I Migliori Dischi PUNK Del 2023

A Cura di Diego Curcio

Non ricordo quando ho iniziato a stilare questa classifica per Tomorrow Hit Today. E non ho neppure voglia di controllare. Ma sono abbastanza sicuro che, mai come quest’anno, ho dovuto sudare sette camicie per scegliere i 20 migliori dischi punk, usciti nell’arco degli ultimi 12 mesi. Nel 2023, infatti, sono stati pubblicati moltissimi album interessanti e, a malincuore, sono stato costretto a lasciarne fuori parecchi: dagli ottimi esordi omonimi degli Spiral Dub e dei Barbed Wires, fino al pop-punk squinternato ma irresistibile dei finlandesi Tiikeri, con “Punk Rock Pamaus”. Tra gli esclusi eccellenti ci sono anche tre dischi come “Cupio Dissolvi” dei Fever, “Assuefazione Quotidiana” dei Golpe e “Tiden Ar En Dro” dei Sekuderna, che a causa del loro formato – si tratta di tre mini – non potevano rientrare in una classifica espressamente dedicata agli lp (detto questo procuratevi assolutamente questi vinili, perché sono eccezionali, pur essendo diversissimi tra loro). Infine non posso non citare tre album che, in questo 2023, ho amato moltissimo, ma che definire “punk” – nonostante tutto – sarebbe un po’ azzardato. Mi riferisco a “Drag On Girard” dei Purling Hiss (se amate i Dinosaur Jr. e le melodie sarà molto difficile resistere a un album del genere), “II” degli Zac (altro capolavoro di pop stratificato, anche se, in questo caso, più vicino al glam dei primi anni Settanta) e “Dead Meant” degli inglesi Tubs, che mescola il brit-pop alle cavalcate indie-rock degli Sugar.
L’ultima notazione, prima di entrare realmente nel vivo della classifica, la dedico alle due etichette inglesi Drunken Sailor e La Vida Es Un Mus, che quest’anno hanno letteralmente monopolizzato questa lista: al momento sono loro i due migliori barometri della scena punk contemporanea.

01) CIVIC – TAKEN BY FORCE (COOKING VINYL AUSTRALIA, ATO RECORDS)

Quando ho ascoltato per la prima volta il secondo album degli australiani Civic, su consiglio di Alberto di Flamingo Records (una delle mie principali fonti in materia di nuove uscite punk), ho avuto una folgorazione. Dopo 40 anni, la terra dei canguri, continua a essere uno dei punti di riferimento per la scena rock’n’roll mondiale. Un po’ come la Svezia (ma questa è un’altra storia), l’Australia sforna, senza sosta e da decenni, band che, pur rifacendosi a una tradizione ormai consolidata, sono in grado di suonare fresche, “innovative” e dirompenti. I Civic di “Taken By Force” – che a tratti sembrano una versione aggiornata dei
Radio Birdman – ne sono tra i migliori interpreti. La loro è una musica fragorosa, sporca, ma venata di melodie. Punk rock, surf suonato a tutta velocità, beach punk e qualche spigolosità hardcore danzano amorevolmente sul crinale di una scogliera, a picco su un mare infestato dagli squali.

02) HOME FRONT – GAMES OF POWER (LA VIDA ES UN MUS)


Al di là di alcuni gruppi blasonati saliti alla ribalta negli ultimi 4 o 5 anni – Idles, Shame, Fontaines DC ecc – mai come in questo periodo il post-punk e i suoni sintetici e glaciali di scuola Joy Division sono diventati la nuova grammatica della scena punk contemporanea. Lo sanno bene gli Home Front, duo canadese che, per
la Vida Es Un Mus, ha appena pubblicato un secondo disco eccezionale, carico di melodie malinconiche e chitarre liquide. “Fade State”, il brano che apre “Games Of Power”, ti entra nelle ossa, come il freddo di una sera d’inverno, anche se è subito pronto a riscaldarti con i suoi sintetizzatori avvolgenti. Ma alle ballate
post-punk dalle solide radici dark (come “OverTime”), gli Home Front sanno anche alternare pezzi più spigolosi e ruvidi (vedi “New Face Of Death” e “Real Eyes”), in cui la voce si fa più roca e la velocità aumenta. “Game OF Power” è l’apice di un suono forgiato fra le brughiere inglesi, che sembra aver trovato casa nelle rigogliose foreste del Canada. (ndr: presente anche nella nostra classifica post-punk)

03) GRADE 2 – GRADE 2 (HELLCAT RECORDS)

Con il quarto disco – il secondo su Hellcat – i Grade 2 hanno finalmente fatto il botto. Già con il precedente “Graveyard Island” – che avevo inserito tra i 20 migliori lp del 2019 – si erano fatti notare per il loro punk tipicamente inglese, ma fortemente influenzato dalla scuola californiana degli anni Novanta. D’altra parte i loro numi tutelari e produttori sono i Rancid e cioè i fautori di questo felice miscuglio fra suoni street e velocità beach-punk. Se pensate però che i Grade 2 siano uno dei tanti cloni di Tim e co., vi sbagliate di grosso. La band, originaria dell’Isola di Wight, ha dimostrato, fin da subito, di avere una forte personalità, distinguendosi soprattutto per la qualità delle canzoni. Insomma, come si dice in questi casi: i Grade 2 hanno decisamente i pezzi e se non ci credete, provate a resistere alla tripletta formidabile, formata da “Under The Streetlight”, “Doesn’t Matter Much Now” e “Midnight Ferry”.

04) THE UNKNOWS – EAST COAST LOW

Chi segue questa classifica sin dall’inizio, avrà già capito che nutro una certa passione per i Chats e il loro punk strafottente e diretto. E quando ho saputo, leggendo la mitica Merda Zine di Luca Tanzini, che due di questi ragazzacci avevano anche un progetto parallelo denominato The Unknowns, dedito al power-pop e al glam, sono corso immediatamente ad ascoltarli. “East Coast Low”, il secondo lavoro sulla lunga distanza inciso dal quartetto di Brisbane, è un album eccezionale: melodico, scorretto e carico di riff contagiosi. Gli Unknowns, con il loro piglio scazzato, ma dannatamente pop, mi ricordano gli inglesi Boys e tutti quei gruppi delle origini, ancora legati al pub rock e, in parte, al junskhop glam (pensate anche ai Lurkers). Per farla breve: una musica da perdenti, ma fortemente contagiosa. Anche in questo caso, a stupire, è soprattutto la qualità delle canzoni: tutti e dieci i pezzi di “East Coast Low” suonano come potenziali singoli.

05) CLASS – IF YOU’VE GOT NOTHING (FEEL IT RECORDS)

Fino all’ultimo momento sono stato indeciso se inserire, in questa classifica, “If You’ve Got Nothing”, vero e proprio esordio dei texani Class, oppure “2-4-1”, la ristampa, in un unico vinile, pubblicata da Drunken Sailor, di una cassetta e di un ep, rispettivamente usciti nel 2022 e a inizio 2023 per Feel It Records. Alla fine
ha vinto “If You’ve Got Nothing”, ma solo per una questione metodologica. Entrambi i dischi, infatti, sono due lavori stupendi, a base di punk ruvido e melodico, al limite del power-pop. Una ricetta vecchia come il cucco, certo, ma che quando viene eseguita con disinvoltura e classe (passatemi la battuta), rimane il genere musicale più bello del mondo (insieme al funky). I Class, in questo disco strepitoso, alternano, con una certa nonchalance, ballate rock’n’roll dal retrogusto malinconico come “Coward’s Disaster”, a pezzi più tirati e figli del punk 77, come “Between The Lines” e “Inspect The Receipt”. Una collezione di 12 gioelli
musicali, che vi faranno godere come ricci.

06) POISON RUIN – HARVEST (RELAPSE RECORD)

Dopo due cassette micidiali, raccolte e ristampate su vinile dalla solita e benemerita Drunken Sailor, i Poison Ruin di Philadelphia, fanno il grande salto e pubblicano il loro primo vero album su Relapse. “Harvest”, anche se appare meno urgente delle uscite precedenti, mantiene quella vena dark velenosa e
ottusa, che qualcuno ha ribattezzato dungeon synth: una sorta di death rock apocalittico, che mescola l’impostazione scarna ed essenziale del punk e del post-punk, alle atmosfere gotiche dell’heavy metal più marcio e grezzo (tipo gli Spits che coverizzano i Venom, tanto per capirci). I Poison Ruin, grazie ai loro
sintetizzatori epici, sono stati in grado di sdoganare un immaginario fantasy anche fra chi non è mai stato un cultore del genere. Anche perché, alla bisogna, sono in grado di far precipitare l’ascoltatore in un vortice di chitarre sporche e malsane.

07) A CULTURE OF KLLING – DISSIPATION OF CLOUDS. THE BARRIER (DRUNKEN SAILOR RECORDS)

Un altro gradito ritorno in questa classifica è quello dei Culture Of Killing, one-man band italiana di stanza a Berlino, che seguo sin dall’esordio su cassetta. Quel primo nastro omonimo del 2018 era stato una piccola rivelazione, visto che non era così usuale, all’epoca, riuscire a far convivere le “classiche” sonorità post-
punk, con la furia e le tematiche (grafiche comprese) di stampo crassiano. Oggi, dopo un secondo disco interessante, ancora legato alla new wave più sintetica, in questo terzo lavoro pubblicato ancora una volta per Drunken Sailor, i Culture Of Killing ampliano ulteriormente i loro orizzonti sonori e realizzano uno
splendido concept album sul tema dell’immigrazione. Il punk spigoloso ed evoluto degli esordi, si arricchisce di qualche melodia in più – complice anche una seconda voce femminile, che fa da contraltare a quella maschile, come il coro della tragedia greca – mentre i suoni si fanno più eterei e meno secchi. Un
disco complesso, ma che si riesce ad amare sin dal primo ascolto.

08) CYANIDE PILLS – SOUNDTRACK TO THE NEW COLD WAR (DAMAGED GOODS RECORDS)

Se vi sentite orfani dei Briefs – che comunque continuano a fare concerti in giro per il mondo – e rimpiangete il meraviglioso suono della prima Dirtnap Records (punk 77+power-pop 79 in salsa contemporanea), i Cyanide Pills potrebbero curare a dovere le vostre ferite. La band di Leeds, con “Soundtrack To The New Cold War” scodella ben 16 pezzi di delizioso punk a tinte pop, pieno di cori e ritornelli a rotta di collo. Figli della migliore tradizione inglese – Buzzcocks, The Boys e Vibrators – i Cyanide Pills non sbagliano mai un colpo e a, dispetto di una formula pressoché identica da almeno una quindicina danni, continuano a pubblicare dischi appassionati e ricchi di melodie.

09) THE MEN – NEW YORK CITY (FUZZ CLUB RECORDS)

Si chiama “New York City”, ma avrebbe potuto benissimo intitolarsi “Detroit”, il nuovo album dei Men, storica e camaleontica band della Grande Mela, specializzata nel cambiare genere in ogni album. Questa volta, dopo aver pubblicato ottimi lp a base di noise, power-pop e rock crepuscolare, i nostri hanno deciso di incidere un disco che recuperasse il suono che, alla fine degli anni Sessanta e all’inizio degli anni Settanta, ha traghettato il garage verso il punk americano: MC5, Stooges e naturalmente tutta la scena proto-punk newyorkese, a partire dai New York Dolls. Un omaggio alla propria città d’origine, ma anche a un movimento che, probabilmente, ha contato molto nell’educazione sentimentale dei Men. “New York City”, a un primo approccio, potrebbe sembrare un disco quasi calligrafico, rispetto ai modelli di riferimento, ma ascolto dopo ascolto, si percepiscono il calore e la passione genuina della band, nei confronti del rock’n’roll più sporco e immediato. Dieci pezzi rumorosi e senza tregua, in attesa della prossima trasformazione.

10) CHAIN WHIP – CALL OF THE KNIFE (DRUNKEN SAILOR RECORDS)

È un hardcore furioso e dai suoni affilati come coltelli (ça va sans dire) quello dei canadesi Chain Whip. Musica oscura e caotica, ma lontana da qualsiasi tentazione heavy metal: un suono sfilacciato e roboante, che non ti lascia scampo neppure per un secondo. I 13 pezzi di “Call Of The Knife” durano quasi tutti meno di 2 minuti e sono intrisi di cattiveria e ferocia. Una sorta di Discharge più minimali e nichilisti, ma meno granitici, con un retrogusto alla Circle Jerks e alla Black Flag di “Damaged”. Al di là dei facili paragoni, però, “Call Of The Knife” è fondamentalmente un disco onesto e pieno di rabbia. Una cavalcata pessimista, lunga
meno di mezzora, che difficilmente vi lascerà indifferenti.

11) OSEES – INTERCEPTED MESSAGE (IN THE RED RECORDINGS)

Vado matto per John Dwyer e per i suoi Oh Sees: una delle band più eclettiche e spiazzanti della scena alternativa californiana degli ultimi vent’anni. Anche per questo album – così come per il precedente, uscito nel 2022 – il gruppo ha deciso di contrarre leggermente il proprio nome, ribattezzandosi Osees, quasi a
rimarcare una cesura con i lavori più recenti: una manciata di dischi complessi e articolati, che, mettendo a frutto il percorso di continua trasformazione intrapreso negli ultimi anni da Dwyer e soci, erano riusciti a trasformare il garage punk venato di surf degli esordi, in una sorta di prog- rock psichedelico, che aveva
spiazzato – anche se mai deluso – i fan della vecchia guardia. E così, dopo un album di hc grezzo e macilento, come “A Foul Form” (uno dei miei dischi preferiti del 2022), il gruppo californiano si è messo a esplorare un altro sottogenere del punk: la synthwave robotica e cosmica dei Devo e dei Sigue Sigue
Sputnik. Naturalmente mantenendo l’attitudine e le caratteristiche tipiche degli Osees e cioè la capacità di scrivere grandi pezzi, senza prendersi mai sul serio.

12) TUBE ALLOYS – MAGNETIC POINT (LA VIDA ES UN MUS)

Un altro colpaccio de La Vida Es Un Mus sono, senza dubbio, i Tube Alloys di Los Angeles. Un gruppo piuttosto oscuro – sotto tutti i punti di vista, dato che non si trovano molte notizie sul loro conto – che piacerà sicuramente agli amanti del caro vecchio death-punk californiano. Avete presente quella miscela disuoni grezzi e malsani, che sono alla base di gruppi epocali e incandescenti come Christian Death, 45 Grave, Super Heroines e Kommunity Fk? Ecco: i Tube Alloys nuotano in quelle acque limacciose e cupe, nel tentativo di raccogliere il testimone di cotanta grandezza. Probabilmente, giusto per fare un altro nome che conta, la band di LA potrebbe piacere a un genio assoluto come Rikk Agnew, che quel sound lo ha letteralmente forgiato una quarantina di anni fa (pensate al suo capolavoro solista, “All By Myself” del 1982). Insomma la carne al fuoco è parecchia e se ci aggiungete una vena post-punk spigolosa e caotica, “Magnetic Point” è uno di quei dischi da amare al primo ascolto.

13) LES LULLIES – MAUVAISE FOI (SLOVENLY RECORDINGS)

Se dovessi indicare il Paese in cui si trova, attualmente, la migliore scena punk dell’Europa continentale, sceglierei, senza esitazioni, la Francia. Dai Syndrome 81 ai Litovsk, fino ad arrivare agli Oi Boys, i cugini d’Oltralpe continuano a sfornare band decisamente interessanti. Ma il giro oi!-coldwave rappresenta solo una parte del punk francese contemporaneo, visto che nella terra di Asterix c’è, da sempre, anche un’ottima scena punk 77, ideale per chi ama i suoni più ruspanti, ma al tempo stesso melodici e rock’n’roll (ricordate i Dogs?). In questo campo, oggi, i migliori in assoluto sono i Les Lullies di Montpellier. E ce lo conferma il loro secondo album “Mauvaise Foi” – uscito, come il lavoro precedente, su Slovenly Recordings –: il perfetto connubio tra garage, punk e power-pop. Il cantato in francese si adatta perfettamente alle melodie contagiose, sfornate a raffica dalla band. Se cercate un disco da ascoltare senza sosta, i Les Lullies fanno di certo al caso vostro.

14) RANCID – TOMORROWS NEVER COMES (HELLCAT RECORDS)

Tra i gruppi di punta del revival punk degli anni Novanta, i Rancid restano, forse, i più credibili (insieme ai NOFX, che infatti hanno deciso di sciogliersi). Tim e compagni, pur con qualche inevitabile caduta di tono, non hanno praticamente mai pubblicato un album mediocre o poco ispirato. E anche con “Tomorrows
Never Comes” dimostrano di avere ancora parecchie frecce al proprio arco, nonostante la loro età anagrafica e quella della band. Il disco sembra quasi un mix, ben riuscito, fra “Indestructible” e “Let The Dominoes Fall”: i due lp attraverso i quali i Rancid hanno provato a tenere alto il loro nome dopo 4 capolavori, come gli album incisi tra il 1993 e il 2000. In “Tomorrow’s Never Comes” ci sono il rock’n’roll diretto e melodico alla Clash, il folk-punk, l’hc anni Ottanta e le sonorità più stradaiole e oi!: il tutto mescolato, come al solito, alla tradizione musicale e controculturale della Bay Area. Un gran bel disco, insomma, anche se non memorabile come “…And Out” e “Life Won’t Wait” (ndr se volete ripassare la loro discografia non perdete questo articolo).

15) THE HOLY GHOST – IGNORE ALIEN ORDERS (LOVELY)

Bob Mould è lei? Si rischia un po’ l’effetto déjà vu a mettere sul piatto “Ignore Alien Orders” degli svedesi Holy Ghost. Dalla voce di Jens Aker, alla ruvidezza della chitarra, infatti, questo bellissimo album uscito per la mai troppo lodata Lovely di Linkoping (Svezia), sembra la colonna sonora ideale, per accompagnare la lettura di “Our Band Could Be Your Life” di Michael Azzerad: la bibbia del post-punk americano degli anni Ottanta. Quel suono, forgiato in gran parte dalla SST Records – ma non solo –, che è stato per lo più definito “indie” e che accomuna una vastissima pletora di band fenomenali, come Husker Du, Dinosaur Jr., Minutemen, Mission Of Burma ecc. Ecco: gli Holy Ghost sembrano essere stati appena scongelati, da quel mondo lontano più di 40 anni. I suoni sporchi, la voce grossa e nasale, tra Stipe e Mould, e quella malinconia di fondo, che ti entra nelle viscere, donano un tocco unico ai sette pezzi di “Ignore Alien Orders”.

16) DELUXXE – IF YOU WERE ME (AVANT! RECORDS)

Dopo gli Home Front, i migliori interpreti contemporanei del post-punk glaciale e “liquido” di scuola anni Ottanta, sono, senza ombra di dubbio, i texani Deluxxe. “If You Were Me”, uscito per Avant!, si apre con le melodie insuperabili di “Waiting For A Sign” e inanella, nel corso dei 7 pezzi seguenti, un potenziale singolo
dopo l’altro. Ritornelli che ti si stampano in testa sin dal primo ascolto, una vena malinconica davvero unica e un gusto pop decisamente sopra la media. Certo, i Deluxxe non inventano nulla di nuovo e si rifanno, quasi in modo didascalico, alla new wave e al synthpop di 40 anni fa, però, bisogna anche ammettere che sanno scrivere dannatamente bene. E di questi tempi non è poi così scontato. Provate a prendere un brano a caso di questo esordio fulminante e ne verrete subito catturati. “Moving On”, “Sweet With Sun” e “Common Ground”, solo per citare i primi che mi vengono in mente, sarebbero le canzoni di punta di
qualsiasi band con un po’ di sale in zucca. Incredibile che i Deluxxe non siano già diventati ricchi e famosi.


17) MESS – UNDER ATTAK (MENDEKU DISKAK)

Dopo una manciata di singoli ed ep strepitosi, i messicani Mess arrivano finalmente all’appuntamento con l’esordio su lp. “Under Attak”, che esce per l’etichetta basca Mendeku Diskak, inizia con uno strumentale malinconico e dall’incedere post-punk, ma già dal secondo pezzo, “Stubborn Boys” le atmosfere cupe e
ovattate nella new wave si mescolano alla ferocia dell’oi!. Una commistione, che ha fatto parecchi sfracelli in Francia (i pluricitati Syndrome 81, tanto per fare un esempio), ma che nel caso dei Mess può contare su con un pizzico di ferocia e di sguaiatezza in più. Insomma, la band messicana ha un’anima decisamente più
street-punk, anche se brani pazzeschi come “Fueled By Rage”, riescono ancora a mescolare le carte in tavola. Un suono all’apparenza grezzo e monotono, ma in realtà intenso e ricco di passione.

18) SPIRITO DI LUPO – VEDO LA TUA FACCIA NEI GIORNI DI PIOGGIA (LA VIDA ES UN MUS)

Un gruppo italiano, che canta in italiano e che esce per La Vida Es Un Mus? E’ bastata questa semplice notizia a spingermi a conoscere gli Spirito Di Lupo. Poi, una volta che mi sono messo ad ascoltare “Vedo La Tua Faccia Nei Giorni di Pioggia” ho capito per quale ragione, una delle migliori etichette punk del mondo si
sia interessata una band del nostro Paese. Il gruppo, sospeso tra Milano e Bologna, riesce a mettere insieme la tradizione hardcore anni Ottanta italiana (la furia dei Wretched e l’intimismo degli Indigesti), con un approccio più sperimentale e contemporaneo, che già alcune formazioni milanesi come Anno Omega, Kobra e Golpe, portano avanti da qualche anno (e infatti gli SDL vengono proprio da quelle esperienze, visto che una delle due voci è quella di Francesco Goats, del giro Sentiero Futuro e, appunto, dei Kobra). La violenza dei suoni sconnessi e sporchi di scuola Discharge, si mescola a un’elettronica minimale e analogica in una sorta di evoluzione futurista dell’anarcho-punk. A fare da contraltare alla voce di Francesco, c’è quella di Vittoria: un connubio che trasforma gli Spirito Di Lupo in una versione cyberpunk e più esistenzialista dei Contrazione.

19) TV’S DANIEL – NEVER CHANGE (WILDHONEY RECORDS)

Chi bazzica il giro power-pop contemporaneo e ha familiarità con la storia di un’etichetta fondamentale come la Dirtnap Records, avrà sicuramente già sentito parlare di Daniel Fried, musicista di alcune delle band punk-rock americane più interessanti degli ultimi 15 anni. Bad Sports, Mind Spiders e Radiocativity dovrebbero bastare per farvi capire il curriculum del “ragazzo”. Un texano dagli occhi di ghiaccio che, in questo nuovo progetto molto personale – chiamato appunto TV’s Daniel – tira fuori dal cilindro un sound assolutamente innovativo, che potrebbe rappresentare un po’ la summa del suo percorso precedente. C’è,
naturalmente, il punk-rock darkeggiante più sincero e diretto di scuola Dirtnap, ma non mancano neppure le melodie spinte del power-pop e un po’ di elettronica storta alla Devo. Una versione quasi new wave e psichedelica di Bad Sports, tanto per capirci, dove, però, si prova in tutti i modi a superare in paletti e gli steccati di genere. Qui, infatti, il buon Daniel è libero di sperimentare, senza paracadute (provate a sentire i quasi 8 ipnotici minuti dell’ultimo pezzo: “Human Air”). Il risultato è un album eterogeno e molto vario (ogni brano è diverso dall’altro), ma con un’identità forte e un filo conduttore ben preciso.

20) 20 MINUTES – CRAWL! (DP RECORDS)

È rischioso pubblicare i dischi nei primi giorni di gennaio, perché poi può capitare che, travolti dalle tante uscite che si susseguono nel corso dei mesi, ci si dimentichi di chi ha iniziato l’anno col piede giusto. Ma scordarsi di un album come “Crawl!” dei piemontesi 20 Minutes è praticamente impossibile. Giusto per
circoscrivere il perimetro della band, vi avviso che siamo dalle parti del rock’n’roll e del garage-punk suonati a mille all’ora, come se Ramones, New Bomb Turks e Sonics facessero a gara a chi va più veloce. Venti minuti (come recita il nome della band) per dieci pezzi (anzi, cronometro alla mano i minuti dovrebbero essere appena 18), che lasciano letteralmente esterrefatti per freschezza, sfrontatezza e capacità di far battere il cuore (e il pedino). Non ci sono formule magiche particolari per suonare questo tipo di punk’n’roll, ma per non confondersi con la messe di band oneste, ma anonime che spuntano ormai come funghi, serve
un’attitudine particolare. Ed è proprio quello che hanno i 20 Minutes: a mio avviso uno dei migliori gruppi italiani in circolazione. Per convincermi gli sono bastati una manciata di pezzi, da meno di 120 secondi ciascuno.

Redazione

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