I 15 migliori dischi BLACK METAL del 2021

A cura di Francesco Traverso

Anche questo pandemico 2021 è volato via lasciandoci decine di dischi del nostro genere preferito da ascoltare. Il black metal continua ad essere musica dalle mille sfaccettature: c’e’ quello più bombastico delle “major” (bravi comunque i Cradle Of Filth che hanno sfornato un solidissimo album), c’e’ quello delle vecchie glorie dure a morire come Darktrhone e Mayhem che hanno pubblicato rispettivamente un full lenght (“Eternal Hails” bello, ma due passi indietro rispetto all’ultimo paio – qui trovi la recensione) ed un Ep che non ha aggiunto nulla di nuovo alla discografia del gruppo di “De Mysteriis Dom Sathanas“. Per il versante più colto e intellettuale del metallo nero, i White Ward ci hanno incuriosito con un bellissimo Ep di due tracce che speriamo faccia da antipasto ad un nuovo album nel 2022 (recensione qui). E poi, ovviamente c’e’ tutto un calderone di band che popolano l’underground in cui troviamo veramente di tutto: dal black metal registrato dentro ad un tombino con un quattro tracce nella prosecuzione di un culto ormai un po’ obsoleto, alla contaminazione praticamente con ogni genere vi venga in mente. Ed ecco qua una manciata di dischi che vi consiglio di ascoltare.

1 – Escumergamënt – …ni degu fazentz escumergamënt e mesorga…. (Avantgarde)

Ai limiti dell’impronunciabile sia il nome della band sia quello del primo album, ma poco importa quando sentirete il contenuto. Gli svedesi che annoverano membri di Setherial e Stilla nella propria line up, ci regalano quarantacinque minuti di black metal sulfureo, gotico, allo stesso tempo grezzo, ma non scontato, dove è l’atmosfera lugubre creata dalle tastiere a farla da padrone. La band si districa alla grande sia in riff al limite del prog come accade nel brano di apertura “Of Old Night And Winter“, sia in riffoni da headbanging senza tante menate come accade in “To Envy The Corpses“. E’ musica funebre, pregna di malvagità e oscurità grazie anche alla scelta di una produzione lo-fi che fa veramente tanto anni 90. Si potrebbe dire che è il disco black metal che suonerebbero gli Abysmal Grief se decidessero di pigiare sull’acceleratore o i Tribulation se decidessero di essere meno romantici. Spettacolare sorpresa.

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2 – Spectral Wound – A Diabolic Thirst (Profound Lore)

I canadesi Spectral Wound hanno sfoderato quest’anno un bastonata nei denti che rimarrà nei nostri stereo a lungo. Preparatevi ad un assalto senza pietà, una scorribanda feroce e dritta al punto. Black metal duro e puro che i nostri sfornano in questo terzo album dopo aver studiato a fondo la lezione di mostri sacri del genere come Horna e, soprattutto, Urgehal per la capacità di unire furia e melodia come solo i più bravi sanno fare. Le chitarre sciorinano riff affilati come lame e la voce graffia come avesse un pezzo di vetro in gola. Le sezione ritmica svaria tra blast furiosi e cavalcate esaltanti garantendo un’ottima dinamica dei pezzi. Non c’e’ introspezione o voglia di sperimentare, questi ragazzotti voglio solo prenderci a pugni in faccia e ci riescono benissimo. Fatevi  travolgere da questa valanga canadese, da questi quaranta minuti di superbo black metal in bianco e nero.

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3 – Kanonenfieber – Menschenmühle (Noisebringer Records)

Praticamente dal nulla è spuntato l’esordio del progetto solista del misterioso Noise, musicista tedesco che con i Kanonenfieber marca uno dei migliori lavori dell’anno. Il concept del disco è interamente incentrato sulla prima guerra mondiale e la commemorazione dei soldati caduti combattendola, mentre musicalmente il black metal proposto è sapientemente contaminato da qualche riffone death/doom che aiuta ad ottennere un’atmosfera guerreggiante (vedi il brano “Dicke Bertha“). Il meglio però sono i momenti più introspettivi dove arpeggi asciutti e malinconici accompagnati da solenni comunicati militari introducono, di volta in volta, una manciata di riff memorabili (il migliore è forse quello dell’opener “Die Feuertaufe“) che grazie ad una produzione cristallina ed arrangiamenti immediati entrano subito nella testa dell’ascoltatore. Nota di merito per la copertina fumettosa che riprende la propaganda contro la guerra dell’epoca. La sperimentazione nel disco è poca, il gusto nella scelta delle note è invece molto e tanto basta per avere tra le mani un esordio con i fiocchi.

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4 – Der Weg Einer Freiheit – Nokturn (Season Of Mist)

Una copertina tanto semplice quanto strepitosa presenta il quinto disco dei tedeschi di Baviera. Sono arrivato tardi ai DWEF e può darsi che il loro meglio lo abbiamo dato, ma ascoltando “Noktvrn” non si può che rimanere appagati dal lavoro fatto. Post black metal al suo meglio: cupo, raccolto, lancinante quando parte a tutta velocità per parti in blast portate avanti a lungo con una carica inaudita. I suoni sono talmente belli e nitidi che sembra di essere lì a sentirli suonare. Basterebbe un brano come “Monumentum” per fare la carriera di molte band, con un intro che mi ha ricordato i Solstafir e un riff spettacolare che prima entra piano, dolce e poi sfocia in tutta la sua carica aggressiva. I tedeschi sono su un altro pianeta per capacità tecniche, accuratezza negli arrangiamenti, gusto melodico e scelta dei suoni e hanno anche l’intelligenza di mettere tutto al servizio dei sette brani che compongono “Noktvrn“. Una band che ha trovato la propria dimensione ben definita. 

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5 – Wolves In The Throne Room – Primordial Arcana (Century Media-Relapse Records)

I lupi del nord ovest degli Stati Uniti sono riusciti nell’impresa che ogni band vorrebbe essere in grado di sostenere: creare un proprio sound riconoscibile, un proprio linguaggio. Il concept filosofico e musicale che sono riusciti a creare è ormai una pietra angolare per tutto il black metal mondiale e anche l’esordio su due etichette big (ma solo per la distribuzione) come Century Media e Relapse Records non delude. Anzi. Se qualcuno pensava l’ispirazione fosse finita o il prodotto trito e ritrito si sbagliava. La colonna sonora migliore per contemplare e fondersi con la violenza della natura rimane la loro. Colpisce di “Primordial Arcana” un andamento più lento, epico e doloroso. Il suono è un po’ meno a cascata e oserei dire quasi minimale anche se l’aggettivo accostato all’accuratezza sonora degli americani pare azzardato. Eppure, ai primi ascolti, mi sono venuti in mente i primi dischi di Burzum quelli che in poche note scatenavano un turbinio di sensazioni e per questo vi rimando a “Spirit Of Lightning” che sembra uscita da “Filosofem“. Da lacrime il mid tempo “Primal Chasm (Gift Of Fire)” con un riff fiero e coinvolgente. Il disco, nato  nello studio del gruppo in mezzo ai boschi, mostra una band ormai matura e pienamente consapevole delle proprie potenzialità e del risultato da ottenere. Riesce a catturare a meraviglia l’energia primordiale cui fa riferimento il titolo ed è emozionante proprio nei suoi momenti più raccolti e lenti. Dobbiamo solo augurarci di avere ogni tre quattro anni un nuovo lavoro dei WITTR da ascoltare.

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6 – A’ Répit – I Canti Della Veglia (Naturmacht Productions)

Anche quest’anno il piccolo capolavoro proveniente dalle nostre montagne è servito.
E’ facile parlare del secondo disco degli A’ répit, progetto a metà strada tra il Piemonte e la Valle D’Aosta. E’ facile perchè il duo ha pubblicato un lavoro emotivamente coinvolgente e grezzo nel senso positivo del termine. Il coro alpino “Signore delle Cime” (da brividi) introduce un black metal dal sapore ottantiano come i maestri Darkthrone insegnano; sono proprio loro, soprattutto con gli ultimi splendidi album, a venire in mente appena parte “Bezoar“: riff semplici, ma di grande atmosfera e feeling, mai eccessivamente tirati e furiosi, ma baldanzosi e maligni. I suoni sono grezzi, ma naturali, si sente che è un disco suonato e senza inutili orpelli, pur non disdegnando qualche momento più dark ambient (tipo l’intermezzo “Amnios“). Un disco perfetto da assaporare in inverno, tra i monti.

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7 – Ungfell – Es Grauet (Eisenwald)

Non delude il ritorno sulle scene degli svizzeri dopo l’ottimo “Mythen, Mären, Pestilenz” del 2018; gli Ungfell suonano folk black metal sulla scia di band come Aorlhac e Suhnopfer, il folklore che intendono richiamare è quello medievale, quello del buio della ragione, quello di una vita bucolica, durissima e spietata. Così tra il canto di un gallo e lo scalpiccio di un cavallo partono riff a cannone melodici e coinvolgenti con la classica (per questi dischi) batteria aperta sui piatti e piena di rullate sui tom, per un effetto, magari non sempre pulitissimo, ma sicuramente arrembante. Tra un brano e l’altro non mancano i classici intermezzi acustici che aumentano la sensazione di trovarci lì, nel bel mezzo di un villaggio, sulle montagne svizzere a metà del quattordicesimo secolo. “Es Grauet” è un disco suonato con attitudine, sporco, senza fronzoli e avanti tutta: obiettivo centrato. 

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8 – Panopticon – …And Again Into The Light (Bindrune Recordings)

Sono sempre stato un po’ dubbioso circa le one man band, soprattutto se molto profiliche e tendenti al prolisso; per questo mi sono avvicinato con circospezione ai Panopticon, creatura del polistrumentista americano Austin Lunn, ai tempi in cui uscì il doppio album “The Scars Of Man On The Once Nameless Wilderness I And II“; dopo qualche tempo mi capitò di vedere un video girato al tramonto al Fire In The Mountains (festival ai mezzo alle montagne del Wyoming; se non lo conoscete andate a cercare qualche video e rimarrete stupefatti), in cui i brani venivano suonati in versione full band e questo mi ha aiutato a percepire meglio  l’anima di quelle canzoni. Da allora rivedo quel video spesso e attendo le nuove uscite dei Panopticon con aspettative ben diverse. “…And Again Into The Light” si apre con la title track acustica, che si smarca dalle “solite” parti pulite da disco black metal, e sembra invece una triste ballata uscita dalla penna di Jerry Cantrell (idem dicasi per “As Golden Laughter Echoes (Reva’s Song)“) che sembra un intermezzo uscito da “Jar Of Flies“), poi il disco rientra nei canoni del black metal atmosferico e Lunn si prende tutto il tempo necessario per sfogare i suoi riff e le sue melodie, passando per intro minmali e sospese, attraverso momenti doom, sino alle sfuriate epiche che sono un po’ il marchio di fabbrica. La ricchezza degli arrangiamenti è sopra la media grazie a qualche inserimento di elettronica piazzato qua e là, in maniera poco invasiva, ma con un senso ben preciso, e ad una grande varietà di strumenti presenti  (violino, violoncello, banjo, mandolino, ma non solo); non mancano lunghi assoli e una batteria che pur non eccellendo nella tecnica non si accontenta del compitino. Per andare a cogliere tutte le idee presenti nel disco servono parecchi ascolti, ma non pensate ad un disco che si perde in questa ricchezza di suoni, ascoltate un brano come “Moth Eaten Soul” e  vi arriverà una bella mazzata dritta e precisa sulle gengive. 

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9 – Vessel Of Iniquity – The Doorway (Sentient Ruin Laboratories)

L’iperproduttivo S.P. White è arrivato già al quarto disco in tre anni dei Vessel Of Iniquity ed entra nella classifica delle migliori uscite dell’anno grazie ad un black metal che puzza di morte lontano un miglio. Di morte sì, e quindi ovviamente anche di death metal. La voce è un lugubre lamento che sembra provenire da tre metri sotto terra e rimane spesso sepolta dal muro sonoro. Non so dove conduca il portale cui fa riferimento il titolo del disco, ma sicuramente è un luogo buio e soffocante, proprio come la musica dei Vessel Of Iniquity in cui sentirete echi di Profanatica e Portal. Degli americani troverete quel timbro di chitarra marcio e ipersaturo, la violenza becera, ma appagante, mentre degli australiani una globale sensazione di follia nella composizione dei pezzi e nell’attitudine che vi terrà compagnia durante tutto l’ascolto.  Premio pazzia dell’anno.

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10 – Bríi – Sem Propósito (Autoproduzione)

C’è veramente di tutto nel disco del progetto brasiliano Bríi: l’elettronica cinematografica di Carpenter, il connubio synthwave-metal dei Carpenter Brut, ci sono assoli bluesaggianti da jam in mezzo al deserto, c’è la psichedelia rock, c’e’ la techno minimale da rave, c’e’ la ritmica tribale sudamericana, e chiaramente c’è anche del (post) black metal che si manifesta in riff dai suoni liquidi in stile Liturgy, in un tappeto di blast quasi costante nelle parti più tirate e nella classica voce straziata. Insomma, un minestrone che disgusterà molti, ma se vogliamo guardare al presente anche questo è black metal nel 2021, per fortuna. “Sem Proposito” si sviluppa in due tracce salomonicamente intitolate “A” e “B” della medesima durata, entrambe caratterizzate da un crescendo sonoro che esplode in un caleidoscopio di rumori, suoni, urla e blast beat; siamo davanti ad un viaggio lisergico che va ben oltre i confini a cui siamo normalmente abituati e per questo è interessante.

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11 – Helleruin – War Upon Man (New Era Productions)

War Upon Man” è un disco che dalla copertina e dal titolo sai già dove andrà a parare e per chi è cresciuto  a pane e Darkthrone, Taake, Gorgoroth e compagnia bella questo non è certo un difetto. Soprattutto perchè pronti via e l’olandese Carchost (unica mente dietro al nome Helleruin) ci spara una raffica di pezzi coinvolgenti, da scapocciamento incontrollato, senza trascurare l’aspetto melodico (ed ecco lì che spuntano i MGLA). Ecco, in alcuni momenti sembra di ascoltare un disco lo-fi dei polacchi, segno che nel 2021 anche il black metal più raw ha cambiato faccia rispetto ai suoi inizi. Tupa tupa sfrenati che sfociano i blast furiosi e riff assatanati sono quello che ogni blackster vorrebbe ascoltare e qui ne troverete a pacchi. 

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12 – Fyrnask – VII: Kenoma (Van Records)

I tedeschi hanno pubblicato uno dei migliori di dischi dell’anno in ambito black metal atmosferico. I classici chiaroscuri, i saliscendi tra parti emozionali raccolte e sfuriate glaciali sono alla base della ricetta del disco. Nelle parti più brutali fa capolino il black metal dissonante islandese (Svartidaudi), nelle parti più tranquille siamo un po’ a metà tra la tendenza alla psichedelia degli Ultha e la raffinatezza dei Der Weg Einer Freiheit. Il disco è prodotto superbamente con suoni cristallini e massicci allo stesso tempo e spicca nella media per l’ottimo lavoro dietro alle pelli del batterista Alghol. 

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13 – Voidsphere – To Overtake|To Overcome (Amor Fati Productions)

Continua il viaggio del black metal attraverso lo spazio e quest’anno un malatissimo disco cosmico ce lo hanno regalato i Voidsphere di cui nulla si sa se non che sono al quinto disco in altrettanti anni. Se i Brii vi sono sembrati troppo poco cattivi, ma non disdegante la fusione tra metal estremo e psichedelia, potrebbe essere questo il disco per voi. Spedite nello spazio Oranssi Pazuzu e Darkspace, fateli jammare e potrebbe uscire fuori qualcosa di simile a questo disco. Allucinazioni sonore vi accompagneranno durante l’ascolto di questi due lunghi brani tra droni ossessivi, feedback, rumori vari (probabilmente alcuni saranno solo nella vostra testa), urla filtrate di pura disperazione e chitarre iperdistorte. 

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14 – Los Males Del Mundo – Descent Towards Death (Northern Silence)

L’eco del black metal esistenziale dei MGLA deve essere arrivato fino in Argentina perchè i Los Males Del Mundo sembrano essere stati colpiti dall’amore per le melodie cupe dei polacchi e già l’opener “Falling Into Nothing” ne è testimonianza con i suoi riff mesmerizzanti, gli arpeggi ossessivi, una brillante dinamica della sezione ritmica ed una voce impegnata a declamare versi nichilisti. Grazie alla ricerca di timbri vocali un po’ diversi (dallo screaming in puro stile Dani Filth, ad un growl profondo da death metal) ed ad un paio di assoli piazzati qui e là, gli argentini si smarcano dalle proprie influenze cercando una loro formula personale. Il lavoro è un debutto per il duo composto da Dany Tee (voce e batteria) e Cristian Yans (chitarra) già coinvolti in altri progetti della scena metal argentina. Manca forse il colpo da maestro o il genio dei MGLA, ma per essere un esordio veramente giù il cappello. 

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15 – Inferno – Paradeigma: Phosphenes Of Aphotic Eternity (Debemur Morti)

Debemur Morti è l’etichetta d’eccellenza per il black metal più caotico ed occulto. L’anno scorso ci ha fatto quasi gridare al miracolo con il disco degli Akhlys, quest’anno sfodera la mazzata degli Inferno giunti, dopo tanta gavetta, al loro ottavo album, forse il migliore sul fronte filosofico e metafisico per quest’anno. Come si addice a band del genere (Blut Aus Nord, Nightbringer), i brani sono complessi, i riff incastrati e le ritmiche oppressive; la voce è un lamento distante e c’e’ quel pizzico di psichedelia che aumenta il gusto diabolico di un disco che certamente non è adatto ad un ritrovo di bikers ubriachi, ma suona come l’orrore raccontato da un’anima prigoniera all’inferno. Nota di merito per una delle copertine più belle dell’anno. 

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In sintesi:

  1. Escumergamënt – …ni degu fazentz escumergamënt e mesorga….
  2. Spectral Wound – A Diabolic Thirst
  3. Kanonenfieber – Menschenmühle
  4. Der Weg Einer Freiheit – Nokturn
  5. Wolves In The Throne Room – Primordial Arcana
  6. A’ Répit – I Canti Della Veglia
  7. Ungfell – Es Grauet
  8. Panopticon – …And Again Into The Light
  9. Vessel Of Iniquity – The Doorway
  10. Bríi – Sem Propósito
  11. Helleruin – War Upon Man
  12. Fyrnask – VII: Kenoma
  13. Voidsphere – To Overtake|To Overcome
  14. Los Males Del Mundo – Descent Towards Death
  15. Inferno – Paradeigma: Phosphenes Of Aphotic Eternity

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