Post Metal: I 25 Migliori Dischi 2000-2009

L’inizio del nuovo millennio vede un nuovo genere musicale interfacciarsi negli stereo degli adolescenti. E’ un nuovo modo di suonare metal, che in qualche modo abbatte le frontiere del genere contaminandolo con nuovi suoni e nuove frequenze. No, non è il nu-metal ma il suo contraltare: il post-metal. Un genere che nasce come evoluzione del post-hardcore degli anni 90 (lo vedremo in un altro articolo) suonato da Converge, Breach, Coalesce, Candiria, Botch, Cave In, Knut e decine di altri, i cui suoni diventano più massicci, maggiormente influenzati dallo sludge e dal doom e meno dalla frenesia dell’hardcore. C’è anche un nuovo ingrediente: il post-rock di Mogwai, Sigur Ròs, Labradford, Godspeed You! Black Emperor che porterà le band ad allungare il minutaggio e a perdersi in arpeggi riverberati e ricchi di delay. La semplice somma riff sludge + arpeggi post rock ha come risultato il post-metal ma ovviamente esistono decine di variazioni in base al background di ogni singolo gruppo.

Tra il 2000 e il 2009 ci fu un fiorire di dischi di questo genere (ai tempi non ancora “istituzionalizzato” e messo nel calderone post-hardcore o in quello doom in base ai gusti personali) che creò anche una discreta saturazione del mercato e, verso la fine, una discreta nausea da parte degli ascoltatori. Dopo il primo decennio il genere cambierà pelle, raccogliendo anche influenze black metal (finalmente scoperto anche negli Stati Uniti con 20 anni di ritardo, tramite band come Agalloch, Nachtmystium e Altar Of Plagues) e progressive (The Ocean). Ma da quando la ricchezza delle proposta è un male? Ecco perchè è doveroso ripescare dischi che forse sono stati abbandonati troppo presto e incensare capolavori che meritano visibilità non solo all’interno del genere.

In questa lista ricordiamo 25 dischi che non dovrebbero mancare nella collezione di ogni vero appassionato. Ovviamente non ci sono doppioni (degli Isis potevano entrarci sia “Oceanic” che “Panopticon”, ha vinto “Oceanic” solo perchè è uscito prima), nè dischi fuori genere che però sono spesso citati perchè hanno elementi post-metal (es “Jane Doe” dei Converge o “White Tomb” degli Altar Of Plagues). Nel sito che state visitando troverete altri articoli per aiutarvi a sviscerare ulteriormente il genere e i suoi dintorni: buona caccia e buona lettura!

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1 – NEUROSIS – A SUN THAT NEVER SETS (2001, RELAPSE)

Il sound dei Neurosis è sempre stato in continua evoluzione: gli esordi crust, la svolta sludge, l’abbraccio del post-hardcore, la creazione di un proprio muro di suono riconoscibile e devastante come nessun altro. Quando firmarono per Relapse pubblicarono tre capolavori in grado di segnare il sound della musica pesante e tracciare una nuova strada per le future generazioni: “Through Silver In Blood”, “Times Of Grace” e “A Sun That Never Sets”. Sebbene tutti e tre siano dei dischi da 10 e lode ” A Sun That Never Sets” è quello che ancora oggi risulta il perfetto connubio fra le numerose anime della band abbracciando anche il folk che Kelly e Von Till avrebbero sviluppato nei rispettivi progetti solista. Qui dentro tutto è “post” ma è anche decisamente “presente” e “passato”. Il dolore che trasmette questo disco è inarrivabile ancora oggi e difficilmente vi passerà sopra senza lasciare traccia. Ospite del disco Kris Force delle Amber Asylum, qui al violino e al violoncello, registrazione a cura di Steve Albini e artwork di Seldon Hunt. Una squadra che non poteva sbagliare. Il disco è uscito anche in formato DVD con visual per ogni brano.

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2 – ISIS – OCEANIC (2002, IPECAC)

Se “Celestial” aveva rivelato una nuova band che riprendeva il sound incazzoso dei Godflesh portandolo nel nuovo millennio, con il secondo disco “Oceanic” siamo su tutto un altro livello. Le composizioni degli Isis crescono di ispirazione suonando ancora fresche a 20 anni di distanza e includendo fra le influenze il post-rock di Godspeed You Black Emperor e Mogwai, il grunge di Alice In Chains e Soundgarden (quelli più psichedelici), il prog-metal dei Tool senza rinunciare all’impatto dei Neurosis e dei Godflesh e del post-hardcore anni 90. “Oceanic” (e il suo fratello “Panopticon”, altrettanto spettacolare) è uno dei dischi più belli degli anni 2000 e non solo, capace di dare ai giovani dell’epoca un motivo per tuffarsi senza riserve in questo nuovo genere, stimolandoli a prendere in mano uno strumento cercando di replicarne il suono. Alla produzione troviamo Matt Bayles già al lavoro nei dischi di Pearl Jam (No Code, Yield, Binaural), Soundgarden (Down On The Upside), Deftones (Around The Fur), Botch, Tragedy: vera e propria arma segreta della band.

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3 – Battle Of Mice – A Day Of Nights (2006, Neurot)

Odio, amore e infine odio. Ecco come è nato il progetto Battle Of Mice, supergruppo formato da Julie Christmas (cantante dei Made Out Of Babies) e Josh Graham (Red Sparowes, A Storm Of Light, Neurosis), aiutati in produzione da Joel Hamilton. La coppia si stava sul cazzo, poi si sono innamorati e infine hanno deciso di non volersi vedere mai più. In mezzo c’è la costruzione di questo monumentale disco, uno dei più sorprendenti del genere. La voce schizzata (un po’ alla Kat Bjelland delle Babes In Toyland) di Julie si sposa perfettamente con le chitarre epiche di Josh che sembrano fluttuare nello spazio e in un tempo tutto loro. Un disco irripetibile figlio degenere di una coppia in stato di grazia.

4 – Pelican – Australasia (2003, Hydra Head)

Provenienti da Chicago i Pelican sono stati il primo gruppo a formarsi ispirati dal sound dei Neurosis e degli Isis, arrivando “terzi” nel proporre quel sound lento ma complesso e in un certo senso cristallizzandone le caratteristiche portanti. Riff sludge / stoner, andamento lento, sviluppo progressivo, arrangiamenti chitarristici non banali fanno di “Australasia” una vera e propria perla sonora in una carriera un po’ altalenante e vero e proprio ABC del post-metal da imparare a memoria.

5 – Mare EP (2003, Hydra Head)

Pubblicato nel 2003 come autoproduzione e ristampato l’anno successivo da Hydra Head, l’esordio dei canadesi Mare rimane una anomalia del genere, un vero e proprio fulmine a ciel sereno. Difficile da spiegare come possa essere nato un disco del genere capace di includere in poco meno di 25 minuti riff heavy, melodie ultra terrene, cambi di atmosfera imprevedibili, noise lancinante: una perla conosciuta da pochi ma che meriterebbe molto di più. Dopo la pubblicazione dell’EP la band si scioglierà per poi riunirsi di tanto in tanto giusto per farci sperare in un disco che chissà se arriverà mai.

6 – Old Man Gloom ‎– Christmas (2004, Tortuga)

Formati sul finire degli anni 90 da Aaron Turner degli Isis e Santons Montano dei Zozobra gli Old Man Gloom sono un vero e proprio laboratorio artistico in cui converge la scena post-hardcore di Boston e che dal 1999 a oggi ha prodotto solo capolavori. “Christmas” racchiude un po’ la summa del post-hardcore-metal di quegli anni come testimoniato da una formazione stellare che oltre Turner e Montano vede Kurt Ballou (Converge), Nate Newton (Converge, Cave In), Caleb Scofield (Cave In, Zozobra), Eugene Robinson (Oxbow). E’ difficile spiegare la libertà espressiva che troverete qui dentro capace di spaziare da riff super sludge a momenti introspettivi acustici e sfuriate hardcore.

7 – Minsk ‎– The Ritual Fires Of Abandonment (2007, Relapse)

Come potrebbero suonare gli Hawkwind se fossero stati dei giovanotti nei primi anni 2000? Molto probabilmente come i Minsk, band che sposta l’asticella post-rock e progressiva in territori psichedelici freakettoni cari alla band di “Master Of The Universe”, non a caso coverizzati assieme ad Harvestman e US Christmas nell’album “Hawkwind Triad”. Synth spaziali sommersi sotto riffoni provenienti dall’inferno e il sassofono di Bruce Lamont (Yakuza) tracciano nuovi colori in un genere che ai tempi sembrava prestarsi a molteplici contaminazioni. La produzione è ad opera del guru Sanford Parker, da questo disco ufficialmente in formazione con la band. Se volete mandare il cervello in fumo dopo averlo sbattuto violentemente contro un muro questo è il disco che fa per voi. Qualcuno l’ha definito cosmic-post-metal e non trovo definizione migliore.

8 – Kongh – Shadows Of The Shapeless (2009, Music Fear Satan)

Gli svedesi Kongh hanno avuto una carriera molto breve ma hanno lasciato tre ottimi dischi di cui il secondo “Shadows Of The Shapeless” è considerabile il più riuscito. La band suonava un bello sludge ma con piglio post-metal: brani lunghi e progressivi, disperati e parecchio vari. C’è anche qualche spazietto per una vocalità più “normale” non troppo lontana dalle atmosfere degli Acid Bath. Ma le pennate sono decisamente “post-metal” e gli arpeggi sufficientemente viaggiosi. E’ un peccato che non abbiano portato avanti il progetto ma meglio così che finire in un vicolo cieco come successo a molti loro colleghi.

9 – Cult Of Luna – Somewhere Along The Highway (2006, Earache)

E’ difficile stabilire un disco migliore dei Cult Of Luna: fin dagli esordi sono sempre stati degli ottimi “imitatori” e non hanno mai giocato a superare i maestri o a cercare di trovare una propria strada. Proprio per questo ancora oggi sono un baluardo di un certo modo di suonare e sebbene abbiano reso il sound meglio prodotto non si sono praticamente mossi dal “post-metal” originale, ecco perchè sono un gruppo fondamentale, da approcciare proprio per capire senza tanti fronzoli cosa esattamente si intenda con questa definizione. “Somewhere Along The Highway” è esattamente la via di mezzo fra Isis, Neurosis e Mogwai e mantiene ancora un retrogusto “hardcore” che nel giro di uno o due album si perderà definitivamente.

10 – Jesu ‎– Jesu (2004, Hydra Head)

Quando nel 2004 Justin Broadrick presentò la sua nuova creatura pochi lo presero sul serio. Jesu, nome che portava avanti la tradizione ecclesiastica di Godflesh e God, sembrava un passatempo casalingo e invece arrivò timidamente e scoperchiò le regole del “post-metal” esattamente come fece 25 anni prima con i Godflesh. Ritmi monolitici, bassi stordenti, chitarre shoegaze e voce monocorde: in un colpo solo Justin inventò un nuovo linguaggio musicale come solo gli inglesi sono in grado di fare: con umiltà e semplicità. Lo slowcore di Low e Codeine incontra il metal e non lo lascia più.

11 – Tarantula Hawk – Tarantula Hawk (2002, Neurot)

I californiani Tarantula Hawk sono un’anomalia del panorama heavy psichedelico. Si potrebbero descrivere come dei Neurosis senza chitarre e voce con una forte impronta kraut-psichedelica derivata dall’uso intensivo di sintetizzatori su brani lunghi e tappetosi. Nella loro breve carriera hanno pubblicato quattro dischi di cui solo quello uscito su Neurot ha avuto una discreta distribuzione. I primi tre lavori erano tutti un unico lungo brano di durate importanti: “Desert Solitaire” di 79 minuti, l’omonimo (da non confondere con questo) di 35 minuti mentre “Burrow” ne dura 41. Tutti e tre usciti nel 2000. Ovviamente non se li sono lasciati scappare i Neurosis che li misero sotto contratto per la loro Neurot facendoli conoscere agli appassionati di post-metal, genere che qui si fonde splendidamente con psichedelia e Kosmische Musik. I brani diventano cinque ma in realtà i primi quattro sono un unica suite mentre l’ultimo è un delirio di noise drone dark ambient ossessiva di 50 minuti. Tarantula Hawk sono stati uno dei tanti fulmini a ciel sereno di un decennio che ha regalato tante chicche da non perdere.

12 – Buried At Sea – Ghost (2007, Neurot)

Buried At Sea è la band che vede nelle proprie fila Sanford Parker, prezzemolino del post-metal più evoluto: lo troviamo nei Minsk, Circle Of Animals (con Bruce Lamont dei Yakuza), Correction House (con Scott Kelly dei Neurosis e Mike Williams degli Eyehategod), nei Twilight (con Blake Judd dei Nachtmystium e Wrest dei Leviathan). Per non parlare delle decine di dischi su cui ha messo mano in fase di produzione. Buried At Sea sono ovviamente eccellenti e con “Ghost”, unica traccia di 30 minuti, riassumono per bene il concetto di post metal apocalittico tanto caro ai Neurosis. Urla, disperazione, potenza e tanto doom fanno di “Ghost” una piccola perla nera da (ri)scoprire.

13 – Overmars – Affliction, Endocrine…Vertigo (2005, Candlelight)

I francesi Overmars sono un culto conosciuto da pochissimi ma quei pochi non possono che essere d’accordo sulla loro grandezza. Nella loro breve carriera hanno pubblicato due dischi e una discreta manciata di split, sono partiti da una solida base post-hardcore sviluppandola con una massiccia quantità di sludge e doom senza copiare questo o quest’altro. Anzi, potremmo dire che in qualche modo hanno anticipato la direzione sonora di band vicine come Celeste e Amenra con brani apocalittici, disperati e neri come la pece. “This Is A Rape” è un manifesto programmatico della loro violentissima attitudine sonora.

14 – Year Of No Light – Nord (2006, Radar Swarm)

Rimaniamo in Francia con Year Of No Light, band attiva ancora oggi con ottimi risultati, pur essendosi presa qualche anno sabbatico di riflessione. In “Nord” non erano ancora completamente strumentali come nei successivi lavori, sebbene la voce non sia certo l’elemento portante (un po’ come avviene negli Isis ovvero rimanendo in secondo piano) e le strutture siano già piuttosto complesse e massicce. Si può dire che, esattamente come i connazionali Overmars, Year Of No Light abbiano proiettato il genere verso quel suono europeo che ascoltiamo ancora adesso con estremo godimento: molto meno post-rock e molto più metallaro. Sebbene la produzione sia decisamente acerba e minimale la band fa venire giù montagne con i loro riff incessanti e ipnotici. In futuro faranno di meglio ma già qui c’è di che godere.

15 – Shora ‎– Malval (2006, Conspiracy)

Dopo un inizio di carriera orientato verso il noise rock (hanno persino collaborato con Merzbow) gli svizzeri Shora vengono folgorati dagli Isis e cambiano completamente registro. Nel 2006 se ne escono con “Malval” ideale seguito musicale di “Panopticon”. Arpeggi post-rock, riffoni heavy, esplosioni nel cielo e tanta epicità strumentale. Anche il suono in studio cerca di imitare Aaron Turner e soci cogliendone le caratteristiche migliori (rullante in primo piano, chitarre limpide). Dopo questo disco Shora si scioglieranno senza tanti clamori e non daranno più segni di vita. Ma fatevi un favore: recuperate assolutamente “Malval”, uno dei migliori dischi alla Isis che vi capiterà di ascoltare.

16 – Vanessa Van Basten – La Stanza Di Swedenborg (2006)

Vanessa Van Basten non è il nome di una cantautrice olandese ma è una band italiana, ai tempi con sede a Genova, formata da Morgan Bellini (successivamente in Angela Martyr e Yellow Kings) in compagnia di Stefano Parodi (poi in Mope e Temple Of Deimos) a cui via via si sono aggiunti altri membri. Non so se sia giusto incasellare “La Stanza Di Swedenborg” fra i migliori dischi post-metal perchè le chitarre sono sì pesanti ma non hanno la tipica pennata sludge del genere ma preferiscono lasciarsi andare in un sound quasi shoegaze. La pesantezza e l’oscurità delle composizioni rendono questo disco in una strana via di mezzo fra il post rock, il post metal, l’industrial, l’heavy psichedelia, il doom, il grunge senza essere pienamente niente di tutto ciò: il non appartenere ad un genere dovrebbe essere già garanzia di qualità! L’ispirazione della band è qui ai massimi livelli tanto da non sfigurare ma, anzi per certi versi superare, i padri ispiratori Jesu, Nadja e God Machine. Uno dei migliori dischi usciti in Italia, non solo nel genere “underground”.

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17 – Nadja – Touched (2003)

Prima che Justin Broadrick formasse gli Jesu il canadese Aiden Baker aveva già sperimentato le stesse idee con il progetto Nadja assieme a Leah Buckareff: tempi slowcore elettronici, chitarre shoegaze e pesantezza doom come dei Godflesh suonati alla metà della velocità. “Touched” è il primo prodotto a nome Nadja di cui, francamente, è impossibile definire quale sia il migliore data la quantità di dischi usciti (senza contare quelli a nome Aiden Baker). Questo è il primo uscito come autoproduzione nel 2003 e ristampato con bonus track nel 2007, testimoniante quanto fosse già avanti il sound del duo.

18 – Rosetta – Galilean Satellites (2005, Translation Loss)

L’artwork del disco è a cura di Aaron Turner degli Isis mentre l’idea di pubblicare il disco in versione doppia con un disco ambient che può suonare da solo o in coppia con l’altro disco è mutuata dai Neurosis di Times Of Grace. Abbiamo quindi dei riferimenti molto chiari e i cinque di Philadelphia non fanno niente per nasconderli. I Rosetta contribuiscono proprio per questo alla creazione di un genere che prima d’ora non esisteva nello stesso momento di Pelican e Cult Of Luna. Pur non facendo quasi mai gridare al miracolo la loro carriera è ricca di dischi più che validi con particolare attenzione a questo iniziale “Galilean Satellites” e al successivo “Wake/Lift”. Youtube ci viene pure in aiuto donandoci la possibilità di ascoltare la versione con i due dischi che suonano in contemporanea:

19 – Callisto – Noir (2006, Fullsteam)

Ricordo ancora come fosse ieri le recensioni e le opinioni dei forum specializzati quando iniziò a saturarsi il genere. Con l’arrivo dei Callisto eravamo già al clone del clone del clone e la band ebbe poche speranze di sopravvivere in un circuito di ascoltatori snob che scaricavano da Napster e Soulseek file mp3 di bassa qualità: furono velocemente tacciati di essere una brutta copia degli Isis e messi nel dimenticatoio. Chi ebbe la pazienza di continuare ad ascoltarli trovò in realtà una band che aveva molto da dire pur muovendosi in cliché “post-rock-metal-hardcore” piuttosto definiti. E già il titolo “Noir” dovrebbe far intendere che i finlandesi preferivano sonorità più soffuse e jazzate, testimoniate dai numerosi break di sassofoni, flauto, corno inglese e glockenspiel non troppo lontani dai suoni che verranno sviluppati da lì a poco dalla scena doom-jazz di Mount Fuji Doomjazz Corporation, Kilimanjaro Darkjazz Ensamble, Dale Cooper Quartet, Mope. Alla fine gli snob si sbagliavano e i Callisto erano una band di qualità, forse usciti troppo in anticipo e per questo non pienamente compresi.

20 – Across Tundras ‎– Dark Songs of the Prairie (2006, Crucial Blast)

Da più di 20 anni ormai sappiamo come si è sviluppato il post-metal ma quante direzioni avrebbe potuto prendere? Una delle più stravaganti poteva essere quella segnata dagli Across Tundras, band del Colorado che suona come un naturale mix fra il postmetal di Isis e Neurosis e i suoni desertici di Neil Young, Earth e Thin White Rope. Una discografia enorme, pressoché ignorata da tutti che inizia con questo “Dark Songs of the Prairie”, uno dei dischi più originali del genere.

E’ in free download su bandcamp:

21 – Fall of Efrafa – Inlé (2009, Alerta Antifascista)

Il primo decennio del nuovo millennio viene chiuso brillantemente dai Fall Of Efrafa che concludono la trilogia sonora “The Warren Of Snares” ispirata alla novella “La Collina Dei Conigli” iniziata con Owsla e proseguita con Elil. Nei primi lavori gli inglesi portavano avanti la tradizione “crust” e fieramente indipendente dei primi Neurosis aggiornata con le sonorità post-hardcore apocalittiche e post-rock ma in “Inlè” la componente doom post-metal prende il sopravvento e si merita quindi un posto fra i migliori dischi del genere del decennio.

22 – Omega Massif – Geisterstadt (2007, Radar Swarm)

Nella ondata “post-hardcore doom” gli Omega Massif sono quelli che hanno patito maggiormente lo snobismo degli ascoltatori del periodo non riuscendo a svettare per nessun motivo in particolare. Ora che sono passati quindici anni e abbiamo avuto modo di digerire il genere possiamo dire che i tedeschi avevano delle ottime carte che purtroppo non sono state giocate nel modo giusto, un po’ per mancanza di carisma, un po’ per una promozione non adeguata. Eppure il loro post-metal strumentale era decisamente massiccio, degno di nota e privo di “giri a vuoto”. Pensate ad un mix fra Isis e Pelican e non sarete tanto lontani dal suono proposto in questo “Geisterstadt”.

23 – Zozobra ‎– Harmonic Tremors (2007, Hydra Head)

La scena “Hydra Head” partorì non solo ottimi dischi ma fu da base per una serie di ottimi side project. Uno di questi si chiama Zozobra ed è il progetto di Caleb Scofield, compianto bassista dei Cave In scomparso a causa di un incidente stradale a soli 39 anni. In compagnia di Caleb troviamo anche Santos Montano, compare di Aaron Turner nel progetto Old Man Gloom e possiamo dire che anche a livello musicale Zozobra sono un po’ un’appendice di quel progetto muovendosi fra post-harcore, siparietti acustici, sperimentazione e sludge. Non un disco minore, anzi, adatto ad ascoltatori curiosi e avventurosi.

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24 – Mouth of the Architect – Time & Withering (Translation Loss)

Tra le prime uscite della Translation Loss “Time & Withering” dei Mouth Of The Architect è un disco che può ambire alla “coppa Uefa” come si diceva un tempo, ovvero non eccelle ma ha i suoi ottimi momenti che può soddisfare gli appassionati del genere, che arrivati a questo punto hanno una visione piuttosto completa di ciò che veniva proposto nei primi anni 2000. Pur senza fretta, la band di Dayton, Ohio, ha continuato a pubblicare dischi pienamente nel genere diventando un baluardo per i fan del post-metal più appassionati.

25 – Russian Circles – Station (2008, Suicide Squeeze)

Molti storceranno il naso nel vedere i Russian Circles così in basso nelle posizioni ma, sinceramente, era in dubbio persino la loro presenza in classifica. La band, infatti, ha più le caratteristiche di un gruppo post-rock che quelle di uno post-metal. Nella loro musica non c’è traccia di hardcore e nemmeno di sludge, sostituito dalle architetture complesse del math rock e del progressive. L’abilità tecnica della band è strabiliante ed è in grado di entusiasmare gli ascoltatori più esigenti dal punto di vista esecutivo. Il grande merito è quello di aver sdoganato ad un pubblico più ampio un certo tipo di sonorità. Ecco perchè comunque un posto in classifica se lo sono guadagnato. Ma di “metal” qui ne troverete veramente poco.

Redazione

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