I 20 migliori dischi DEATH METAL del 2017

Durante l’anno non mi ero reso conto di quante fossero state le uscite di valore in ambito death metal: passavo da un ascolto all’altro con grande soddisfazione senza comprendere che il 2017 è stato una delle annate più floride, recentemente, per il vecchio death metal.
Accanto a nomi illustri che sono arrivati all’appuntamento con l’ennesimo album in splendida forma, ci sono state notevoli iniezioni di nuova linfa, ottimo segnale per un movimento che è tutt’altro che in crisi.
E’ stato difficile selezionare soltanto 20 dischi: ho lasciato fuori alcuni nomi che, certamente, per altri, avrebbero dovuto essere inclusi; tuttavia ho selezionato le band e i loro lavori seguendo le indicazioni del mio palato di ascoltatore e del mio cuore di appassionato, sperando di aver fatto un buon lavoro.

 

1. MEMORIAM – For The Fallen (Nuclear Blast)

 

Non è facile assegnare la medaglia d’oro: alla fine penso che non ci possa essere un criterio oggettivo, che la scelta dipenda molto da quello che l’ascoltatore sente in un disco; in “For The Fallen” ho sentito tutto quello che per me rappresenta l’essenza di questo genere, il genere che adoro e che resterà sempre il mio preferito: ho sentito l’ispirazione e la tecnica, la velocità e la melodia, le cavalcate e le riflessioni, il passato e il presente.
“War Rages on” e “Reduced to zero” sono i miei pezzi preferiti: veloci e cattivi, ma allo stesso tempo oscuri e sentiti.
Non sono un grande fautore delle superbands ma in questo caso la fusione tra Benediction e Bolt-Thrower costituisce un sicuro punto di successo: sono band simili, brutali e oscure, che arrivano da lontano.
Credo sia proprio questo il punto vincente di “For The Fallen”: sembra che arrivi da lontano, sembra che sia il frutto di un lungo viaggio attraverso l’evoluzione del sound senza dimenticare da dove tutto ha avuto inizio; è un disco moderno che non si distacca troppo dal passato, ne coglie gli aspetti migliori, l’atmosfera e l’ispirazione.
Con questo disco il vecchio death metal si presenta ai tempi moderni indossando sempre il suo chiodo con le toppe, portando le borchie e i capelli lunghi sulle spalle, ma risulta splendidamente in forma, elegante e al passo coi tempi come se tutti gli anni trascorsi non avessero portato nemmeno una ruga sul suo volto. Immortale.

 
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2. IMMOLATION – Atonement (Nuclear Blast)

 

Adoro gli Immolation, lo ammetto: anche se uscissero con un album al mese non mi stuferebbero. I nostri non raggiungono forse i lustri di “Majesty and Decay” ma “Atonement” mi è parso superiore al precedente “Kingdom of Conspiracy”, dove avevo trovato il sound un po’ arrugginito e scontato. Qui funziona tutto: produzione, esecuzione e varietà dei pezzi. Su tutte “Fostering the Divide” (da staccarsi la testa a furia di headbanging) e a seguire “Thrown to the Fire” e “Destructive Currents”, ma è tutto il disco ad essere ispirato. Certezza.
 
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3. ENTRAILS – World Inferno (Metal Blade)

 

Non un grande anno per le band svedesi: poche uscite, diversi mostri sacri in stand by se non peggio. Per fortuna in estate è arrivato l’ennesimo lavoro degli Entrails, per me il migliore mai prodotto dai nostri. C’è tutta la tradizione dello swedish sound: riffs assassini, melodia e disagio esistenziale che sfocia nella violenza fisica verso il mondo. Gli Entrails nascono nel 1990, è stato un lungo viaggio fino ad oggi, fatto di album spesso validissimi, ma oscurati dalle incombenti presenze di conterranei più famosi e, in passato, anche più ispirati.
Non so se il 2017 sia troppo tardi: mi direte che i primi anni novanta hanno rappresentato la vera palestra in cui ci si doveva misurare, le band erano giovani, il movimento in crescita e tutto il resto; può darsi, tuttavia le band che hanno vissuto nell’underground per decenni senza perdere la loro passione meritano comunque rispetto; e se dopo quasi venti anni se ne escono con il loro miglior lavoro, che è anche il miglior lavoro dell’anno nel genere, gli va riconosciuto: “World Inferno” tiene alta la bandiera dello swedish death metal nel 2017 e conserva la forza dell’underground da dove proviene e al quale apparterrà sempre. Commovente.
 
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4. HATE – Tremendum (Napalm Records)

 

Decimo album per i polacchi e inaspettato arriva il capolavoro: “Tremendum” è potenza pura dall’inizio alla fine, tecnicamente eseguito alla perfezione, con una vena blackened che lo rende estremamente cattivo. Gli Hate mi sono sempre piaciuti, posseggo tutta la loro discografia, fin dagli anni novanta, ed è impressionante l’evoluzione sonora di questi ragazzi nel tempo: si è passati dal classico death metal grezzo e quasi rituale tipico delle band polacche post cortina di ferro ad un sound maturo, ispirato; classico ma originale allo stesso tempo. Pensare che i nostri, dopo lo scorso album “Crusade Zero”, si erano sciolti a causa della morte improvvisa del bassista storico: si sono riuniti soltanto per onorare un impegno discografico e ne è uscito il loro miglior lavoro di sempre.
Monumentale.
 
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5. DYING FETUS – Wrong One To Fuck With (Relapse)

 

 

Le band estreme che producono troppi dischi rischiano di incappare nel lavoro orrendo o, peggio, di incanalarsi in un binario di mediocrità giustificato solo dalla necessità di onorare impegni discografici. Non è il caso dei DF: la loro fatica del 2017 è forse il miglior lavoro del combo di Baltimora: brutale e tecnico, prodotto alla perfezione, ben eseguito; il sound è in evoluzione rispetto ai primi lavori: se cercate la cieca brutalità assassina dei primi DF rimarrete delusi, anche se non è del tutto assente.
“Die With Integrity” e “Unmitigated Detestation” i miei pezzi preferiti.
Non è il caso di urlare al capolavoro, ma è onestamente difficile trovare qualcuno che faccia meglio di loro questo sporco lavoro di macelleria sonora. Devastante.
 
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6. INCANTATION – Profane Nexus (Relapse)

 

A metà anni novanta acquistai un lavoro degli Incantation, “Mortal Throne of Nazarene”, deriso dai miei amici metallari perché spendevo i miei pochi soldi in dischi non meritevoli; ai tempi si acquistava al buio, ci si basava solo sulle poche recensioni che, nel caso, avevano stroncato il disco.
Come al solito, feci di testa mia e trovai il disco molto bello: gli Incantation hanno sempre proposto un sound particolarmente oscuro, forse per la voce gravemente gutturale, unica nel novero delle numerose band Death americane dell’epoca. Oggi, quel disco è stato rivalutato dagli stessi detrattori di allora ed è considerato un caposaldo del genere, un pezzo immancabile per ogni collezionista e appassionato. Il preambolo non vuole essere autocelebrativo, ma semplicemente indicare come gli Incantation propongano un sound ben definito da più di 20 anni. “Prophane Nexus” ha degli aspetti innovativi, ma resta un lavoro Incantation in pieno; anche questo disco non ha ricevuto particolari ossequi dalla critica, come accadde allora con “Mortal Throne of Nazarene” e, anche oggi, come allora, ho scommesso sul disco e sono pronto ad affermare che tra qualche lustro sarà considerato una pietra miliare nell’evoluzione della band e di tutto il movimento.
Sono contento che gli Incantation proseguano il viaggio nella sordida brutalità oscura del loro sound, ora come allora, senza compromessi, senza guardare indietro ma nemmeno troppo in avanti. Profano.

 
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7. CORPSE GARDEN – Iao 269 (Godz ov War Productions)

 

Aspettavo questo disco al varco: dopo un ottimo esordio, ero curioso di scoprire se i ragazzi del Costarica avrebbero mantenuto le aspettative.
Direi che non sono stato deluso: il sound ricorda quel sano death metal americano della prima ora, Morbid Angel, Death, Deicide, ma, a mio modo di vedere, la maggiore ispirazione i nostri l’hanno tratta dai primi Gorguts: amo “Considered Dead” al punto da essermi tatuato la copertina sulla schiena e lo conosco in ogni singola nota alla perfezione; bene, i Corpse Garden suonano quel disco nel 2017 e il fatto che provengano dal piccolo Costarica (non certo un paese con la scena del Canada o della Svezia) me li fa preferire anche di più. Gran disco dall’inizio alla fine, 50 minuti di death metal brutale e cattivissimo, cosa chiedere di più? Ammirevole.

 
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8. SPECTRAL VOICE – Eroded Corridors Of Unbeing (Dark Descent)

 

Molte volte, in questa mia classifica, mi lascio andare a considerazioni su come il sound di certe band storiche non debba, secondo me, modificarsi troppo solo per il fatto che sono passati tanti anni dal loro primo disco. Dopo aver ascoltato l’album degli Spectral Voice sono sempre più convinto che i Broken Hope, i Suffocation, gli Incantation e altri debbano continuare per la loro strada: per l’innovazione è meglio lasciare spazio ai giovani.
Questi ragazzi di Denver ci portano in un viaggio nelle peggiori oscurità del death/doom di matrice nordeuropea imbastardito dalla melodica cattiveria americana: parti veloci alternate a riflessioni morbose più lente con una vena poetica e sognante. Bellissima la strumentale “Lurking Gloom”.
Consigliato a tutti, soprattutto a chi è sempre in cerca di nuove modalità di sofferenza sonora. Mistico.

 
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9. CANNABIS CORPSE – Left hand pass (Season of Mist)

 

Che i goliardi abbiano superato i maestri? Non diciamo eresie, ma il lavoro dei CC mi ha convinto di più di quello dei loro principali ispiratori Cannibal Corpse; dalle prime note, ho trovato il disco estremamente godibile, rilassante, chiaro nei suoi intenti ma allo stesso tempo mai piatto, mai scontato.
La chiave di tutto è nell’ispirazione dalle band classiche del death americano, Morbid Angel, Deicide, Malevolent Creation e ovviamente Cannibal Corpse.
I testi che parlano di canapa sono sempre gustosi e divertenti: non resta che sedersi sul divano, sparare l’album a volumi adeguati e rilassarsi per 35 minuti; alla fine ci alzeremo con un bel sorriso stampato in faccia, certi che il nostro sano vecchio death metal è vivo e sta benissimo grazie all’esistenza di band come i Cannabis Corpse. Rassicurante.

 
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10. SUFFOCATION – Of Dark Light (Nuclear Blast)

 

Scena newyorkese, ossia certezza assoluta di successo; in un’annata superprolifica per le band storiche della zona, non potevano mancare i Suffocation. Mi sono avvicinato al disco senza grosse aspettative, mi pareva che i nostri avessero perso un po’ di grinta nelle loro ultime uscite.
Mi sono ricreduto subito: eccellente lavoro, ascoltato e riascoltato più volte, a casa con calma ma anche in palestra o per la strada con le cuffie; vale tutto perché il disco è Suffocation prima maniera e questo lo rende diretto, onesto, comprensibile; la solidità delle chitarre prevale sulla complessità della struttura che avevo riscontrato nel precedente “Pinnacles of Bedlam” e che a tratti mi aveva annoiato. Oserei dire che siamo tornati ai tempi di “Pierced From Within” e, in questo caso, l’involuzione è positiva. Non metto il disco tra i primi 5 perché ci sono alcune canzoni poco convincenti, in cui la batteria mi è parsa un po’ slegata dal resto dell’orchestra, creando un senso di vaga confusione: non vi dico quali sono, ma vi indico le migliori, “The Warm Within The Dark” e “Your Last Breath”, in modo che possiate cogliere solo il meglio di un lavoro che mi ha soddisfatto appieno. Evocativo.

 
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11. OVEROTH – The Forgotten Tome (Hostile Media)

 

Sorpresa da Befast: lo ammetto, ho acquistato il disco senza convinzione attratto dall’artwork che lasciava presagire del sano death metal senza troppe deviazioni. Non mi sbagliavo del tutto: i ragazzi suonano death metal e su questo non ci piove, tuttavia il sapiente uso delle tastiere e l’alternanza tra riffs tipicamente Death vecchia maniera con altri di derivazione più moderna e blackeggiante rendono il lavoro particolare. “The Forgotten Tome” si merita un posto tra i primi 20 album dell’anno quale esempio di innovazione senza rinunciare ai parametri tipici del genere. Granitico.

 

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12. UNDER THE CHURCH – Supernatural Punishment (Pulverised)

 

Musicisti che arrivano dalla scena swedish dei primi novanta, band nata dalle ceneri dei Nirvana 2002, ingredienti perfetti per aspettarsi il discone: e non si resta delusi. I riffs cattivi dei nostri ci prendono dalla prima nota, il basso fa un lavoro sontuoso e le atmosfere classic death ci sono tutte.
Non è un lavoro swedish tuttavia; siamo di fronte a qualcosa di più simile ai recenti Autopsy, mi hanno ricordato anche la brutalità degli Avulsed a tratti; direi che ci avviciniamo maggiormente ad un death/trash moderno, con vaghe influenze dai Cancer e (perché no) con certe ruvidezze che richiamano addirittura i Bathory.
Gran bel disco, masterpiece, rigoroso, cattivo, sentito e incalzante al punto giusto. Vigoroso.

 
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13. CANNIBAL CORPSE – Red Before Black (Metal Blade)

 

Ennesimo album dei CC, niente di nuovo sotto il sole, sound Cannibal allo stato puro: pregi e difetti. Il disco attacca al muro l’ascoltatore dal primo riff all’ultimo e non lascia respiro, produzione eccellente (fin troppo pulita per i miei gusti), basso poderoso e prestazione di Mazurkievic alle pelli sontuosa come ai bei tempi. Manca la scintilla anche se pezzi come la title track e “In The Midst Of Ruin” (assolo stupendo) restano scolpiti nella mente del deathmetaller fin dal primo ascolto. Che dire, da non perdere per gli amanti del genere; un porto sicuro dove spaccarsi le orecchie senza troppi pensieri. Solido.
 
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14. HIDEOUS DIVINITY – Adveniens (Unique Leaders)

 

Un po’ di sano campanilismo: in Italia non siamo secondi a nessuno nel suonare death metal tecnico; è un genere che può risultare noioso o troppo complesso, me ne rendo conto, è un genere che a volte difetta di atmosfera.
Ma va preso per quello che è: qui nessuno vuole rappresentare particolari sentimenti o portare l’ascoltatore indietro nel tempo o in mondi paralleli; qui si vuole soltanto massacrare l’orecchio del malcapitato con un susseguirsi di riffs eseguiti alla perfezione con un tappeto di batteria devastante alle spalle.
La differenza tra un buon disco technical e un lavoro mediocre, a mio modo di vedere, sta nella sua anima: “Adveniens” ha un’anima, è brutale, tecnico ma anche sentito. Eccellente.

 
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15. PYRRHON – What passes for survival (Willowtip)

 

Ecco un lavoro eccellente dove la tecnica dei musicisti lascia, a tratti, a desiderare: certo i nostri vanno veloce, velocissimo, con quella sensazione che ti danno band tipo i Terrorizer, quando pensi che non possano accelerare più, ecco il cambio di tempo e la ripartenza a ritmi ancora più vorticosi.
Testi di violenza e serial killer, voce che passa dal grind allo screaming simil-black e, come detto, velocità assurde, con uno sfondo di grind-black che ricorda quelle assurde band australiane/neozelandesi tipo i Sadistik Execution.
Il primo pezzo, “The Happy Victim’s Creed”, mi ha lasciato di stucco al primo impatto e forse ha condizionato l’ascolto del seguito del disco: tuttavia, nei successivi passaggi, ho imparato ad apprezzare l’opera di questi fuoristi newyorkesi; è roba estrema, a tratti indigeribile, ma è un manifesto di come il death metal debba essere suonato da gente che ci crede fino alla morte. Superbo.

 
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16. AZARATH . In Extremis (Agonia)

 

Gruppo polacco guidato da Inferno, il batterista dei Behemoth; attendevo questo disco da tempo, sono passati 6 anni dal precedente sforzo degli Azarath e non sono rimasto deluso: “In Extremis” è tipicamente Death metal polacco, brutalissimo con una vena black che lo rende cieco e cattivo; è un lavoro che va assaporato con calma, non siamo davanti ad un disco death americano o nordeuropeo dove è tutto chiaro dall’inizio, siamo in Polonia, est Europa, underground per tradizione e nessun desiderio di uscirne. Il disco in questione è per palati fini, amanti del genere che apprezzano la brutalità complicata. Se preferite uno spaccamento di orecchie diretto potreste restare delusi, se invece avrete la pazienza di farvi torturare con calma alla fine godrete. Disturbante.
 
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17. EXHUMED – Death revenge (Relapse)

 

Questo disco potrebbe stare tranquillamente tra i primi 10 in classifica: pezzi ben strutturati, esecuzione tecnicamente valida, produzione pulita, artwork eccellente ispirato dalla filmografia horror italiana anni ottanta; tuttavia non è scoccata la scintilla: come tutte le band che dal grindcore passano al death metal anche gli Exhumed scontano una eccessiva attenzione al rispetto dei canoni; niente di male, sia chiaro, il lavoro nel complesso è eccellente.
“Defenders Of The Grave” e “A Funeral party” pezzi di una bellezza notevole.
Tuttavia, l’evoluzione musicale dei nostri, complessivamente positiva, non è ancora giunta del tutto a compimento; “Death Revenge” è per me il miglior disco della band californiana, merita molto più di un ascolto, ma non è riuscito ad entrarmi nelle vene. Progressivo.
 
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18. BROKEN HOPE – Mutilated And Assimilated (Century Media)

 

Nel 2013 i BH erano tornati a farsi sentire dopo 15 anni di silenzio con un bel disco, “Omen of Disease”; il nuovo sforzo dei non più giovanissimi ragazzi di Chicago è intrigante come il precedente: ci troviamo davanti ad un classico death metal brutale e assassino con voce gutturale e testi ispirati da violenza e filmografia horror/splatter. Niente di nuovo, però è giusto rendere merito alle cose fatte bene: credo che i BH non abbiano mai avuto pretese di innovazione, suonano la musica che li rende sereni e lo fanno bene; gli ascoltatori come me gliene saranno sempre grati. Odio quelle recensioni che li hanno sempre stroncati visto che non propongono nulla di nuovo, perché non capiscono il sound dei ragazzi dell’Illinois: dai tempi di “Swamped In Gore” ad oggi, i BH hanno sempre fatto le cose per bene, perché dovrebbero cambiare? Roccioso.

 
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19. ANNIHILATION – The Undivided Wholeness Of All Things (Nice To Eat You Records)

 

I nostri arrivano dal Portogallo per fracassarci la testa a suon di martellate: mid tempos intriganti introducono l’ascoltatore a momenti di puro assalto sonoro, batteria vorticosa e chitarre allucinogene. Tecnica sublime e ispiratissimo song writing di derivazione Sci-Fi, gli Annihiliation ci regalano otto tracks in cui l’ascoltatore risulta piacevolmente aggredito dall’inizio alla fine.
Ottima scoperta da un underground piuttosto prolifico ma poco considerato.
Nota di colore: dopo l’uscita del disco i nostri hanno cambiato il cantante, affidando il ruolo ad una signora: sono estremamente curioso di scoprire come la ragazza si cimenterà con la brutalità dei pezzi. Romantico.

 
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20. FIRESPAWN – The Reprobate (Century Media)

 

Sono stato da subito contento di questa uscita, prima ancora di acquistare l’album: il loro primo disco non aveva avuto successo di critica ma a me era piaciuto.
L.G. Petrov degli Entombed A.D. guida le danze di questa superband swedish con il suo vocione aggressivo e maligno, le chitarre non fanno prigionieri e in 40 minuti di disco i secondi per respirare restano pochissimi.
Voglio essere onesto: a me i Firespawn piacciono davvero ma non sarebbe corretto metterli tra i primi dieci dischi dell’anno; è un lavoro caldamente consigliato a chi conosce poco del genere, una specie di ottimo biglietto da visita, un manuale utile all’inizio ma che si abbandona non appena si scopre qualcosa di più specifico; ma allo stesso tempo il disco non lascia il segno che ci si aspetterebbe da musicisti di questo livello, dopo un po’ di ascolti lo si ripone con cura al suo posto senza il desiderio di riascoltarlo a breve. Scolastico.
 
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Lista compilata da Apparizione79

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