Post Metal: Le Origini
Mettiamo subito i puntini sulle “I”: cosa intendiamo quando parliamo di musica “post metal“? Non c’è una definizione univoca ma possiamo riassumerlo come un genere ibrido che mescola in dosi variabili sludge, doom, post-rock, progressive, black metal, hardcore, industrial e noise. Il primo esempio di questo ibrido è “Through Silver In Blood” dei Neurosis, vera e propria pietra miliare della musica estrema degli anni 90. Talmente importante che fu preso come modello prima dagli Isis e successivamente dai vari Cult Of Luna, Rosetta, Callisto… E’ un parente molto vicino del post-hardcore, infatti prima che nascesse il genere i dischi venivano genericamente indicati in questo modo finché non ha trovato una precisa identità “metallara”. Il post-metal è un figlio degenere dell’hardcore, fratello dell'”anti-hardcore” con cui condivide le origini e i primi passi.
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Le Origini
In queste pagine abbiamo parlato di come si originò lo sludge e di come un disco come “My War” dei Black Flag abbia convinto tutti i musicisti picchiatelli che “lento è bello”. Vi rimando quindi agli articoli linkati e vi lascio la lista dei dischi che hanno contribuito a creare il sound “post” come lo conosciamo oggi: un mix di hardcore mutante (Flipper e Black Flag), industrial cacofonico (Swans), hardcore metalizzato (Amebix), strampalate composizioni strumentali (Gore, Blind Idiot God), proto grunge (Melvins), follia noise doom (Zeni Geva) e le sperimentazioni robotiche di Justin Broadrick (Head Of David e Godflesh). Band che non hanno mai avuto un successo tale da essere immediatamente influenti e generare un trend definito ma in grado di colpire l’immaginario di pochi, illuminati, ascoltatori. Per molti era schifezza, per alcuni oro.
Black Flag – My War (1984)
Mentre il lato A è un “normale” disco hardcore, il lato B mette in mostra il lato doom dei Black Flag, genere che ancora non esisteva e che era suonato da un manipolo di matti devoti ai Black Sabbath, ai tempi non certo il gruppo più alla moda. Lo schiaffo che la più celebrata band hardcore diede al proprio pubblico si fa sentire ancora oggi: fra decine di delusi e schifati e una manciata di adoranti personaggi che vorranno copiarne il suono e l’attitudine. “My War” è la prima volta che due generi in lotta fra loro come punk e metal si mettono insieme, creando uno strano ibrido che qualche anno dopo verrà chiamato SLUDGE.
Swans – Cop (1984)
Gli Swans di Michael Gira hanno sempre giocato con noise, industrial, no wave e punk diventando un po’ i padrini di ciascun genere ma “Cop” mette in difficoltà anche il fan più paziente e il critico più entusiasta. I ritmi lenti, ossessivi e pesanti sono quelli che i Neurosis prenderanno come riferimento, così come i Godflesh e la scena industrial-metal di fine anni 80 e inizio anni 90. Gira canta come un Iggy Pop intrappolato in una fabbrica di acciaio, la band non smette di picchiare con perizia chirurgica: “Cop” non è un disco ma un’esperienza mistica.
Amebix – Arise! (1985)
… e un bel giorno Jello Biafra dei Dead Kennedys passò la cassetta di “Generic” dei Flipper a dei crust punk marci chiamati Amebix. Dopo averla ascoltata la reazione fu: fanculo il punk, fanculo i Crass, evviva il metal! Si possono unire Celtic Frost, Venom, Hellhammer, Bathory con il punk spruzzando il tutto con una bella dose di dark wave depressa? La risposta ora la sappiamo ma ai tempi l’hanno dovuta inventare loro. E che risposta!
Gore – Hart Gore (1986)
Gore molto probabilmente sono dei viaggiatori del tempo perchè “Hart Gore” suona come un disco uscito parecchi anni dopo. Soprattutto il terzo lavoro “Wrede- The Cruel Peace” (1988) è moderno sia nei suoni che nelle strutture “post”: ogni brano dura non meno di 15 minuti e ha tutte le caratteristiche di band strumentali come Pelican. Ma rimanendo su “Hart Gore” non si capisce da che pianeta provenga: loro dicono di essere olandesi e di muoversi in territori hardcore (hanno suonato persino con i Negazione) ma se dicessero di essere californiani del 2010 ci crederei. La band tedesca Bohren & Der Club Of Gore ha preso parte del suo nome proprio in tributo a loro. Di recente Southern Lord ha ristampato i primi lavori.
Blind Idiot God – Blind Idiot God (1987)
Si può unire metal, hardcore, space rock, dub, post-punk e progressive? Se è difficile immaginarlo adesso figuriamoci nel 1987 quando non esisteva il post-rock ad unire i puntini con un po’ di delay e riverberi a caso. Sto trio di pazzi allucinati e musicisti spettacolari non si capisce perché decise di provare a unire tutte queste influenze ma la SST se ne innamorò e pubblicò l’album d’esordio: un classico per gli amanti delle stramberie heavy, un frullatore cacofonico per tutti gli altri. Si può dire che l’esordio dei Blind Idiot God sia post-metal? Ascoltatelo e traete le vostre conclusioni. Per me è si!
Melvins – Gluey Porch Treatments (1987)
Anche la band di King Buzzo, Dale Crover e Matt Lukin fu folgorata dall’ascolto di Flipper e Black Flag e decise di suonare uno strampalato punk lento mescolato con l’hard rock alla Kiss e idee fuori di testa. “Bullhead” viene solitamente considerato il disco fondamentale per la nascita dello sludge quindi in questo caso tributiamo il precedente “Gluey Porch Treatments” che nel suo piccolo aveva già in nuce molte delle caratteristiche tipiche dei riff post-metal. L’iniziale “Eye Flys”, con il suo incedere lento, rumoroso e sgraziato è praticamente un brano dei primi Neurosis: sembra di ascoltare i Germs alle prese con i Black Sabbath registrati ad un quinto della velocità. “Gluey Porch Treatments” è sia punk che metal: di quello che sentiremo parecchie volte negli anni a venire.
Neurosis – Pain Of Mind (1987)
Se ai ritmi ossessivi degli Swans aggiungete la rabbia e i chitarroni degli Amebix avrete più o meno il sound dei Neurosis ma i primissimi vagiti furono decisamente meno “colti” e più incazzosi. La band di Oakland esordì con l’ulceroso “Pain Of Mind” per l’etichetta Alchemy Record di Mark Deutrom in compagnia di Melvins, Virulence (i futuri Fu Manchu), Rich Kids On LSD, Poison Idea e i meravigliosi Clown Alley: un vero e proprio circo di pazzi. Scordatevi le cupe lentezze dei dischi “famosi” qui Scott Kelly e company picchiano duro come una band crust-hardcore ma si intravedono spunti “alternativi” tra i solchi del disco (“Black”). Il meglio arriverà qualche anno dopo ma con questo disco mettono il primo mattone della loro splendida carriera.
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Zeni Geva – How To Kill (1987)
I giapponesi Zeni Geva, guidati dal chitarrista KK Null, sono una delle entità più sfuggenti del mondo musicale apprezzati da un ridottissimo manipolo di amanti del terrorismo sonoro. Vantano collaborazioni con Steve Albini, Jim O’Rourke, Merzbow, James Plotkin e se contiamo i dischi pubblicati da KK Null non finiamo più. “How To Kill” presenta al mondo (5 persone) la creatura Zeni Geva con un inedito sound doom – noise, stordente e depravato, registrato dal vivo senza compromessi e senza tante raffinatezze. 40 minuti di mal di testa disumano con una sezione ritmica lenta e soffocante e una chitarra perennemente in feedback. Sublime.
God – Sweet Life (1988)
I God se li sono dimenticati tutti ma scommetto che ai tempi lasciarono di stucco parecchie persone e abbiano in qualche modo influenzato altri pazzi come loro. Il trio olandese, da non confondere con l’omonimo progetto in cui sono coinvolti Kevin Martin e Justin Broadrick, mescolava riffoni heavy sabbathiani e urla disperate, tracciando una nuova, inedita, strada al post-hardcore del periodo. Il chitarrista Tos Nieuwenhuizen lo ritroveremo qualche anno più tardi negli stoner Beaver e come terzo membro dei Sunn O))) mentre il batterista Daan van der Elsken ha continuato come produttore indipendente. E’ strano ascoltare i God perchè come i compaesani Gore sembrano provenire da un’altra dimensione spazio-tempo: la band non assomiglia a niente che c’era prima e per certi versi a niente di quello che verrà dopo. Ma tra le pieghe di questo strano suono c’è la materia primordiale di certo post-hardcore metalloso. Essendo prodotti da Konkurrel potreste trovarli senza problemi in qualche distro old school a pochi spiccioli.
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Head Of David – Dustbowl (1988)
Justin Broadrick (futuro Godflesh, Jesu) alla batteria. Steve Albini al banco di regia. Cosa potrà mai andare storto? Assolutamente niente se il risultato finale è quello di trapanare i timpani e dare in pasto al pubblico qualcosa che capirà anni dopo. Post-punk, industrial, metal, noise vanno a braccetto anticipando il futuro industrial metal (famosa la cover che i Fear Factory faranno di “Dog Day Sunrise”) e il noise rock più tellurico. Non un capolavoro come quelli che Broadrick ci darà con i Godflesh ma una splendida anticipazione di ciò che verrà poco dopo.
Godflesh – Streetcleaner (1989)
Gli anni 80 finiscono con questo disco che fa tabula rasa di tutto ciò che c’è stato fino a quel momento traghettando il metal nel futuro. Dopo un lustro di sperimentazioni il “post-metal” ha con “Streetclear” la sua opera prima, un capolavoro di oscurità, pessimismo, rumore e potenza senza controllo. Ritmiche elettroniche, chitarre taglienti, voce perentoria : “Streetcleaner” butta Big Black, Killing Joke e Swans in un frullatore e li sputa fuori in versione iper vitaminizzata. Con questo tassello il post-metal può iniziare a crescere con spalle forti.
Ma prima ci sono alcuni altri passaggi da affrontare… li vedremo nel prossimo capitolo.