L’Angolo Della Morte: Le 10 uscite Death Metal più significative di Gennaio 2018

Tomorrow Hit Today è nato dopo che alcuni amici e appassionati passavano le giornate a scambiarsi messaggi su news musicali, consigli di dischi e organizzazione di concerti. Fu il classico “ma perchè questi discorsi non li possiamo condividere con il mondo?” a far venire l’idea di aprire un sito di news. Poi dopo un paio di mesi di novità discografiche abbiamo espresso le nostre preferenze sulle nostre uscite dell’anno e iniziato a scrivere monografie, guide e speciali. E chissà cos’altro ci aspetta il futuro! La classifica delle migliori uscite Death Metal del 2017 ha battuto in visibilità tutte le altre ed ecco che tra le chiacchiere di “redazione” è venuta l’idea di fare una sorta di Death Metal Charts, ovvero una classifica delle migliori uscite mensili del genere. Iniziamo da Gennaio perchè, da bravi appassionati, non vogliamo negarvi niente e un po’ per riprendere il discorso  dopo la classifica del meglio del 2017. Diamo quindi il benvenuto all’ANGOLO DELLA MORTE a cura del misterioso, ma ultracompetente, Apparizione79!!! 

Ho sempre desiderato scrivere di death metal: senza alcuna pretesa di raccontare verità assolute o con l’intento di illuminare qualcuno o, peggio, convincerlo delle mie ragioni.
Ho sempre desiderato scrivere di death metal per fornire il mio punto di vista di appassionato a coloro che seguono il movimento.
Quando abbiamo concordato di creare questa specie di “rubrica” mensile sulle uscite più significative di ogni mese, mi sono reso conto di quanto ci sia da dire, di quante siano le uscite e quanto sia difficile essere davvero aggiornati.
Tuttavia, senza pretese di completezza, nè, tanto meno, con pretese di fornire valutazioni incontestabili, mi sono reso conto, inoltre, che, grazie agli innumerevoli contatti cresciuti negli anni e per merito della mia passione, sono in grado di segnalare a chi avrà la pazienza e la voglia di leggere questi articoli le dieci uscite death che, secondo me, sono degne di essere menzionate ogni mese.

Gennaio 2018 è stato un mese davvero ricco, non è stato facile selezionare dieci lavori, tra numerosi nomi noti (almeno per gli appassionati) e ancor più numerosi (e altrettanto meritevoli) provenienti dall’underground.
Mi sono dilungato fin troppo: ecco la nostra top ten death metal di gennaio.

 

1. Bleeding Gods – Dodekathlon – Nuclear Blast

Quando mi passa nello stereo un album di una band olandese mi aspetto che il sound sia classico, pesante, improntato all’insegnamento dei maestri, Asphyx, Sinister, Altar e compagnia bella. Sapevo che i BG
avevano un sound diverso, anche se il primo album “Sheperd of soul” non mi era rimasto particolarmente impresso, e pertanto mi sono avvicinato al disco con una serie di preconcetti che sono svaniti dopo l’attacco della prima song.
I BG propongono un death tecnico brutalmente melodico: accanto ad un possente muro sonoro figlio del sapiente lavoro delle chitarre e dell’uso massiccio e classico dei tipici blast beats da parte del batterista, troviamo infatti una continua ricerca della tessitura melodica grazie all’utilizzo delle tastiere. Il tutto armonicamente equilibrato: i nostri spaccano i timpani e vanno a velocità degne di mostri sacri come i Terrorizer (c’è una vena thrash in tutto il disco che si sposa benissimo con tutto il resto) in pezzi come l’ottima “Multiple decapitation” o in “Birds of hate”, ma la canzone che maggiormente, secondo me, incarna lo spirito del disco che ho provato a descrivere è la sontuosa “Inhuman humiliation”, dove l’aggressività sonora e la melodia si sposano alla perfezione.
La cara vecchia Olanda ci regala un disco che sarà tra i più belli dell’anno, seppur in uno stile decisamente diverso dai canoni che solitamente seguono le bands provenienti da quel piccolo ma prolifico Paese nordeuropeo. Caldamente consigliato a tutti.

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2. Tribulation – Down below – Century Media

Chi mi conosce sa benissimo che non sono un particolare amante della sperimentazione e della ricerca della melodia a tutti i costi: per me il death metal deve essere riffoso, oscuro e cattivo. Tuttavia, non ho mai detto che il death metal melodico di stampo swedish non mi piaccia, anzi.
I Tribulation arrivano dalla grande mamma Svezia e ci regalano un capolavoro di disco dove la melodia e la sperimentazione ben si amalgamano con la tradizione: ad un ascolto poco attento il sound potrebbe risultare troppo dolce, forse addirittura un minimo “commerciale”; ma non è così: siamo davanti ad un immenso lavoro death metal che mi ha rammentato in particolare due dischi stupendi che arrivano dai mid nineties, periodo d’oro del death svedese. Si tratta dell’inarrivabile “Ancient God of evil” delle meteore produttive Unanimated e del pesantemente e ingiustamente sottovalutato “Amok” dei Sentenced.
Tuttavia, è un’ispirazione, un memento, quello che si coglie nel disco dei Tribulation, visto che i nostri raggiungono una piena autonomia compositiva ed un risultato che si distacca dai citati lavori per modernità, atmosfere e songwriting in generale. Si potrebbe azzardare il conio di un particolare genere per questo album: sad death metal. “Down below” sprigiona mirabile tristezza in ogni sua nota, in ogni suo passaggio, un sentimento tipico dello swedish sound che in questo caso raggiunge il suo apice e la sua vera consacrazione.
Triste, melodico, sentito, è tutto l’album ad essere un capolavoro ma vi segnalo alcuni pezzi che spiccano al di sopra degli altri: la magnifica “Lady death”, “Cries from the underworld” e la conclusiva “Here be the dragons”.
Non ci resta che lasciarci trascinare dal viaggio nell’oscuro che i Tribulation sono stati capaci di regalarci, consapevoli che il disagio esistenziale del mondo ha trovato in questo disco una moderna e convincente espressione musicale di travolgente tristezza.

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3. Hooded menace – Ossarium silhouettes unhallowed – Season of mist

Quinto album per i finnici incappucciati e mantenimento pieno delle attese della vigilia; qualcuno potrebbe dire che il disco meritava il gradino più alto della classifica: in effetti, nonostante i pesanti cambi di line up (soprattutto l’introduzione di un nuovo cantante, aspetto sempre delicato per il buon esito complessivo di un prodotto estremo), l’album è suonato alla perfezione, prodotto ancora meglio e dotato di un ottimo ritmo dall’inizio alla fine.
Tuttavia, dopo aver ascoltato il precedente “Darkness drip forth”, a mio modo di vedere, il presente sforzo presenta elementi di discontinuità che non condivido appieno: nel suddetto lavoro gli HM avevano raggiunto sontuose atmosfere doom/death con notevole prevalenza di ispirate parti lente e la capacità di regalarci dei crescendo imperniati sul più classico e maestoso dei “tumpa tumpa” di stile nordeuropeo; “Ossarium…”, invece, è un parziale ritorno alle origini: maggiore aggressività, impostazione delle songs in una vena più trashosa e parti lente spesso meno convincenti.
E’ da apprezzare il tentativo della band di innovare il proprio sound, la volontà di fornire all’ascoltatore un prodotto interessante, mai banale, e soprattutto l’alto livello esecutivo che i nostri sono in grado di mantenere per tutta la durata del disco.
Ne esce un lavoro eccellente, per palati fini, dove si incontrano e si mescolano atmosfere cupe degne del primo death finnico (di cui l’underrated “Nespithe” dei mitici Demilich resta il manifesto per me più compiuto) e la tipica aggressività da nuovo millennio di cui i minacciosi incappucciati sono ormai, a pieno titolo, una delle migliori espressioni.
Lasciarsi trascinare dalle cavalcate di “In eerie deliverance” e di “Charnel reflections” è un esercizio da consigliare a qualsisi ascoltatore; tuttavia, ed è per questo che il disco non occupa la prima piazza della classifica, il meglio lo riscontro in “Cascade of ashes”, dove i nostri tornano al tradizionale death/doom del precedente disco, canzone stupenda nella quale si esprime al massimo il senso di macabra epicità che gli HM sono in grado di creare col loro sound.
Sono certo che i ragazzi di Helsinki riusciranno a stupirci ancora, con lavori forse anche migliori del presente, che resta, in ogni caso e a pieno titolo, uno dei dischi più importanti dell’anno per il movimento.

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4. Druid Lord – Grotesque offerings – Horror pain gore death Productions

Ci sono bands che hanno una forte connotazione underground e, tra queste, di sicuro vanno annoverati i Druid Lord che arrivano a tormentare le nostre vite tranquille da Orlando, Florida. Dopo 8 anni dal primo sontuoso disco “Hymns of the wicked” e con in mezzo alcuni splits e un paio di 7 pollici, se ne escono a inizio anno con questo “Grotesque Offerings”, 50 e passa minuti di disturbante death/doom di grande tradizione.
I nostri, nelle parti doomeggianti, rievocano i primi Cathedral o i Candlemass degli esordi, insomma è doom davvero, non si tratta di riffs lenti e basta; però ci sanno fare anche nelle parti veloci, abbinando idee, tecnica e melodia. L’album esordisce con la poderosa “House of dripping gore” che già da sola vale il prezzo del biglietto, ma il livello sale ancora con la funerea e incipiente cavalcata doom di “Evil that haunts this ground”, masterpiece del disco a mio modesto parere.
Non è semplice suonare questo tipo di musica senza essere noiosi: i Druid Lord non solo ci riescono, ma riescono anche ad essere ispirati, credibili ed evocativi. Gran disco.

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5. Decaying – To cross the line – F.D.A. Rekordz

La Guerra d’Inverno è stata uno dei tanti conflitti prodromici all’inizio della seconda guerra mondiale e, come spesso accade, totalmente ignoti per chi non è, come il sottoscritto, appassionato conoscitore di quel periodo storico; fu combattuta durante l’inverno tra il 1939 e il 1940 tra l’Armata Rossa e il piccolo esercito finlandese chiamato a difendere i confini nazionali dalle mire espansionistiche di Stalin. Il breve conflitto passò alla storia per aver dato i natali alla successivamente famosa bomba Molotov, utilizzata dalla guerriglia finlandese contro i carri armati di Mosca (in realtà il primo uso dell’ordigno risale alla guerra civile spagnola ma il nome tramandato fino a noi venne coniato durante la Guerra russo-finlandese dal ministro degli esteri sovietici, il signor Molotov appunto) e per aver messo a nudo i limiti organizzativi dell’Armata Rossa, nonostante il successo finale contro i piccoli vicini.
I Decaying provengono proprio dalla Finlandia e il loro quarto full lenght segue le orme dei precedenti, war death metal in stile Hail of Bullets e Bolt-Thrower, anche se i nostri, a livello musicale, hanno i maggiori ispiratori negli Asphyx.
In realtà “To cross the line” è maggiormente trash rispetto ai precedenti sforzi, la produzione più pulita e aggressiva valorizza maggiormente le poderose chitarre e la voce particolarmente espressiva del cantante Matias Nastolin. Il racconto guerresco parte con la sontuosa title track e continua seguendo una linea sonora convincente, incalzante, facendoci immaginare la faticosa avanzata dei tank sovietici nella neve e le sofferenze della vita di trincea. Notevoli anche pezzi come “A crucial factor” dove riemergono tonalità più lente e depressive tanto care ai nostri nei precedenti lavori, e la conclusiva “Futile effort”.
Siamo davanti al miglior lavoro dei finnici, a mio modo di vedere: è stata superata l’eccessiva somiglianza con i cuginoni Asphyx tipica dei primi album, rendendo il sound dei Decaying maggiormente personale, più aggressivo e trashoso e in grado di valorizzare al meglio la bellissima voce sofferente del cantante.
I Decaying ci accompagnano in 40 minuti di battaglia, riff dopo riff, assolo dopo assolo, avanzando compatti lungo l’istmo di Carelia e sulle rive del lago Ladoga fino alla resa dei conti finale, dalla quale il nemico uscirà inevitabilmente sconfitto.

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6. Ectoplasma – Cavern of foul unbeings – Memento Mori Records

Quando a metà degli anni novanta il movimento death ha subito una flessione dovuta alla mancanza di ricambio generazionale e alla perdita di ispirazione dei mostri sacri, molti hanno pensato che avrebbe fatto la fine del trash, un sottogenere che ha avuto un periodo di grazia molto breve seppur estremamente significativo, prima di ritornare negli abissi da dove proveniva e lasciarci soltanto un bel ricordo di se stesso.
Tuttavia, nel 2018, mi capita di buttare nello stereo un cd come quello dei greci Ectoplasma (al loro secondo full lenght) che mi confermano che quei molti si sbagliavano: i nostri non tendono alla novità, suonano un death classico di ispirazione americana addirittura fine anni ottanta (ci ho sentito i Monstrosity di “Imperial Doom”, ma è una mia opinione) che non lascia spazio all’immaginazione, seppur venato da rigurgiti nordeuropei che trovano la loro massima espressione nella cover-tributo di “The immortals” degli Unleashed con cui si conclude il disco; dopo una intro evitabile si entra nel susseguirsi di riffs e cambi di tempo tanto cari al genere senza che l’ascoltatore possa concedersi un attimo di tregua fino all’ultima nota dell’ultima canzone dell’album.
L’intento è chiaro dall’inizio, nessun tradimento, nessun ripensamento, granitico rispetto dei canoni: voce direttamente dagli antri del demonio, chitarre aggressive e basso semicoperto pronto tuttavia ad emergere per un paio di pregevoli assoli spezzaritmo. Credo che gli Ectoplasma abbiano messo insieme proprio quello che volevano, un bel disco di death metal classico.
Quando, 20 anni fa, quei molti sostenevano che il tempo del death metal fosse finito non trovavano il sottoscritto d’accordo: oggi non mi interessa sbattergli in faccia lavori come quello degli Ectoplasma per dimostrare la fondatezza delle mie previsioni e l’erroneità del loro presagio, mi basta sentire il disco suonare nel mio stereo per ricordarmi che il tempo del death metal per gente come me e come gli Ectoplasma non finirà mai.

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7.  Scaphism – Unatterable horrors – Horror pain gore death Productions

Tra le tante band americane che suonano brutal death è bene tenere d’occhio questi giovanotti di Boston, Massachussets: i nostri non ci parlano di Harvard o dei Celtics, ma preferiscono intrattenerci con racconti di smembramenti e distruzioni provocati da epidemie e mostruosità varie.
“Unatterable horrors” è il loro secondo sforzo e prosegue imperterrito nella stessa direzione intrapresa dal precedente (e altresì ottimo) “Festering human remains”, dopo essersi fatto attendere per ben 6 anni: di sicuro gli Scaphism suonano un brutal death che potrebbe scomodare i primi Cannibal Corspe o i più recenti lavori dei Dying Fetus, ma non siamo davanti ad un prodotto di maniera capace solo di riprodurre i canoni tipici del sottogenere.
Infatti, i nostri si fanno apprezzare per una notevole dinamicità del sound delle chitarre, degno di un disco death tecnico, e soprattutto per la riuscita ricerca di una sorta di crossover (non aspettatevi tuttavia di trovare del jazz o del country qui dentro) che porta i pezzi a sconfinare verso parti tipicamente grind, altre trash, fino a cadenze brutal hard core tanto care ad alcune band death metal della East Coast (Internal Bleeding ad esempio); senza che tutto ciò crei confusione o ci faccia dubitare dell’animo brutal del disco.
Lavoro particolare che a me ha convinto, anche per la produzione eccellente e la tecnica esecutiva di rilievo: non resta che lasciarsi prendere a martellate dal rullante e rendere merito ad un disco brutal davvero ben riuscito.

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8.  Apophys – Devoratis – Ultimate massacre Productions

Band olandese prodotta da una piccola label ceka di genere, i nostri arrivano dopo tre anni dal non memorabilissimo “Prime incursion” al loro secondo sforzo: l’evoluzione è più che positiva.
Gli Apophys suonano un ottimo tech-death con testi di ispirazione sci-fi sempre piacevoli, dimostrando di aver rimosso la ruggine che aveva caratterizzato il loro esordio e proponendo aggressività ragionata dall’inizio alla fine del disco.
I principali ispiratori della band sono mostri sacri americani, tipo Nile e Immolation, e il sound che ne deriva riesce ad essere intricato ma seguibile allo stesso tempo; non sono un grande amante dell’eccessivo tecnicismo, ma quando, come nel caso degli Apophys, l’abilità esecutiva e la frenesia nei cambi di tempo è in grado di non prevalere sulla composizione, sono dell’idea che il sottogenere possa regalare delle perle.
Tutto l’album ha ritmo e potenza, segnalo soltanto l’introduttiva “Children of the stars” e la possente “Deadlock”, unico passaggio a vuoto l’inutile strumentale “Respite”.
Vista la provenienza dei nostri, mi piacerebbe sentirli dal vivo in uno dei numerosi festival di genere che si tengono da quelle parti; per adesso mi accontento di godermi beatamente questo eccellente “Devoratis” nel salotto di casa mia.

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9.  Neter – Inferus – Satanath

Gli andalusi Neter arrivano al loro terzo disco e sfornano un prodotto soddisfacente, come i precedenti, aggiungendo una maggiore convinzione nell’esecuzione tecnica. Siamo davanti ad un album di death tecnico che deve un forte tributo agli Immolation, ai Morbid Angel (per quella vena brutal-black che si assapora nel disco), ma soprattutto ai Nile, sia per la musica che per le tematiche egizie del songwriting.
Le poderose “Pillars of Heracles” e “Atlantis of the sand”, oltre alla devastante “Faceless”, rappresentano i punti più elevati del lavoro e le songs in cui la band mette in chiaro cosa sa fare e cosa vuole farci sentire: velocità assassine, cambi di tempo ben orchestrati, voce dura e cavernosa, tutti elementi che regalano al disco una buona intensità e una scorrevolezza notevole che spesso nel genere non è facile riscontrare.
Non siamo davanti ad un capolavoro, ma è un disco in cui i difetti sono molto pochi e si limitano ad una complessiva eccessiva dedizione nei confronti dei maestri sopra citati.
Insomma, i Neter, con “Inferus”, hanno aggiunto un tassello che merita la nostra attenzione nel loro percorso di crescita brutale, facendo intravedere la speranza, per il fututo, di un disco che possa eguagliare, o avvicinarsi davvero, ai lavori delle band storiche che, per i quattro andalusi, sono il punto di riferimento.

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10.  Revolting – Monolith of madness – F.D.A. Rekordz

I Revolting arrivano al loro settimo album in dieci anni e continuano a proporre indefessi il loro horror death metal di stampo svedese. Si tratta di una delle innumerevoli band capeggiate da Rogga Johansson, il quale trascorre probabilmente la gran parte della sua esistenza registrando album death metal sotto diversi loghi, seppur con risultati tutti terribilmente simili tra loro.
La scelta di sfornare dischi senza proporli dal vivo non mi ha mai convinto: per carità, apprezzo molti dei lavori a firma Johansson (in particolar modo quanto uscito sotto i marchi Echelon, Paganizer, Putrevore, Ribspreader e Those who bring the torture, oltre ai Revolting stessi), ma, a mio sommesso avviso, sarebbe meglio uscire una (o due) volte di meno e regalare ai fans qualche presenza sul palco.
Tuttavia, il nuovo Revolting si fa ascoltare: nessuno spazio alla novità, canzoni imperniate sui tipici riff melodici swedish sparati a notevole velocità; ottima esecuzione e produzione eccellente specialmente nel sound grattante delle chitarre, oltre ad una menzione per il bellissimo logo ed il layout in generale.
Da un punto di vista stilistico, ho trovato il disco più vicino ai primi lavori dei Revolting, meno brutale e convincente degli ultimi due sforzi “Visages of unspeakable” e “Hymns of ghastly horrors”, maggiormente incentrato sulla ricerca del riff melodico. Nel complesso il prodotto è gradevole, molto vicino ai dischi dei Paganizer e dei Ribspreader, che rappresentano il vero punto di riferimento della musica suonata da Johansson; la debolezza sta nella poca inventiva, la linea sonora dei pezzi è simile in tutto l’album e si fa fatica a ricordare una canzone o un passaggio che eccellano.
Lavoro buono per i collezionisti e per coloro che vogliono trovare ulteriori certezze in questo mondo in cui viviamo, nel quale i punti di riferimento scarseggiano sempre più.

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Redazione

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