I 20 migliori dischi CLASSIC ROCK del 2018

Sono ormai parecchi anni che il rock è più un fenomeno per “anziani” che per i giovani, maggiormente attenti a trend digitali e a linguaggi più adatti alla loro età. Il rock ormai non è più per i fratelli maggiori e per gli zii e neanche per i papà: è una faccenda da nonni. Scherzi a parte, per fortuna non c’è un’età per amare chitarra, basso e batteria!

Questa lista vuole celebrare i grandi “vecchi” del rock (e dintorni) che anche quest’anno hanno allietato gli stereo di molte case. Grandi vecchi che non si sono risparmiati: lo spirito e l’attitudine è ancora forte nel loro carattere. Molti si sono lanciati in reinterpretazioni e cover un po’ come fece ormai 30 anni fa Johnny Cash con la serie American. Altri si sono circondati da illustri collaboratori. Tutti hanno semplicemente aperto il proprio cuore. Lunga vita al Rock And Roll!!!

1 . Paul Simon ‎– In The Blue Light (Sony Legacy)

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A 77 anni Paul Simon ha deciso di abbandonare l’attività live e contemporaneamente licenzia questo “In The Blue Light”, in cui il cantautore ripesca tra i brani del suo passato che, secondo la sua opinione, non hanno goduto dei giusti onori. Li risuona con una band stellare composta tra gli altri da Bill Frisell alla chitarra, Jack DeJohnette alla batteria, Wynton Marsalis alla tromba, John Patitucci al basso; li riarrangia e spesso ne modifica il testo. E’ quindi un vero e proprio nuovo album, visto dal suo pubblico come uno splendido commiato. Ma dall’idea iniziale (quello di rimettere mano al proprio repertorio “minore”) finendo alla realizzazione non possiamo che rimanere a bocca aperta ascoltando quest’ultimo lavoro di Paul Simon, un autore che ci mancherà tanto.

2 . John Prine – The Tree Of Forgiveness (Oh Boy Records)

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Il 72enne John Prine è una delle figure meno citate della stagione country folk: eppure è in attività fin dagli anni 60 con una discografia decisamente corposa. Sopravvissuto agli anni degli eccessi in compagnia di Johnny Cash dagli anni 90 ebbe parecchi problemi di salute che logoreranno fisico e corde vocali. Nel 2013 è stato operato ai polmoni ma ciò non gli impedirà di continuare ad esprimersi in musica. “The Tree Of Forgiveness” è un toccante disco di uno dei migliori “story tellers” che la musica abbia mai avuto. L’album si chiude con “When I Get To Heaven” in cui simpaticamente John racconta che quando andrà in Paradiso stringerà la mano a Dio, prenderà una chitarra e formerà una band rock and roll. Si farà un paio di cocktail, fumerà una sigaretta e bacerà una ragazza. Difficile non emozionarsi ascoltando un disco di questo tipo.

3 . Ry Cooder – The Prodigal Son (Caroline)

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Ry Cooder, 71 anni, si chiude in studio con suo figlio e registra “The Prodigal Son”, album in cui segna un ipotetico ritorno a casa dopo le sperimentazioni e le ricerche “world” del passato. “The Prodigal Son” è un viaggio attraverso il folk americano, il blues, il bluegrass, il gospel, il country. C’è sapore di America, suonato con la consueta perizia tecnica e la consapevolezza di un saggio.

4 . Ray Davies – Our Country: Americana Act II (Sony Legacy)

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Secondo capitolo per la serie “Americana” di Ray Davies (74 anni), leader dei Kinks, anche questo registrato in compagnia dei Jayhawks. Può sembrare curioso come uno dei simboli della musica pop rock Inglese assieme ai Beatles si sia lanciato in questo progetto, ma non dobbiamo dimenticare come la “british invasion” nacque proprio grazie alla musica americana importata in singoli a 45 giri. Ray si lancia in un lungo viaggio (più di un’ora) in cui tramite esperienze personali racconta il mito degli USA attraverso il suo consueto songwriting di alta classe. Un disco che è educativo quanto un libro, ma in più è bello da ascoltare; cosa volere di più?

5 . David Byrne – American Utopia (Nonesuch)

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David Byrne ha fondato la sua vita sull’essere sempre un passo avanti: inutile ricordare la sua incredibile carriera con i Talking Heads, le collaborazioni con Brian Eno (che quest’anno ha pubblicato il monumentale “Music For Installations” e un EP con Kevin Shield dei My Bloody Valentine), la stravagante label Luaka Bop, il fondamentale libro “Come Funziona La Musica”. A 66 anni, 13 anni dopo il suo ultimo lavoro (ma nel 2012 pubblicò un disco con St Vincent), torna a collaborare con l’ex Roxy Music (che scrive quasi tutto il repertorio) in compagnia di Rodaidh McDonald (King Krule, Vampire Weekend, Adele e mille altri) e Oneohtrix Point Never. L’album è una critica al sistema americano sotto forma di musica definibile come “art pop”, non facile ma che non tradisce il percorso da sfuggente innovatore di David.

6 . Paul McCartney – Egypt Station (Capitol)

Il sempre giovanile Paul McCartney a 76 anni continua a riempire il mondo con le sue melodie che si appiccicano e non se ne vanno più. “Egypt Station” è il suo diciottesimo disco e le 16 nuove canzoni qui contenute mostrano la semplicità di Paul nel saper sempre trovare nuove idee, anche con arrangiamenti più moderni che potrebbero essere graditi anche dai più giovani, nel caso avessero voglia di ascoltarlo. Ebbene, sorprendentemente o meno, questo è l’ennesimo ottimo disco di Paul.

7 . Willie Nelson – Last Man Standing

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Willie Nelson è uno di quelli a cui non puoi dire cosa fare. Ad 85 anni sicuramente si sarà sentito dire di smetterla col fare dischi (che ne ha fatti quasi quanto la sua età) e così se ne è uscito con due lavori in un anno. Uno si intitola “My Way” ed è una raccolta di cover di Frank Sinatra (in cui troviamo anche Norah Jones) e poi c’è “Last Man Standing”, dove i brani sono tutti suoi. Willie non è un cantante ma un’icona, un monumento vivente: può cantare quello che vuole e avrà sempre il suo inconfondibile stile “country / folk”.

8 . David Crosby – Here if You Listen (BMG)

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Fino all’ultimo minuto la vita è in grado di regalarti sorprese e svolte epocali: David Crosby in tutta la sua carriera solista è stato molto pigro (3 dischi in 21 anni), poi ha incrociato i ragazzi della Lighthouse Band ed è iniziato il diluvio di album (questo è il quarto in cinque anni). E ovviamente anche l’ispirazione ne ha giovato. “Here If You Listen” è un disco basato su armonie vocali costruite con Becca Stevens, Michelle Willis e Michael League, che infatti guadagnano anche il nome in copertina. Nel disco sono presenti un paio di riproposizioni datate (tra cui “Woodstock”) ma il resto del repertorio è nato velocemente in studio, segno della splendida alchimia che il 77enne baffuto ha trovato con i suoi compari.

9. Van Morrison – You’re Driving Me Crazy (Sony Legacy)

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Registrato con il virtuoso dell’hammond Joey DeFrancesco e la sua band “You’re Driving Me Crazy” è il trentanovesimo album di Van Morrison (73 anni) e il terzo in un anno. Van Morrison si lancia in standard jazz e blues e rilegge alcuni brani del suo repertorio (“Have I Told You Lately,” “The Way Young Lovers Do,” “Magic Time”). Inutile dire che la band è in splendida forma e accompagna egregiamente la voce di Van formando un disco che ha il sapore dei vecchi tempi, come fosse fermo in una bolla temporale.

10 . Paul Weller—True Meanings (Parlophone)

A 60 anni il padrino del Mod Paul Weller scopre le folk ballad e si pone in una condizione sonora a metà strada tra Neil Young e Cat Stevens. Arpeggi di chitarra delicati, voce educata con qualche timido accenno di archi, pianoforte, sitar (siamo pur sempre in un disco inglese) e la comparsata di Noel Gallagher. Un sorprendente disco campestre, chissà se segnerà una svolta per Weller o una semplice parentesi interlocutoria.

11 . Neil Young – Paradox (Reprise)

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Neil Young non riesce a stare con le mani in mano: alle prese con il dare un vago ordine al suo sterminato archivio, non si accontenta di riportare alla luce vecchie gemme dimenticate ma continua a comporre materiale inedito. In questo caso l’occasione è data dal film “Paradox” curato dalla moglie Daryl Hanna in cui partecipano sia Neil che la band attuale, ovvero i Promise Of The Real. L’album è un collage di registrazioni che in poco più di 50 minuti esprimono le varie sfacettature del sound del 73enne (quindi sia elettrico, che acustico). Non un capolavoro come la ormai datata colonna sonora di Dead Man, ma una fiera dimostrazione di indipendenza e di orgogliosa testa dura.

12 . Bruce Springsteen – On Broadway (Columbia)

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Lo diciamo subito: il più grande difetto di “On Broadway” è quella di non essere uscito in formato CD+DVD o LP+DVD. La parte visiva, infatti, è appannaggio esclusivo degli abbonati Netflix. Su disco si perde tanto, soprattutto gli ascoltatori meno anglofoni, ma “On Broadway” rimane una delle cose più belle mai fatte dal Bruce Springsteen (oggi 69enne). Tra il 2016 e il 2017 il Boss ha tenuto 236 “concerti” a Broadway al Walter Kerr Theatre, per cinque sere la settimana, raccontando stralci della sua vita presi dalla sua autobiografia “Born To Run” e intervallando con versioni solo voce e chitarra (o piano) dei suoi più grandi classici profondamente riarrangiati. Una prestazione stellare di un grandissimo intrattenitore. Ma non lo scopriamo certo ora.

13 . Marianne Faithfull – Negative Capability (BMG)

Ne abbiamo già parlato nella lista dei migliori dischi “femminili” del 2018, il nuovo album di Marianne Faithfull, scritto in collaborazione con Ed Harcourt, è un doloroso viaggio negli acciacchi e nella malinconia della vecchiaia. Aiutata da ospiti illustri come Nick Cave e Mark Lanegan, Marianne con “Negative Capability” realizza un album elegante e ricco, indispensabile per farsi cullare nei momenti più difficili della vita.

14 . Elvis Costello and the Imposters – Look Now (Concord)

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A 20 anni dalla famosissima collaborazione con Burt Bacharach Elvis Costello coinvolge nuovamente il maestro in tre brani del nuovo disco “Look Now”, realizzato con i The Imposters. Pur avendo superato un brutto periodo (a causa di un tumore per fortuna curato) Elvis non tradisce il suo pubblico e realizza un gentile album pop della miglior specie, senza lasciarsi ad andare a riferimenti “tristi” e realizzando una dozzina di ottime gemme, orecchiabili e canticchiabili.

15 . Graham Parker – Cloud Symbols (100% Records)

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Il 68enne Graham Parker è della scuola “pop rock semplice ed efficace” tanto cara anche ad Elvis Costello, ecco perchè consigliamo entrambi gli album degli artisti. Graham ha iniziato a registrare questo album dopo che lo showman Judd Apatow (rintracciabile su Netflix e HBO) gli commissionò un paio di brani. Nel mentre c’è stata la morte del produttore Neil Brockbank (a cui il disco è stato dedicato). Fra alti e bassi Graham ha quindi completato “Cloud Symbols” che risulta un frizzante e semplice album “pop” di appena 30 minuti che non scontenterà i (pochi) fan di Graham e di coloro che vorranno dargli una possibilità.

16 . Ann Wilson – Immortal (BMG)

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Le Heart non hanno avuto un grande impatto dalle nostre parti ma furono, dopo Jimi Hendrix e prima del grunge, il gruppo di Seattle più noto. Ann Wilson ne è la cantante e con questo disco in solitaria tributa alcune leggende del rock ormai scomparse: George Michael, Leonard Cohen, Amy Winehouse, Chris Cornell, David Bowie, Tom Petty, Cream (in tributo a Jack Bruce), Eagles (per Glenn Frey). Le scelte non sono per niente banali e il disco scorre fluido grazie all’ottimo lavoro in produzione. Una bella antologia di classici “moderni” rivisti da una grande voce del rock e suonati con la giusta grinta.

17 . Parliament – Medicaid Fraud Dogg (P-Vine Records)

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Avete letto bene: sono tornati i Parliament del folle George Clinton dopo 38 anni dall’ultimo disco, “Trombipulation”. In realtà è anche il disco che segna l’addio di George Clinton dalle scene, ma il 77enne Re del Funk ha deciso che prima di congedarsi ci avrebbe donato questo capitolo finale. L’album è doppio, dura quasi due ore e contiene 23 nuovi brani. Un po’ funk, un po’ R&B, un po’ hip hop, i Parliament suonano moderni e freschi e come da tradizione si scagliano contro le incongruenze degli Stati Uniti (in questo caso il sistema sanitario). Grazie George per la carriera!

18 . Roger Daltrey – As Long As I Have You (Polydor)

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Tranquillizziamo subito i più critici: il nuovo album di Roger Daltrey è composto quasi tutto di cover (a parte due brani). Il 74enne cantante degli Who non è mai stato un songwriter d’eccezione (e come potrebbe con vicino quel genio di Pete Townshend) e nel suo inaspettato nuovo disco da solista (non ne ha fatti molti in carriera) ci delizia con la sua sempre grintosa e caratteristica voce. Fra brani rockeggianti, soul e gospel spunta la cover di “Into My Arms” del tenebroso Nick Cave. Tra i collaboratori
l’amico Pete Townshend, Mike Talbot (Style Council) e Sean Genockey (Suede).

19 . Rosanne Cash – She Remembers Everything (Blue Note)

La prima figlia di Johnny Cash, Rosanne, realizza con un manipolo di amici, tra cui Elvis Costello, Kris Kristofferson e Colin Meloy dei Decemberists, uno splendido disco di country-pop con tematiche adulte, in particolare sul mantenere una relazione con l’avanzare dell’età, la mortalità, il conforto. La morte del papà ha cambiato in meglio la produzione di Rosanne, e seppur “She Remember Everything” sia un disco di mestiere mostra amore e devozione verso il sound di famiglia.


20 . John Mellencamp – Other’s People Stuff (Republic)

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John Mellencamp (67 anni) è sempre stato visto come la terza scelta dopo Bruce Springsteen e Tom Petty, raccogliendo molto meno di quanto merita anche per via di un carattere non proprio facile, ma chi sa amarlo ha goduto di dischi sempre di altissima qualità. “Other’s People Stuff” è una raccolta di brani altrui sparsi in dischi e compilation, costruito palesemente per prendere tempo in attesa del nuovo disco previsto per il 2019. Al di là dei retroscena commerciali è un gran bel sentire: canzoni che dal blues passano a Steve Wonder ci allietano per una mezzoretta scarsa di classico rock americano. Quest’anno è uscito inoltre “Plain Spoken from the Chicago Theatre”, primo live della carriera di John, pubblicato anche come documentario. Ovviamente imperdibile.

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