I Migliori Dischi POST PUNK Del 2023

Cosa è rimasto del chiacchieratissimo post punk? Poco e niente, almeno leggendo le recensioni dei giornalisti musicali. Un termine ormai dimenticato a cui è stato sostituito l’interesse per il termine “shoegaze” grazie al ritorno degli Slowdive e a dischi di giovani come Hotline TNT, Slowthai e mille altri. Noi che amiamo navigare nell’underground fa piacere che il post punk sia tornato dove era: nel circolo degli amanti di suoni oscuri e penetranti figli della florida stagione del post punk degli anni 80. Se gli Idles ormai riempiono gli stadi, i Fontaines DC sono diventati degli idoli pop che fine hanno fatto tutti gli altri? Non se la passano male, almeno guardando questa ricca lista di ottimi dischi. Il post punk è morto? Assolutamente no e non lo sarà mai. La ricerca attraverso certi suoni e certi stili non è ancora terminata.

1 . Home Front – Games Of Power (La Vida Es Un Mus)

Ammetto un scetticismo iniziale all’ascolto del secondo lavoro dei canadesi. All’inizio i riferimenti palesi agli anni 80 mi infastidivano. Ma era evidente che avevo sbagliato approccio. Dopo un buon numero di giri nello stereo “Games Of Power” è venuto fuori nel modo migliore possibile: sia come un aggiornamento di certi suoni ormai dati per scontati (The Cure, Sister Of Mercy, The Smiths) mescolati con brio inedito (alcune volte pienamente street punk, altre quasi alla Fugazi, un po’ come fecero i Chain Cult un paio di anni fa) sia come fantastica raccolta di canzoni che una volta imparate non se ne andranno più dal vostro cervello. “Games Of Power” non è solo il miglior disco post-punk del 2023 ma anche uno dei migliori a prescindere dal genere (e infatti lo troviamo anche nella classifica punk). Un altro centro per la formidabile etichetta La Vida Es Un Mus.

2 . Mandy, Indiana – I’ve Seen A Way (Fire Talk)

Una francese cazzuta (Valentine Caulfield) si trasferisce a Manchester dove incontra in un locale Scott Fair. Trovano velocemente affinità e creano una band inglobando il percussionista Liam Stewart. Tre personaggi decisamente stravaganti che insieme vanno per i fatti loro. Lei canta, sussurra, urla in francese. Scott butta basi noise industriali mentre Liam percuote ritmi semplici e ossessivi. Cari lettori eccovi uno dei dischi più originali del 2023: “I’ve Seen A Way”, probabilmente destinato ad un oblio negli anni a venire ma che rappresenta al meglio il 2023. Molti hanno usato il termine “cyberpunk” per descriverli: se la parola vi fa venire in mente sia Blade Runner che Ballard allora siete sulla buona strada.

3 . Sprain – The Lamb As Effligy (Flenser)

Più che post-punk “The Lamb As Effligy” è un album “post tutto”. Anche post Sprain dato che dopo la pubblicazione la band ha alzato bandiera bianca e annunciato lo scioglimento. Il loro secondo lavoro (vi consiglio di recuperare anche l’ottimo esordio “As Lost Through Collision”) è un gigantesco (1 ora e mezza) contenitore di tutti gli umori possibili racchiudibili in post-punk. Rumore, melodie sbilenche, riflessioni, esplosioni, nervosismo e paranoia. Purtroppo pubblicato solo in vinile anzichè nel più sensato formato CD ma penso per rendere ancora più ostico un ascolto decisamente complesso. Da tramandare ai posteri.

4 . FACS – Still Life In Decay (Trouble In Mind)

Non aspettate che qualche guru dell’avanguardia musicale vi segnali i FACS: sono già adesso uno dei gruppi più interessanti degli ultimi 5 anni. Nati dalle ceneri dei Disappears (ma se andiamo a spulciare il curriculum di Brian Case troviamo i fondamentali 90 Day Men) i FACS manipolano geometrie sbilenche, chitarra affilate, voce scazzata, esplosioni ed implosioni in brani complessi ma non cervellotici. C’è energia e melodia ma per coglierla dovrete inclinare il vostro corpo di qualche grado. Quando metterete a fuoco sarà come i poster 3D degli anni 90: non riuscirete più a distogliere lo sguardo.

5 . Maruja – Knocknarea (Autoproduzione)

La sacra regola delle top di fine anno vuole che non si inseriscano EP in lista. Ma ovviamente in una lista “post” possiamo scavalcare le regole e farle un po’ come piace a noi. Andiamo di nuovo a Manchester dove troviamo un giovanissimo quartetto attualmente non intenzionato a fare un disco sulla lunga distanza e semplicemente occupato a scrivere musica di alta qualità. Un po’ jazz, un po’ post rock e tanto nervosismo post-punk come dei novelli Black Country New Road ma più duri e più puzzolenti di sala prove. Da tenere d’occhio ma anche se si fermassero qui abbiamo già il capolavoro.

6 . Squid – O Monolith (Warp)

Del giro post-punk “grosso” gli Squid sono sempre stati quelli più imprevedibili, capaci di partire in un modo e finire da tutt’altra parte facendo perdere la bussola a più di un ascoltatore. E, infatti, dopo il disco d’esordio “Bright Green Field” pochi si sono lanciati ad ascoltare il seguito “O Monolith”. Male perchè la band di Brighton ha aggiustato i difetti (prima di tutto un cantato un po’ scarsino che qui ha imparato a dosarsi) e ha migliorato la personalità giocando brillantemente con architetture progressive, arpeggi post rock, oscurità dark ed energia punk. Meno olimpionici dei Black Midi, meno cantautorali dei Black Country New Road gli Squid sono la terza via al post punk più “art rock”.

7 . Bar Italia – Tracey Denim (Matador)

Se nel 1980 il pop sbilenco e minimale dei Young Marble Giants veniva definito post-punk nel 2023 possono essere inseriti anche i Bar Italia. Perchè indubbiamente il termine indie sta molto stretto al trio londinese, così come quello alternative rock. Pop e basta? Forse ma anche i YMG d’altra parte erano semplicemente pop. Ma come è possibile che nel genere ci sia un gruppo che si ispira ai King Crimson (Squid) e uno al suo esatto opposto? La risposta è, come diceva il mitico Lubrano: “non lo so”. Minimalismo pop al suo meglio. Rumori nei punti giusti. La giusta lentezza da codeina. Un nome stupendo. Un’immagine molto forte. Tanto basta per inserire “Tracey Denim” in questa lista.

8 . Ndox Eletrique – Tëdd Ak Mame Coumba Lamba Ak Mame Coumba Mbangnon (BongoJoe)

Francois -Regis Cambuzat ha iniziato a fare dischi quando esisteva l’originale post-punk. Non ha quindi bisogno di presentazioni o di spiegazioni perchè il suo progetto Ndox Eletrique è presente in questa lista. L’idea nasce come proseguimento del progetto Putan Club (con Gianna Greco) e di Ifriqiyya Electrique. Ndox Eletrique vede Francois e Gianna addentrarsi nel Senegal e mescolare canti di evocazione spiritica con un sound oscuro e rumoroso che flirta con l’industrial. E’ indubbiamente un lavoro unico nel suo genere (rock? folk? industrial? punk? noise? tutto questo e di più) e un progetto che dal vivo dà probabilmente il meglio. Una chicca che vi stupirà.

9 . Protomartyr – Formal Growth In The Desert (Domino)

Non so dire se “Formal Growth In The Desert” sia il disco migliore degli americani Protomartyr ma sicuramente ci va molto vicino. In una carriera fantastica in cui i punti bassi non sono poi così bassi i Protomartyr ci hanno abituato a qualità ma anche a tanto dolore. E nel loro sesto album non sono ingredienti che mancano. Joe Casey non ha problemi a buttarci addosso il suo disagio e il suo malessere, così come il resto della band non lesina rasoiate in faccia su tempi oscuri che sembrano incastrati fra il Nick Cave dei Birthday Party e quello dei Bad Seeds. Nessuno spiraglio di sole ma non è quello che cerchiamo in questi dischi.

10 . Gold Dime – No More Blue Sky (No Gold)

I noise rockers Talk Normal li abbiamo dimenticati troppo presto ma per fortuna viene in aiuto la batterista Andrya Ambro a rinfrescarci la memoria. E lo fa nel migliore dei modi: con un disco che porta sì avanti la tradizione sonora della vecchia band ma con una palette sonica molto più grande. Grazie anche all’innesto di Violino e Sassofono oltre ad una formazione tipicamente rock basso-chitarra-batteria Andrya propone suoni incastrati tra la No-Wave newyorkese e il post punk più oscuro. Ma con una precisa e sbilenca personalità.

11 . The Murder Capital – Gigi’s Recovery (Human Season)

Se in questa lista non riconoscete “quel” post punk alla Idles e Fontaines DC che vi piace tanto puntate i vostri ascolti sugli irlandesi The Murder Capital che con Gigi’s Recovery smussano le asperità dell’esordio e si inseriscono prepotentemente nel lato “british indie rock” del genere senza rinunciare alla propria personalità ma provando semplicemente a puntare più in alto. Un disco suonato e prodotto splendidamente che avrebbe meritato molta più attenzione. Ma magari con il prossimo faranno il boom.

12 . Shame – Food For Worms (Dead Oceans)

Terzo disco e terzo centro per gli ormai non più giovanissimi londinesi Shame, capaci fin dall’esordio di conquistare gli ascoltatori con quel piglio punk suburbano mescolato all’arroganza brit rock e alla decadenza post-punk. Ritornelli epici da cantare al pub, malinconia e tanto post-sbronza. I meno sperimentali del lotto ma se siete in cerca di grandi canzoni da imparare a memoria “Food For Worms” è il disco adatto.

Redazione

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