L’Angolo Della Morte: le 10 uscite Death Metal più significative di Gennaio 2019

A cura di Apparizione 79

Primo mese dell’anno e prima infornata di dischi death metal: direi che l’inizio del 2019 si possa ritenere più che soddisfacente, con un paio di nomi importanti che tornano alla produzione e diverse proposte underground di rilievo.

Gennaio è il mese più freddo dell’anno, il periodo nel quale le temperature, nell’emisfero nord del mondo, raggiungono i valori più bassi: eppure, è sempre stato un mese piuttosto prolifico per le uscite musicali del settore.

Forse perchè il metallo, il death in particolare, non segue le mode e non ha bisogno di essere ascoltato in un paticolare momento dell’anno: tuttavia, ho sempre preferito il metal da caminetto, quello che si ascolta in casa, al riparo dai rigori dell’inverno.

Spero di aver fornito, anche questo mese, un elenco di prodotti che possano riscaldare le orecchie, i cuori e le anime degli ascoltatori. A seguire l’elenco delle nostre scelte death metal del mese di gennaio. 

1 . Malevolent Creation – The 13th Beast – Century Media Records

Pur essendo uscito il 18 di Gennaio posso affermare con assoluta certezza che abbiamo già tra noi un disco che occuperà una delle prime posizioni in ogni classifica di album death metal del 2019: siamo davanti a circa 50 minuti di fantastico, trascinante death metal in perfetto stile floridiano moderno, quello di una delle band fondamentali di tutto il movimento, i Malevolent Creation.

Inutile dire che i ragazzi newyorkesi, trasferitisi a Fort Lauderdale per poter stare più vicini al nascente movimento death di fine anni ottanta, rappresentano uno dei miei gruppi preferiti: ma il mio giudizio è obiettivo, la forza e la potenza del sound della band trova nel presente nuovo disco una ulteriore conferma definitiva.

Death metal asciutto, convinto, veloce, riffoso, tecnicamente sublime, chiaro e diretto; tutto ciò risulta ancora più meritevole se pensiamo alle vicissitudini che hanno interessato il combo negli ultimi anni: Brett Hoffmann, singer, cofondatore e uomo di punta della band, lo scorso autunno, ha perso la sua battaglia contro una terribile malattia; nonostante ciò, il chitarrista Phil Fasciana ha continuato ad alimentare la malevola creatura, nel ricordo e in onore dell’amico di tante avventure, issando a bordo un terzetto di giovinastri che, a partire dall’ottimo cantante sudafricano Lee Wollenschlaeger, si sono immediatamente calati nella mentalità della band offrendo performance eccellenti.

Non posso fare a meno di ricordare il giorno in cui, ragazzino, acquistai il primo album dei Malevolent, “The Ten Commandments”: era il 1991 e il death metal stava entrando nella sua fase più matura, stava abbandonando le sonorità dei pionieri per regalare agli ascoltatori il proprio meglio, dischi sontuosi dei quali il primo lavoro dei Malevolent è stato forse il primissimo episodio.

E ancora oggi i nostri sono quelli di allora: death metal americano spudoratamente veloce e aggressivo, mai scontato, capacità compositive e tecniche sublimi, chitarre da paura, rock e metal al tempo stesso, vena thrashosa e vociona possente.

La ricetta ha sempre funzionato e i nostri non possono che ripropoprla: i Malevolent, per me, sono la bella copia dei Deicide, hanno la poderosa cattiveria dei Morbid Angel, assomigliano a creature tecniche come i Monstrosity e riescono ad esprimere la lugubre cattiveria degli Incantation. Sono una band che rasenta la perfezione.

Credo che si legga la mia devozione per questo gruppo tra le righe di quello che scrivo: adoro i Malevolent Creation e questo disco ne rappresenta in pieno l’essenza musicale di oggi.

L’evoluzione della band non ha mai rinnegato la grande esibizione di “The Ten Commandments”, ma il sound ha saputo evolversi verso la modernità, verso una tipologia di assalto senza compromessi che è figlio delle capacità tecniche sempre maggiori di Fasciana e soci.

Il riff thrashoso tipico di questa band si sposa infatti alla perfezione con ritmiche più ragionate e oscure, senza mai rinunciare all’impatto che è la caratteristica che ha reso grande la band e tutto il movimento americano della seconda ondata del death metal.

Anche se si parla poco dei Malevolent, per me la band va accomunata per importanza storica a nomi come Death, Obituary, Cannibal Corpse, Deicide, Morbid Angel, Incantation, Immolation e Suffocation; e questo disco ne è la compiuta espressione odierna.

Segnalare le songs migliori è perfettamente inutile: siamo davanti ad un muro di potenza formidabile che non conosce passaggi a vuoto; tuttavia, dopo l’ennesimo ascolto, dichiaro che le mie preferite sono “Born Of Pain”, “End Of Torture” e “Trapped Inside”.

Non posso che finire consigliando a tutti di non lasciarsi sfuggire questo disco, sia per la qualità del prodotto, sia per rendere merito ad una delle band più importanti di tutto il movimento death metal di sempre.

E, non da ultimo, nel ricordo di Brett Hoffmann, il grande frontman del gruppo che non c’è più. Spero che Brett, da qualche parte, si stia godendo le note che escono dalla chitarra del suo vecchio compagno di viaggio Phil Fasciana, magari agitando il suo capoccione sui riff poderosi e possenti della band che ha creato quando era un ragazzo, una vita fa.

2 . Musmahhu – Reign Of The Odious – Iron BoneHead Production

Prima uscita svedese dell’anno e ci troviamo subito davanti ad un disco di grande impatto ed atmosfera.

Gli esordienti Musmahhu sono una delle creature del misterioso Swartadauputz (roba da matti veri), attivissimo nell’underground di Stoccolma con un numero di progetti importanti soprattutto in ambito black metal.

I nostri ci propinano un sontuoso death metal di stampo nordeuropeo con deviazioni in territori prettamente teutonici piuttosto che classicamente swedish: il riffing è continuo, incalzante, malevolo e malinconico, si passa da intermezzi ragionati in cui le chitarrone sparano riff di grande impatto emotivo a parti in cui i ragazzi decidono di cavalcare la tigre lanciando il rullante a velocità degne di nota.

La vena atmosferica del prodotto è garantita da un tappeto di doppio pedale di origine blackmetallica e dall’uso delle tastiere che disegnano trame orchestrali di indubbio interesse.

Il disco si staglia poderoso come un unicum, i pezzi sono fortemente evocativi e collegati tra loro, rendendo appieno l’intento doloroso che i nostri intendono trasmettere.

Molto belli gli intermezzi più ragionati, che hanno la capacità di spezzare il riffing e regalare momenti di derivazione nettamente blackmetallica.

Se dovessi definire il disco, lo collocherei all’interno del death metal svedese moderno per potenza, anche se non potrei fare a meno di notare le commistioni con un certo death/black veloce e atmosferico stile Necrophobic per capirci.

Ne esce un prodotto validissimo, molto indicato per coloro che amano trascorrere le loro giornate libere invernali al caldo delle loro abitazioni mentre, fuori, infuria la buia tempesta boreale.

Una menzione per la resa del disco: produzione pulita eccellente, in grado di donare profondità al sound, valorizzare le idee compositive e la tecnica esecutiva di alto spessore.

Quando mi trovo davanti ad album di band ignote ho sempre una sorta di preconcetto: mi è risultato semplice entrare nel mood del nuovo disco dei Malevolent Creation di cui ho già dato conto, mentre ho avuto bisogno di vari ascolti per comprendere appieno il sound dei Musmahhu.

Alla fine credo di poter dire che questo disco rappresenti un grande esempio di dedizione al movimento, un esempio di come il death metal debba essere orchestrato per risultare convincente anche se suonato in maniera diversa da quella che è la definizione originaria del genere.

Tra le canzoni più belle, metterei “Musmahhu, Rise”, “Slaughter Of The Seraphim” e “Spectral Congregation Of Anguish”.

Insomma, un disco che consiglio di ascoltare con attenzione e partecipazione, per entrare davvero nel trip compositivo del nostro amico Swartadauptz (unica cosa che non apprezzo sono questi nomi di origine sumera, suppongo) e lasciarsi trascinare da un death metal originale, ispirato e fortemente evocativo.

3 . Legion Of The Damned – Slaves Of The Shadow Realm – Napalm Records

Settimo album in studio per i decani nederlandesi Legion Of The Damned, band che propone un feroce ed incisivo death-thrash metal che lascerà soddisfatti anche i più intransigenti cultori dell’estremo: i nostri ci sanno fare, sono attivi dai primi novanta, prima sotto il monicker Occult, e non hanno alcuna intenzione di cedere il passo.

Le origini black metal del quartetto sono evidenti nella tagliente e thrashosa voce screammata e nel disegno impuro e caotico delle chitarre, oltre che nella sezione ritmica nella quale la fa da padrone una batteria sempre lanciata a mille.

Le influenze thrash rendono il prodotto antico, la produzione gracchiante e cattiva rievoca atmosfere lontane, tempi nei quali le band si preoccupavano di spaccare tutto quello che trovavano sulla propria strada senza pensare più di tanto ad altro.

Allo stesso tempo, tuttavia, l’evoluzione compositiva dei nostri regala uno stampo moderno al disco, la capacità di passare da parti di sontuosa e sparata violenza thrash-black ad altre malevolmente cadenzate.

La solidità del prodotto trova la sua massima espressione nella cavalcata furiosa della opening “The Widows Breed”, nel riff pacato che introduce al massacro di “Slaves Of The Southern Cross” e nella intro di pianoforte che ci conduce alla blasfema e potentissima “Shadow Realm Of The Demonic Mind”, pezzo, a mio giudizio, migliore del cd.

Tutto il disco è da assaporare con calma, lasciando che il massacro sonoro si impadronisca delle nostre abitazioni e ci faccia scapicollare serenamente ad ogni riff.

Le mazzate che i nostri mettono insieme in questo disco trovano un limite nella ripetitività della proposta, nel fatto che la ferocia con cui la band approccia i pezzi finisce per renderli un po’ troppo somiglianti tra loro.

Tuttavia, tolto questo difetto, la violenza ragionata, la cattiveria ben orchestrata che i LOTD sono in grado di comporre meritano tutto il nostro rispetto e la nostra approvazione: nessuna volontà di innovare, ma soltanto il desiderio di confermare la potenza della propria voce all’interno del movimento, è questo l’unico intento dei nostri.

La band proviene dal Limburgo, quella lingua di Olanda che si infila tra la Westfalia e le Ardenne, una regione nella quale il death metal è sempre stato presente in un grande numero di band: e questa tradizione trova conferma nel prodotto dei veterani LOTD, un gruppo che non è destinato a passare alla storia per originalità o inventiva, ma che, quando si presenta all’appuntamento discografico, ha la sana capacità di rendere felici coloro che, come il sottoscritto, amano il rispetto dei canoni del genere e che ricercano dalle band storiche convinzione e devozione alle origini dalle quali provengono.

4 . Festerday – iihtallan – Season Of Mist

La intro vomitata ci porta da subito nel mondo di marcia agonia che i finnici Festerday vogliono descrivere con la loro musica; il successivo riff tumpeggiante ci fa capire che siamo davanti ad uno dei primi album classic death metal del 2019.

I nostri arrivano oggi all’esordio discografico dopo una scarna produzione minore attraverso i circa 30 anni di attività: il leader della band Timo Kontio, in tutto questo tempo, non ha evidentemente abbandonato l’idea di suonare death metal con la propria creatura originaria, anche se, in questo lungo periodo di tempo nei quali i Festerday sono rimasti sostanzialmente inattivi, ha dedicato i suoi maggiori sforzi ad un’altra band che è nota per essere una delle più importanti proposte finlandesi in ambito estremo, gli …And Oceans.

Tuttavia, il primo amore non si scorda mai e Timo ha deciso che era tempo di far conoscere al globo cosa hanno sempre suonato i suoi vecchi Festerday: un marcescente, possente death metal ancorato nei territori più oscuri e lontani dello swedish sound più riffoso e brutale; una musica che ha avuto i suoi albori tanto tempo fa, quando Entombed, Dismember, Grave e Unleashed la hanno resa famosa in tutto il mondo.

I Festerday, oggi, hanno avuto il coraggio di proporre quel sound lontano nel loro prodotto, senza pensare più di tanto a tutto il tempo che è passato.

L’abissale death metal dei nostri trova compimento in cavalcate sontuose, accompagnate da riff grattanti e cattivi, nel rullante sempre carico della batteria e nella voce di Timo, dura e scandita come è tipico dello swedish sound.

Tra i pezzi migliori, sicuramente la cadenzata e trascinante “Kill Your Truth”, la pesante opening “Edible Excrement” e la violenta e marcia “Into The Void”.

Un aspetto che rende il movimento death metal meravigliosamente autentico è l’attitudine delle band che lo compongono, che riassumerei nella sana dedizione dei vari musicisti nei confronti della musica che amano comporre, suonare e proporre, senza alcuna invidia per i colleghi più famosi, nella convinzione che la grandezza delle band di riferimento dipende dalla forza dell’underground, dalla forza delle proposte dedicate solo ed esclusivamente a coloro che amano davvero questo genere musicale.

E allora, da vecchio romanticone, mi commuovo a pensare a questi ragazzi finlandesi che, tanto tempo fa, hanno scelto il nome della propria band ispirandosi al titolo di una song dei maestri inglesi Carcass contenuta nel loro esordio “Reek Of Putrefaction”.

E mi piace pensare, e forse è davvero così, che nelle chitarre meravigliose di Bill Steer e nel basso di Jeff Walker ci sia stata tutta la forza del movimento, la forza di band come i Festerday, nel momento in cui i Carcass hanno composto e regalato agli appassionati i loro immortali capolavori.

Di sicuro, questo esordio non passerà alla storia per qualche ragione particolare, ma a me è piaciuto parecchio e ne consiglio l’ascolto a tutti: lasciatevi condurre dal riffing crudo e convinto fino all’epilogo del disco, pensando che questi ragazzi finlandesi avevano nelle corde dei loro strumenti questa roba da tanto tempo e non vedevano l’ora di farla sentire a tutti noi semplici appassionati; e noi non possiamo che ringraziare e rendere onore all’ennesima band underground pura, autentica, onesta e severa del panorama death metal di ieri, di oggi e, magari, di domani.

5 . Horrisonous – A Culinary Cacophony – Memento Mori Records

Album di debutto per questa sordida entità proveniente da Sidney, Australia. Quando mi capita nello stereo un prodotto di band del nuovissimo continente resto quasi sempre molto soddisfatto: forse sono una persona semplice, senza grandi pretese, e la musica che propongono gli Horrisonous non può certo definirsi complicata.

Siamo nella più ferrea tradizione underground aussie: voce dall’oltretomba tendente allo scream, chitarre fruscianti, marce e cattive, stoppate continue, parti lente putride e oscure, basso chiaro e disturbante, batteria essenziale ma ben coinvolta.

Ne derivano poco più di 40 minuti di sinistro death metal che trova le sue fonti ispiratrici in band dedite al lentone come i maestri Asphyx (senza avere la lugubre vena creativa degli olandesi ovviamente) e nei primi Carcass per la cruda marcescenza delle parti sparate; tuttavia, i nostri sanno distaccarsi da prodotti eccessivamente old school grazie ad un riffing piuttosto tetro e ad una notevole capacità di creare un caos ragionato interessante.

Poi siamo sempre lì: sarò fuori di testa ma questa band è terribilmente australiana, nell’impostazione delle canzoni, nei dettagli (voce, suoni delle chitarre e del basso, uso dei piatti e del charleston da parte del batterista) e nell’attitudine complessiva.

L’ho già detto e lo ripeto: le band aussie sono fervidamente legate al loro underground, non hanno smanie produttive e non hanno alcun interesse a suonare una musica di impatto diretto o particolarmente tecnica (salvo i maestri della Tasmania Psycroptic).

Il suono torturante dei nostri trova il massimo compimento nella crudele opening “Kuru Worship”, nella pregevole “The Gavage” e nell’assassina “A Tale Of Matriphagy”.

Il prodotto è meritevole di attenzione, non lasciatevelo scappare: siamo di fronte a qualcosa di diverso dai soliti lavori europei o americani, siamo davanti ad un cd decisamente death australiano e, solo per questo, da non perdere.

Chiaro, poi, che tale fortuna toccherà soltanto a pochi eletti, visto che il cd vedrà la luce in un numero di copie piuttosto ridotto, come tipicamente accade per tutte le uscite australiane di genere.

6 . Embrional – Evil Dead – Unsigned

I polacchi Embrional arrivano al loro terzo album seguendo con granitica efficienza e devozione la strada tracciata con gli eccellenti due precedenti dischi: nonostante una certa importanza all’interno del movimento underground polacco odierno, i nostri hanno optato per autoprodursi il cd, pur essendo sotto contratto con la label Old Temple che, da quelle parti, è una certezza.

Gli Embrional, come dicono il nome, il logo e il layout, sono dediti ad un classico death metal delle origini, che trova grande ispirazione in band storiche di grande impatto e violenza, quali Cannibal Corpse, Morbid Angel e Deicide.

Siamo quindi più in territori americanoidi che europei, come spesso accade per i dischi death metal provenienti dalla floridissima Polonia, terra di sontuosi blackmetallari e di tanto death metal cresciuto con il nutrimento della più grande band polacca della storia nel genere (almeno fino a quando non è diventata praticamente thrash), ossia i Vader, che di sicuro, ai loro esordi, avevano un sound vicino ai grandi mostri sacri americani.

E allora non resta che entrare nel mood del disco: una serie furibonda di sparate e stoppate, messe in pratica attraverso la furia delle chitarre, la perfezione chirurgica della batteria e il growl assatanato della voce.

Non siamo davanti ad un prodotto tech-death, nonostante i nostri amino la velocità e, spesso, sacrifichino la ricerca dell’atmosfera per assecondare le loro brame di devastazione.

In sostanza, il disco è piacevole, violento e ragionato al punto giusto ma non ha picchi di particolare eccellenza: gli Embrional fanno bene il loro lavoro ma avevo forse preferito i loro primi due dischi.

Il problema di questo genere di death metal fortemente brutal oriented è l’impatto: è facile che le band senza particolari spunti tendano a perderlo nel corso della carriera, finendo per collocarsi in un average che rende i loro prodotti interessanti solo per una manciata di ascoltatori che cercano proprio quella cosa lì.

Tra le canzoni di maggior interesse, segnalo le più impattanti, quelle nelle quali gli Embrional riescono a spaccare la testa dell’ascoltatore: “Day Of Damnation”, “Endless Curse” e “Vileness”.

Il cantante della band suona anche negli Azarath, creatura polacca decisamente più ispirata e intrigante: tuttavia, la qualità c’è anche in questo disco, un disco che non passerà alla storia, ma che ha avuto, per il sottoscritto, il benefico effetto di regalare poco meno di 40 minuti senza troppi pensieri.

7 . Meathook – Crypts, Coffins, Corpses – Unmatched Brutality Records

A sette anni di distanza dal precedente sforzo, ritornano a tormentare le nostre esistenze i quattro brutal deathsters di Phoenix, Arizona, qui al terzo full lenght in carriera.

I nostri sono collocati all’interno del più ortodosso rispetto dei canoni del brutal death metal con tematiche horror-gore-splatter: a partire dai testi e proseguendo con la musica.

I Meathook incentrano la loro proposta sul riffing cupo e distorto, sul tappeto di batteria e sulla voce gutturale, marcia e pesante del singer Mars Gonzales.

Come tutte le band americane di origine ispanica, anche i Meathook hanno quella capacità di apparire ancor più brutali della media: forse ciò è dovuto al timbro particolarmente molesto del cantato o alla indecente distorsione delle chitarre, fatto sta che la musica dei ragazzi del deserto è davvero piuttosto cruda e disturbante.

Sia ben chiaro, siamo all’interno di un sound evidentemente derivativo: i nostri suonano chiaramente brutal death metal e, per questo motivo, mi sento di consigliare il disco solo a coloro che apprezzano in modo particolare questo sottogenere.

Tra le canzoni più interessanti, vorrei citare “Coils Of Entrails”, la title track e “Cauldron Of Dead Bodies”: la scarsa originalità della proposta si coglie anche dai titoli delle song, pienamente inseriti nella più rigorosa tradizione brutal splatter.

In conclusione, non sono un grande amante di questa band che trovo alquanto scontata nella composizione: tuttavia, non posso non segnalare la brutalità malata del disco per coloro che non possono fare a meno di passare le loro notti in preda all’insonnia per essersi riempiti la testa, da ragazzini, di film splatter e musica da serial killer.

8 . Ravenous Death – Chapters Of An Evil Transition – Memento Mori Records

Altra uscita intrigante per la spagnola Memento Mori: la label di Saragozza questa volta va a pescare all’interno della sempre viva scena messicana, garanzia di assoluto rispetto dei canoni di brutalità che il genere richiede.

L’esordio dei Ravenous Death si colloca in quella categoria di prodotti che devono essere ascoltati soltanto da coloro che non possono fare a meno di ubriacarsi di old school e non si accontentano di sentire tutto ciò che è stato già prodotto con questa etichetta.

I nostri arrivano dalla città di Guadalajara, luogo che ha dato i natali a molte delle band estreme del movimento messicano, e suonano un sano death metal della prima ora.

Nessuna idea innovativa: la linea compositiva è incentrata sul riff diretto e marcescente, la batteria sempre in tiro e la voce vomitata nel microfono.

Gli ingredienti così mescolati generano un prodotto più che appetibile: non siamo davanti ad un piatto di aragosta, ma ad un’ottima pasta al pomodoro che tante volte ci da più soddisfazione di certi gusti troppo elaborati.

A lungo andare l’ascolto diventa poco stimolante: il susseguirsi di sparate di rullante e i ripetitivi riff aggressivi risultano un po’ scontati, la band non ha particolari spunti di classe che rendano il disco memorabile.

Tuttavia, non si può non segnalare un onesto e diretto lavoro old school, un disco che non ha la pretesa di entrare nella storia ma che rappresenta pienamente la vivacità e la seria devozione ai dettami del genere del movimento messicano.

Gli episodi di maggior valore sono la furiosa “Evil Dementia”, la potentissima “Harvesting Hate” e la riffosa “The Sinister Being”.

In conclusione, direi che il disco merita un ascolto: ero entrato in possesso della prima uscita del combo, un EP di qualche anno fa e non ne ero rimasto particolarmente colpito, questo cd rappresenta un passo avanti, uno sforzo per presentare un prodotto maggiormente maturo e dalla composizione più convinta.

Dedicato agli amanti dell’old school, un lavoro onesto che merita rispetto.

9 . Refusal – Epitome Of Void – Great Dane Records

Ci sono band che non hanno alcuna intenzione di essere particolari, la loro proposta si inserisce in maniera granitica all’interno di sentieri già percorsi da tempo.

La differenza, in questo tipo di prodotti, sta nella qualità: ci sono band che sanno fare per bene il loro lavoro e altre che difettano in qualche cosa.

I finnici Refusal giungono al loro sophomore album pienamente convinti delle loro non eccelse qualità compositive, ma altrettanto ben consci di saper cogliere nel segno.

I nostri ci regalano 40 minuti di aggressivo death metal cavernoso e violento, con numerose scorribande in territori quasi grindocore, nei quali il blast beat della batteria si riesce a sposare con una certa armonia con gli up tempo della composizione.

Il caos sonoro non è mai senza regole: l’assalto ritmico è ben disegnato, il riffing è sempre sporco e poderoso, la voce agonizzante e cattiva, la batteria non da respiro.

Nel complesso, i difetti del disco sono molto pochi se si ricercano potenza e velocità, maggiori se l’ascoltatore richiede al death metal una maggiore vena atmosferica del tutto assente nel qui presente album.

La scena finlandese è una delle più variegate del pianeta, con proposte classiche accanto ad un numero elevato di band dedite ad un death più brutale e improntato alla creazione del muro sonoro di calcolata confusione.

I Refusal appartengono certamente alla seconda categoria, sono di certo più vicini a bands come Corpsessed o Purtenance piuttosto che ai grandi maestri finlandesi di un tempo Demilich e Convulse che erano maggiormente rivolti a rendere cupo e atmosferico il proprio sound.

Nel complesso, un disco che non eccelle ma che resta una buona idea per coloro che dal genere ricercano brutalità convinta e senza compromessi: definirei il genere suonato dai nostri death metal da autostrada (magari di quelle dritte e senza controlli di velocità tutor), quel tipo di dischi che si possono mettere durante un viaggio (magari da soli o in compagnia di qualche demente come noi) per aiutare il guidatore a tenere un bel ritmo forsennato in corsia di sorpasso.

Tra le track di maggior interesse, segnalo la poderosa “Bound”, la direttissima “Suffocate” e la notevolmente aggressiva “Void”, song di chiusura del disco che è forse anche l’episodio più originale e diversificato nella linea compositiva di tutto il lavoro.

Che dire… Non è il caso di urlare al miracolo o correre entusiasti ad acquistare il cd sul web; tuttavia, questo genere di death metal grezzo e grindcoreggiante piace a più di un appassionato, soprattutto a quelli che non disdegnano sfasciarsi la testa senza troppa attenzione al contenuto della musica.

10 . Vile Apparition – Depravity Ordained – Blood Harvest

Ultimo posto in classifica per un disco che a me è piaciuto tantissimo, ma sconta una scarsa originalità che gli rende preferibili altre proposte nel mese di gennaio.

Resta la complessiva potenza e validità del prodotto: gli australiani Vile Apparition arrivano al loro esordio discografico con le idee molto chiare.

Il lavoro mi ha rammentato sonorità molto lontane, in primis “Eaten Back To Life” dei Cannibal Corpse, ma ci sono anche tanti Gorguts delle origini, Suffocation e qualcosa di più moderno tipo i Nile.

Siamo di fronte ad un death metal estremamente brutale e diretto, che trova la sua principale forza nel sound granitico delle chitarre, sempre ispirate e capaci di disegnare riff di lugubre e rispettoso death metal della tradizione.

Metteteci accanto la cavernosa voce del singer e una drumming session ineccepibile per violenza e cattiveria (meno per varietà e profondità) e gli ingredienti per la ricetta di un ottimo prodotto death metal moderno ma con radici lontane sono serviti.

Non posso che apprezzare lo sforzo dei nostri, che trova compimento nella poderosa “Malevolent Aphantasia”, nella devastante “Mauled And Nameless” e nella rocciosa “The Cursed Path”, episodi migliori di un lavoro che ho trovato convincente.

Come detto, non si può fare a meno di evidenziare la scarsa vena creativa di una band che, nel 2019, suona una musica pesantemente derivativa, aspetto che potrebbe lasciare interdetti alcuni ascoltatori maggiormente incentrati sulla innovazione.

Ho letto che Melbourne, la capitale dello stato australiano di Victoria e città da dove i nostri provengono, è una delle località più moderne e culturalmente interessanti dell’Oceania: probabilmente i Vile Apparition non sentono più di tanto questo fermento.

Hanno deciso di suonare la musica dei pionieri, facendolo peraltro in maniera valida, hanno deciso di restare ancorati a quei tempi nei quali il death metal era ancora poco conosciuto e le band che sarebbero diventate grandi e importanti erano ancora un pugno di ragazzini che si riunivano in qualche scantinato suburbano degli States o del Nord Europa.

Questo tipo di dischi è un tributo, forse scontato, forse inutile, a quel periodo mitico che tutti noi in qualche modo abbiamo vissuto: la capacità dei VA di riproporlo oggi merita tutta la nostra approvazione e il nostro rispetto, anche se sono arrivati in ritardo, di quasi 30 anni.

Lascia un commento

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: