malinconica dei pezzi fa subito pensare ai Marked Men, come d’altra parte il gusto per le melodie agrodolci e le chitarre taglienti. Ma il vero segreto di questi pezzi è soprattutto l’urgenza di suonare sporchi e rumorosi. Un disco, anzi scusate un ep, davvero prezioso.
09) Soulside “A Brief Moment In The Sun” (Dischord)
Il ritorno dei Soulside, dopo più di 30 anni dal loro ultimo album in studio, è di quelli che non passano certo inosservati. E non tanto per il blasone della band – una delle formazioni più interessanti della scuderia Dischord – ma proprio per la qualità delle canzoni che compongono “A Brief Moment In The Sun”. La voce di Bobby Sullivan resta inconfondibile, così come il suono della band: un post-hc evoluto, solido e spirituale. Forse, rispetto al passato, i brani sono meno furiosi e più riflessivi, ma questi dodici pezzi – grazie anche alle loro liriche intense e narrative – ci restituiscono, più viva che mai, una band che in molti abbiamo conosciuto e amato solo dopo il suo prematuro scioglimento.
10) Not Moving L.T.D. – Love Beat (Area Pirata)
Anche i Not Moving – gruppo cardine del garage italiano degli anni Ottanta e vera e propria istituzione underground – tornano, dopo tanto tempo, a pubblicare un disco nuovo di zecca. “Love Beat”, uscito per Area Pirata, è puro rock’n’roll impastato di melodie malsane e blues paludoso. Nove brani compatti e dall’inattesa vena “pop”, che alternano ballate spettrali a valzer vorticosi di voodoo-punk. Un album eccellente, che si candida a diventare uno dei migliori lavori dei Not Moving.
11) NOFX “Double Album” (Fat Wreck Chord)
Dopo il semi deludente “Single Album” dello scorso anno, finalmente i NOFX tornano a fare sul serio e pubblicano, a sorpresa (?), un disco di “scarti” riarrangiati che ha del miracoloso. Fat Mike, messa momentaneamente da parte la sua vena dark e piagnucolona, ha ricominciato a incazzarsi e a divertirsi. E lo dimostrano brani durissimi, ma dalle splendide melodie come “Is It Too Soon if Time Is Relative” e “Don’t Count On Me”, con tanto di coda reggae cantata da un El Hefe in grande spolvero. Molti si sono lamentati del fatto che la stragrande maggioranza dei pezzi fosse già uscita in versione “demo” su alcuni 7”: ma chi se ne frega. In questa veste definitiva le canzoni sono decisamente una spanna sopra e, messe una in fila all’altra, fanno di “Single Album” uno dei dischi più anni Novanta dei NOFX da un quinquennio a questa parte.
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12) Complete Loss – Complete Loss (Contra Records)
L’esordio omonimo dei tedeschi Complete Loss è una sberla oi!-core, che ricorda molto i Chisel e guarda alla nuova scena street britannica. Punk-hc alla vecchia maniera quindi, ma sintonizzato con quanto accade in questo periodo nel vecchio continente. Un suono apparentemente monolitico e roccioso, ma al tempo stesso ricco di sfumature interessanti, come dimostra “Doubts And Complaints”, dove emerge un’attitudine melodica tutt’altro che banale. È come sei i Complete Loss suonassero un rock’n’roll disperato e incattivito, capace di mescolare sapientemente Discharge e Sham 69.
13) Sweat “Gotta Give It Up” (Pirate Press)
Tuna Tardugno, oltre ad avere uno nome eccezionale, è una wrestler professionista che, nel tempo libero, canta in un gruppo punk chiassoso e dalle influenze hard-rock, chiamato, con grande sforzo di fantasia, Sweat. Ecco: potrebbe bastare questa manciata di parole per convincere anche il più ritroso dei lettori di Tomorrow Hit Today a mollare tutto e mettersi all’ascolto di questo disco. Un esordio (l’ennesimo di grande qualità uscito nel 2022) capace di mettere d’accordo punk e metallari, più di una Peroni gelata. D’altra parte la band di Los Angeles è una macchina da riff poderosi, messi al servizio di schegge impazzite della durata massima di due o tre minuti. La voce di Tuna, urlata a sgraziata, è la ciliegina sulla torta di un album capace di mescolare furia, raffinatezza e spontaneità.
14) Straw Man Army “SOS” (La Vida Es Un Mus)
Il secondo lp degli Straw Man Army (anche se tra “SOS e l’esordio “Age Of Exile” c’è un’oscura colonna sonora uscita solo su cassetta) è un album di post-punk sghembo e anarcoide, quasi rupestre, che ricorda certe produzioni della Crass Records. Un disco indubbiamente meno dirompente rispetto al già citato “Age Of Exile” – che fu una vera e propria rivelazione – ma comunque interessante e assolutamente unico, per il panorama underground statunitense. I dieci brani (più tre interludi) di “SOS” hanno quasi tutti una struttura semplice e scarna, ma sono carichi di pathos e ritmiche serrate e irregolari. Il duo newyorkese dimostra di aver sviluppato un’impronta musicale molto personale, giocando con una sorta di spokern word, steso su un tappeto sonico spigoloso e asciutto.
15) Dadar “Iron Cage” (Goodbye Boozy Records)
I Dadar sono una synth-garage band italiana che, sin dal demo d’esordio (inserito in questa classifica ben 5 anni fa) non ha mai sbagliato un colpo. E questo primo lp, uscito per la benemerita Goodbye Boozy Records, ha il sapore della consacrazione. Si può suonare marci e sporchi, ma al tempo stesso melodici? “Iron Cage” è la risposta a questa e a molte altre domande. Musica robotica, al limite del danzereccio, ma affilata come una lama, che ti entra nella carne. Quello dei Dadar è un suono che vive di contrasti e che non ha paura di guardare al passato. Una sinfonia aliena e scomposta, fatta di piccole gemme da 60 secondi.
16) The Linda Lindas “Growing Up” (Epitaph)
Il debutto delle Linda Lindas, uscito qualche mese fa per Epitaph, era uno dei dischi più attesi dell’anno. I singoli precedenti, più scanzonati e pop rispetto al materiale finito poi su “Growing Up”, avevano creato un certo hype intorno a questo quartetto di punk californiane, soprattutto a fronte della loro giovanissima età. E devo ammettere che le aspettative sono state confermate. Anzi, i dieci brani di questo esordio dimostrano una certa maturazione delle band – a dispetto dell’inesperienza e dell’anagrafe – tanto che oggi, le coordinate sonore delle Linda Lindas, sembrano essersi spostate verso una sorta di post-punk o indie-rock evoluto, dove le chitarre si fanno sempre più affilate e i ritmi meno serrati.
17) The Paranoyds “Talk Talk Talk” (Third Man Records)
Suoni obliqui ed elettronici, che ricordano a tratti i Devo, canzoni destrutturate e spigolose, con un’irrefrenabile vena pop, che pescano a piene mani dall’underground americano degli anni Novanta. Provate anche voi a resistere alle Paranoyds: tre ragazze e un maschietto alle prese con un synth-punk sbilenco e martellante, capace di regalarci pezzi squisiti come “Nissan Overdrive” (che sembra una b-side dei Dinosaur Jr. con voce femminile) e perle post-punk come “Freak Out”.
18) Limoges “Milan Shakes, Turin Shocks, Limoges Rocks” (Hey Pizza Records/Slack)
I Manges hanno fatto scuola, certo, ma i Limoges sono tra i loro discepoli più talentuosi. La band, milanese, qui al suo primo album, mette sul piatto un punk-rock davvero irresistibile, che oltre alla band spezzina, ricorda i primi Stinking Polecats e il power-pop di ultima generazione. Generose dosi di zucchero, quindi, ma anche una certa malinconia di fondo, che rendono “Milan Shakes, Turin Shocks, Limoges Rocks” un disco da ascoltare a rotta di collo dall’inizio alla fine, con parecchio godimento.
19) Speedways “Talk Of The Town” (Snap!! Records, Hurrah! Música, Beluga Music)
Gli Speedways sono una vecchia conoscenza di questa classifica di fine anno, visto che anche il loro album precedente, “Radio Sound”, era finito nella lista del 2020. Questo “Talk Of The Town” è il suo degno successore, grazie un power-pop cristallino, con un certa assonanza punk, che recupera la lunga tradizione inglese di questo “non genere”. Avete presente i Records di “Starry Eyes”? Bene: gli Speedwyas sembrano i loro nipotini più scapestrati e indisciplinati. E anche se, come da tradizione, lungo i 13 pezzi del disco non mancano le ballate strappalacrime, è nei pezzi più movimentati che la band inglese dà il meglio di sé.
20) Beach Rats “Rat Beat” (Epitaph)
Dopo gli ottimi Fake Names, la Epitaph mette sotto contratto un altro supergruppo, che ruota intorno al vulcanico Brian Baker (Minor Threat, Dag Nasty, Bad Religion e, appunto, Fake Names). Accanto a questo grande vecchio del punk-hc, questa volta, ci sono due Bouncing Souls (Bryan Kienlen e Pete Steinkopf) e il cantante dei mai troppo lodati Lifetime, Ari Katz. Il risultato non è di certo un disco che vi cambierà la vita (e come potrebbero mai farlo 4 stagionati punk-rocker?), ma un onesto e gradevole album di hardcore alla vecchia maniera, di cui si sentiva davvero il bisogno. Pezzi ruvidi, veloci e senza troppi fronzoli, tra richiami al classico sound americano anni Ottanta e Novanta e qualche concessione alla modernità. La voce di Ari è un tuffo al cuore e i 13 pezzi di beach-core di questo “Rat Beat” (quasi tutti sotto i due minuti) corrono via come macchine impazzite.