Lezione di Musica con My War dei Black Flag

C’è sempre bisogno di parlare di My War e dei Black Flag, soprattutto per ricordare alle nuove generazioni cosa hanno significato.

Non ho vissuto direttamente la loro storia, anzi, li ho ascoltati la prima volta 10 anni dopo lo scioglimento. Come ci arrivai? Beati libri sulla musica: leggendo qualsiasi cosa avesse il termine “grunge” in copertina ricordo almeno 3 libri che citavano i Black Flag come una band da amare. In particolare mi impressionò parecchio il racconto di due giovani King Buzzo e Kurt Cobain che vandalizzarono nella loro città (probabilmente Montesano) un murales dedicato ai Pink Floyd scrivendoci sopra Black Flag.
Un pischello italiano qualunque cresce con la credenza che i Pink Floyd siano la miglior band del mondo: hanno venduto più di tutti con Dark Side Of The Moon, il concerto di The Wall l’hanno trasmesso pure su Canale 5, il film con Bob Geldof su Raitre, hanno i suoni migliori del mondo, sono dei musicisti incredibili, l’assolo di Confortably Numb è il più bello, hanno quasi affondato Venezia, se ti droghi devi ascoltare Ummagumma, hanno delle copertine iconiche e tante altre cose enfatiche che o ti convinci che è così o se provi a ribattere è peggio che andare a Casa Pound e chiedere perchè la foto di Mussolini non è appesa al contrario. In sintesi ne avevo pieni i coglioni di sti Pink Floyd. Ok, sono fighi ma li ascolto da quando sono nato! Anche basta!! Era la prima volta che qualcuno (che peraltro stimavo) diceva “si vabbè ma che palle!” con un gesto realmente iconoclasta!

Quel momento è stato esattamente il mio punk. Sti Black Flag dovevano essere dei fighi. Conoscevo il cantante Henry Rollins perchè avevo visto dei video su Videomusic ma non avevo chiaro che personaggio fosse.

Liar

Low Self Opinion

Lo vedevo palestrato e questa cosa cozzava con il look grunge “anti sport”, e la musica mi sembrava un po’ troppo arty per i miei gusti. Poi vidi il film “Sesso e Fuga con l’Ostaggio” (The Chase, 1994) con Rollins sbirro imbranato e incazzoso e iniziai a capire. Il problema era che non trovavo i dischi dei Black Flag e quindi non potevo sentirli e farmi un’idea. A dire il vero non trovavo neanche i dischi della Rollins Band. Il logo però mi aveva già conquistato e ricordo che lo disegnavo ovunque a prescindere. Avevo letto che quando erano in tour si fermavano di continuo a graffitarlo nei muri, nelle autostrade e dove capitava: un’idea semplice ed efficace di marketing. Qualsiasi band deve stampare gli adesivi ed attaccarli quando può, spendendo soldi e rischiando che vengano strappati. Loro no: 4 strisce nere di vernice e via. Mi ero fatto l’idea che fossero dei geniali cazzoni: ordinavano i loro dischi ai negozi di tutto il paese con la speranza che qualcuno poi li chiedesse alla loro label, creando uno strampalato e low cost modello di distribuzione. Suonavano ovunque e questo fece sì che i loro semi attecchissero anche nei territori più periferici. Anni dopo lessi che furono la prima band che si inoltrò a Palm Desert a suonare con i generatori, influenzando di fatto tutta la scena stoner a venire.

Senza aver ascoltato manco una nota capii che :

1) Sono meglio dei Pink Floyd, e quindi, secondo la logica italiana, meglio di ogni gruppo al mondo.
2) Suonare ovunque vuol dire che anche nella data più scabercia nel peggior quartiere di provincia puoi avere un piccolo Josh Homme che ti guarda e decide di prendere in mano la chitarra.
3) Avevano il logo più figo di sempre.
4) Pensavano costantemente a come spargere la loro musica tra gli appassionati e non.

Venne finalmente il giorno in cui riuscii ad ascoltarli. Tra i cataloghi di vendita per corrispondenza c’era un “Black Flag – My War CD”. Se non sbaglio era carissimo e dovetti sacrificarmi parecchio per ordinarlo ma dopo un po’ di tempo mandai l’ordine. Era Nannucci, o forse Sweet Music. Quando arrivò ebbi subito la percezione di avere tra le mani un oggetto alieno. Una grafica semplice, quasi brutta ma decisamente efficace. La label era ovviamente la SST che mi aveva già fatto dannare tempo prima per completare la discografia dei Soundgarden e ormai avevo capito che non era importata in Italia. Dentro la custodia c’era il mitico catalogo piegato dell’etichetta con decine di nomi che non conoscevo a parte Screaming Trees, Sonic Youth, Steve Fisk, Meat Puppets e appunto Soundgarden, ovvero i grunger. Quei nomi mi bastavano per farmi pensare “questa etichetta è figa quanto la Sub Pop, voglio tutto!!!”. Leggevo e rileggevo i nomi fino ad impare a memoria la discografia di oggetti del desiderio come Husker Du, Bl’Ast, Blind Idiot God, Dinosaur Jr, Bad Brains, fIrehose, Minutemen, Opal, Saccharine Trust, Saint Vitus (ma veramente esiste una band che si chiama San Vito??? La prima volta non ci volevo credere. E cosa fanno? Swing? Beati tempi pre internet), ecc ecc. Tutte band che negli anni divennero tra le mie preferite e che mi fecero dannare (e tuttora lo fanno) per essere ascoltate in formato fisico.

L’etichetta era fondata da Greg Ginn, il chitarrista della band, che in qualche modo tiene in vita ancora oggi mandando in distribuzione qualche rimasuglio dei tempi che furono e ristampando a tradimento vecchi classici. Tanti dischi invece non permette neanche che vengano caricati su youtube e men che meno li ristampa in formato fisico. Cosa che rende l’ascolto di certa musica una vera e propria caccia al tesoro.

Dicevamo la musica, all’apparenza neanche tanto importante contando tutte queste premesse. E invece…

Invece è un album musicalmente FONDAMENTALE. Tutti coloro che l’hanno ascoltato vi diranno che qui dentro ci sono i semi dello sludge, dello stoner e del grunge. Vero. Sono generi che sarebbero esistiti ma My War nei suoi deliri ha fornito la chiave per la loro realizzazione in tempi brevi. Quando uscì My War era il 1984, periodo in cui i “prime movers” facevano gara a chi era più stravagante e originale. Il classico tupàtupà sovrastato da urla aveva detto tutto già nei primi EP pubblicati dai ragazzi arrabbiati. Circle Jerks, Bad Brains, Meat Puppets, Husker Du, Minor Threat, solo per citare i più famosi, avevano preso i Dead Boys e i Ramones, li avevano messi nel giradischi e fatti suonare al doppio della velocità creando di fatto l’hardcore. Ogni città americana aveva la sua band simbolo, il suo messaggio e la sua tipologia di pubblico. Da brave band ribelli contro il sistema spesso si ribellavano provocando persino il proprio pubblico . Chi infilando il country (Meat Puppets “II”), chi stravaganze quasi Zappiane (Minutemen “Double Nicklels On The Dime”) bastava poco per farsi prendere a sputi, e spesso anche a pugni, dagli spettatori reiterando la tradizione del “pubblico di merda che non capisce un cazzo”. Noi italiani abbiamo avuto gli Skiantos che banchettavano anzichè suonare, i folkettari ebbero Bob Dylan che si presentava la con chitarra elettrica. Ma tra il primo feedback della Stratocaster di Jimi Hendix e la merda contro il pubblico di G.G. Allin nel rock c’è l’imbarazzo della scelta.

 

I Black Flag, dopo un periodo di grane (problemi di distribuzione, elementi che vanno e vengono, denunce e casini di soldi) si presentano al pubblico capelloni e decisamente infreakettoniti. Ad aprire i concerti chiamavano i Saint Vitus, metallari troppo fuori moda per girare tra i grandi. Fuori moda per dire visto che la storia ci insegna che furono degli anticipatori. Ma ai tempi in cui metal era velocità, borchie e violenza la band del chitarrista Dave Chandler (ai tempi ancora senza Wino) si presentava con bandane e con dei riff di chitarra presi dai pezzi lenti dei Black Sabbath. Ora è banale ma prima di loro nessuno prendeva i Black Sabbath molto sul serio. Neanche i Black Sabbath stessi: Ozzy era nel pieno della sua carriera solista e la band aveva appena concluso l’avventura con Ian Gillan con l’album Born Again. In sintesi entrambi suonavano quello che nei negozi di dischi definiscono come “Hard & Heavy”.

 

Un paio di band inglesi portavano avanti la tradizione della lentezza = potenza: Witchfinder General che nel 1982 esordirono con Death Penalty, uno stravagante disco sospeso tra Black Sabbath e ambientazioni da film della Hammer ben lontano dall’impatto hard tipico del NWOBHM del periodo e i Pagan Altar che sempre nello stesso anno pubblicarono il primo demo. Entrambe le band si facevano fotografare in cimiteri o con alle spalle enormi chiese o croci: iconografia cristiana che negli states venne presa sul serio dai Trouble che negli stessi anni farcivano i loro testi di ispirazioni bibliche. In questo contesto si inserivano i Saint Vitus, il cui nome si rifà ovviamente a St Vitus Dance contenuta nel quarto album dei Black Sabbath. Partiti come Tyrant nel 1979 prendevano il sound, oltre che dai Sabbath, anche da tutte quelle band di heavy rock di pochi anni prima come Leaf Hound, Blue Cheer, Sir Lord Baltimore. Il risultato era troppo grezzo per i metallari e troppo poco d’impatto per i punk.

 

La band di Greg Ginn, nel pieno periodo di scoperta delle droghe e della hard psichedelia (passione di Ginn di sempre, complice anche l’età) si mise in casa SST i Saint Vitus e se li portò a spasso. Ovviamente quando suonavano loro tra il pubblico spesso c’era soltanto Henry Rollins. Stessa sorte che capitava contemporaneamente agli Obsessed di Wino: dal Maryland provavano a farsi ascoltare invano da qualcuno e furono in qualche modo accolti dalla comunità hardcore di Washington D.C.

I punk più punk avevano le orecchie ben aperte verso tutte queste mutazioni ma erano davvero pochi. Erano coloro che ascoltavano band più bizzarre e sperimentali come

Flipper

Big Black

Scratch Acid

Butthole Surfers

I Black Flag dopo essere diventati il simbolo dell’hardcore spinsero il genere al suo limite massimo contamindandolo con i Black Sabbath. Ma non solo! Greg Ginn espose apertamente il suo amore per band progressive e jazz come Mahavishnu Orchestra, King Crimson, John Coltrane, Miles Davis, Pharoah Sanders, ma soprattutto Grateful Dead e iniziò ad inserire assoli stravaganti, note fuori scala, progressioni armoniche e ritmiche sbilenche e lunghe improvvisazioni. “Malattia” che divenne un vero e proprio disco pochi anni più tardi: The Process Of Weeding Out, disco formato da un’unica improvvisazione strumentale fra Ginn, Kira e Bill.

Ecco perchè My War è un capolavoro: in 40 minuti riesce a far convivere elementi all’opposto fra di loro creando dei corto circuiti sonori difficilmente digeribili ma estremamente affascinanti. Non è un disco semplicemente hardcore ma usa l’hardcore come mezzo per inseminarlo con il nascente Doom generando di fatto lo sludge. Usa l’hardcore per suonare assoli dissonanti influenzando il futuro Jazzcore che da John Zorn arriva ai nostri Zu passando per i NoMeansNo. Tutto questo sormontato dai testi paranoidi di Henry Rollins che in tutto il disco graffia, scalcia, suda come un Iggy Pop urlante mentre è violentato dai familiari.

Il disco si apre proprio con “My War“, velocità ancora vicine al precedente Damaged e testo leggendario. Ironicamente di tutto quello scritto finora non c’è ombra! A metà di “Can’t Decide” si affaccia un assolo cacofonico e un seconda scalettata verso la fine ma siamo ancora lontani dalla rivoluzione sopra descritta. “Beat My Head Against The Wall” infila finalmente i Black Sabbath più hard dentro Damaged. “I Love You” è un punk rock mid tempo con un classico riff da viaggio in skate. “Forever Time” è un altro bell’hardcore violento con urla rabbiose di Rollins e assoli a palla. “Swinging Man” chiude il lato A in maniera stravagante lasciando intravedere quello che accadrà girando lato. Ed ecco che la band cambia completamente registro: se nel primo lato troviamo 6 brani da 3 minuti l’uno nel lato B siamo a 3 brani per 6 minuti cadauno. Veniamo travolti dallo sludge di “Nothing Left Inside“: lenta, tenebrosa, paranoica, rumorosa. Il grunge dei Green River, dei Soundgarden è tutto qui. Bullhead dei Melvins. Gli Earth. “Three Nights” vede una storia paranoica e violenta su un tappeto sabbattiano con Ginn e Rollins che dialogano virtualmente in un crescendo di rabbia e frustrazione. “Scream” chiude l’album con un doomone stoner che odora di erba lontano un miglio. Andamento pigro, mono riff e assolo a cazzo come un J Mascis sotto codeina. L’unico “lucido” sembra sempre Rollins che qualsiasi cosa gli metti come base deve mostrare il suo disagio.  E magicamente il disco finisce come se la band fosse scappata dopo l’arrivo della polizia.

Un disco che molti ai tempi odiarono e pochi amarono. Per fortuna quei pochi decisero di prendere in mano una chitarra e farsi ispirare.

 

Articolo pubblicato originariamente su Persuadertron.it

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