I 20 migliori dischi PUNK del 2021

A cura di Diego Curcio

Rieccomi. Dopo 12 mesi, puntuale come la tasse sulla spazzatura, torno a compilare per i ragaz di Tomorrow Hit Today la classifica dei 20 dischi punk, hc, glam, power-pop e garage migliori dell’anno. Naturalmente, a scanso di equivoci, questa lista – in rigoroso ordine di preferenza – è frutto dei miei pessimi gusti musicali e non ha alcuna pretesa di essere un elenco in termini assoluti. Lo dico perché, come giustamente sosteneva qualche giorno fa Gianfranco Manfredi su Facebook in tema di editoria e classifiche (come non sapete chi è Manfredi? Vergognatevi!), è impossibile proclamare il miglior libro (o disco, aggiungo io) dell’anno visto che in Italia ne esce più o meno uno all’ora. “O si è ingenui – diceva il buon Gianfranco – o si è in malafede, oppure si pensa che la propria (e limitatissima) lettura e il proprio personale gradimento debbano fare testo”. Ecco, io spero di non sembrare né in malafede né ingenuo (o almeno non del tutto) e non pretendo assolutamente di sostituire i miei gusti a quelli dei lettori di Tomorrow Hit Today. Questa classifica è semplicemente un gioco: per confrontarsi, fare due chiacchiere, segnalare qualche disco e soprattutto parlare e scrivere di una delle cose più belle che esistano al mondo: la musica. Come al solito, fra questi 20 titoli, mancano molti album che avrebbero meritato almeno una menzione. Ma Maso è stato categorico: 20 dischi e non di più. Aggiungo poi, che in questa lista ho voluto inserire solo i formati più grandi (quindi i 33 giri, per capirci), escludendo deliberatamente ep e 7”. Mancano del tutto anche le ristampe, nonostante quest’anno ce ne siano state di bellissime (e chissà che non mi venga voglia di stilare una classifica apposita). In ordine sparso, ecco alcuni gruppi esclusi che hanno pubblicato un album quest’anno e che vi consiglio caldamente (diciamo che dovrebbero occupare tutti la ventunesima posizione): Gli Ultimi, Mad Rollers, Koma, Rata Negra, White Stains, Face To Face, Dogma.
Ora però passiamo alla classifica vera e propria.

01) THE MUSLIMS – FUCK THESE FUCKIN FASCISTS (EPITAPH)


I Muslims sono stati un colpo di fulmine (e ciel sereno). Uno di quelle band che scopri un po’ all’improvviso e di cui ti innamori istantaneamente. Per me rappresentano semplicemente l’essenza del punk nel 2021. Un gruppo che suona musica rumorosa e sgraziata, essenziale, veloce e brutale, anche se con una vena melodica piuttosto spiccata, condita da testi diretti e dal forte contenuto politico e sociale. I Muslims sono in tre: sono neri, punk, antifascisti, queer, giovani e irriverenti (e hanno un nome perfetto). In copertina hanno piazzato un vecchio Johnny Rotten che viene preso a pugni, a dimostrazione che nulla è intoccabile: tanto meno nel punk e soprattutto quando dichiari di aver votato Trump (come ha fatto l’ex cantante dei Pistols). Un aspetto curioso è che questo disco, dal titolo spettacolare, sia uscito sotto Epitaph. Chissà: forse quel formidabile talent scout di Mr. Brett, dopo la sbornia metalcore e trap degli ultimi anni, ha deciso di recuperare le radici della sua label.

Bandcamp

02) THE CHISEL – RETALIATION (LA VIDA ES UN MUS)

Già esaurito prima di essere fisicamente pubblicato, l’esordio sulla lunga distanza dei Chisel è uno dei dischi più attesi dell’anno. La band londinese, figlia della nuova scena punk della capitale britannica, riesce a dosare alla perfezione ferocia e melodia, in un assalto disperato e spietato alle sinapsi di qualsiasi ascoltatore. Il punk sparato a mille all’ora e venato di hc dei Chisel ricorda, in parte, l’approccio caciarone degli amici Chubby & the Gang (presenti anche in questa classifica e detentori del titolo di disco dell’anno del 2020). Ma sostituisce la goliardia e l’attitudine pub-rock e glam del gruppo di “Speed kills”, con una spiccata sensibilità anarcho punk, virata in salsa oi!-hc. Le radici sonore e “politiche” sono quelli dell’Inghilterra della prima metà degli anni Ottanta e affondano nel terreno duro e roccioso di GBH, Discharge e 4 Skins, ma guardano, in parte, anche ai Crass. Una musica velenosa e sfibrante, cantata e suonata in coro. Come se il dolore diventasse qualcosa di sexy e assolutamente irresistibile.

Bandcamp

03) THE DIRTIEST – SOVRANISTA (SLOVENLY RECORDINGS)

Il primo disco italiano di questa classifica (e quest’anno ce ne saranno parecchi) è un’altra sorpresa assoluta, almeno per il sottoscritto. I toscani Dirtiest incidono per una delle label di punta del garage mondiale (la Slovenly) un album metà in italiano e metà in inglese, che ti accalappia sin dalla prima nota. Pop-punk demente, corrosivo e scorretto, in cui i testi si amalgamano alla perfezione alla musica. Tra Spits e Ramones, ma anche in bilico tra beat italiano e garage sferragliante, “Sovranista” è un disco assolutamente unico nel suo genere, uno sberleffo dolcissimo, ma dal retrogusto amaro. Prendete un pezzo dal titolo iconico e iconoclasta come “Ti piscio sul presepe”: basta un solo ascolto per imparare a memoria il ritornello e mettersi subito a cantarlo. E se, ascoltando il disco per intero, avete la vaga sensazione che il terzetto vi stia prendendo per il culo, non preoccupatevi: ci avete azzeccato.

Bandcamp

04) TURNSTILE – GLOW ON (ROADRUNNER RECORDS)

È inutile girarci troppo intorno: “Glow On” dei Turnstile è un gran bel disco. Magari non è l’album punk-hc dell’anno, ma almeno il quarto posto di questa classifica se lo merita eccome. Certo, il suono è leccato e straprodotto e il classico hardcore degli lp precedenti viene “sporcato” da gingilli pop ed elettronici assolutamente spiazzanti. Ma è davvero difficile non farsi “incastrare” da questo disco, che riesce a mettere d’accordo punk, fan dell’hc melodico e amanti di quel suono estremo e granitico che sta in mezzo alla nuova e alla vecchia scuola. I Turnstile macinano un riff dopo l’altro e suonano spediti come uno di quei treni giapponesi che non accumulano neppure mezzo minuto di ritardo. La potenza è sempre quella degli inizi: solo che, questa volta, hanno voluto valorizzare la loro vena melodica, creando un crossover dal sapore pop e a tratti new age che, inspiegabilmente, è venuto fuori una vera bomba. “Glow On” è un inno alla gioia in versione hardcore.

05) DESCENDENTS – 9TH & WALNUT (EPITAPH)

“9th & Walnut” è il miglior album dei Descendents dai tempi di “Everything sucks”. Dopo lo scialbo “Hypercaffium Spazzinate” del 2016, finalmente Milo e co. tornano con una manciata di canzoni veloci, melodiche, scarne ed elettrizzanti. D’altra parte il materiale in questione è stato composto circa 40 anni fa, per poi venire registrato – a parte la voce – nei primi anni 2000, quando era ancora vivo il compianto Frank Navetta, scomparso nel 2008. La formazione è quella di “Milo Goes To College” (anno di grazia 1982) e l’urgenza è quella dei tempi pionieristici del primo hc californiano. Il risultato, com’era facile aspettarsi, è poco meno che eccellente. Anche la voce di Milo, aggiunta di recente, sembra aver riacquistato quella vena sgraziata dei bei vecchi tempi. La chitarra di Frank è un altro marchio di fabbrica che ci è mancato parecchio in questi anni: lo percepisci soprattutto nelle intro dei pezzi. Ma non voglio certo mettermi qui ad analizzare i lati “tecnici” del disco (anche perché, per fortuna, non ce ne sono).

Bandcamp

06) SHAME – DRUNK TANK PINK (DEAD OCEANS)

So bene che su Tomorrow Hit Today esiste già un apposita classifica dedicata al post-punk in cui Maso ha già inserito questo album, mai io confido nella sua benevolenza e ce lo infilo ugualmente. Anche perché, diciamola tutta: gli Shame sono la band più punk del nuovo giro “post” inglese: quella scena di band giovani (o quasi), che da un paio d’anni a questa parte sta portando in classifica i suoni spigolosi e le ritmiche incalzanti che più di una quarantina di anni fa avevano come numi tutelari Gang Of Four, Magazine e Fall (solo per citare alcuni nomi). Ecco gli Shame, che nel loro esordio “Songs Of Praise” sembravano molto più vicini alle atmosfere cupe e gelide dei Joy Division e dei Bauhaus, con questo nuovo disco hanno affilato maggiormente le chitarre e reso meno cavernoso il timbro vocale, per darsi a una sorta di funk-punk rumoroso e schizzoide, più violento che decadente. “Drunk Tank Pink” è un album strabiliante, con una tensione ritmica crescente e un approccio talmente diretto, che penseresti che questa musica l’abbiano inventata questi 5 ragazzini di South London. A mio modesto parere sono il gruppo più interessante di questa nuova nidiata e diciamo che il loro sesto posto in questa classifica vale anche per i LICE (altra band pazzesca, autrice di un esordio all’insegna del post-punk più tecnico e quasi progressivo) e per Dry Cleaning e Squid.

Bandcamp / Recensione

07) RADIO DAYS – RAVE ON (SCREAMING APPEL RECORDS/AMMONIA)

Poche storie: i Radio Days sono, senza alcun dubbio, la miglior band power-pop in circolazione. E se qualcuno osa pensare che questo giudizio sia dettato da una mera questione campanilistica, gli consiglio di analizzare a fondo i circa 15 anni di onorata carriera di Dario, Mattia e Paco. In questi tre lustri i Radio Days non ha mai sbagliato un colpo e si sono guadagnati i galloni sul campo. Ogni nuovo disco è un centro perfetto e contiene una cascata di inni pop ruggenti e irresistibili, che ti aprono in due il cuore con la precisione di un grissino svizzero. Anche questo “Rave On”, dopo lo splendido “Back In The Day” contiene una hit dopo l’altra. Arpeggi di chitarra luccicanti, armonie insuperabili e melodie clamorose sono gli ingredienti principali di un disco che, se ci fosse una po’ di giustizia a questo mondo, sarebbe in tutte le classifiche dell’anno. Nessuno in Italia suona come loro. Ma sono in pochi, anche fuori dai nostri confini, ad avere la loro stoffa e un bagaglio così nutrito di canzoni ben scritte e suonate. Prendete “Not To Blame”: se fosse un pezzo degli Weezer sarebbe un successo planetario.

08) CHUBBY & THE GANG – THE MUTT’S NUTS (PARTISAN RECORDS)


Dopo un esordio fulminante come “Speed Kills”, già disco dell’anno in questa stessa classifica pubblicata dodici mesi fa su Tomorrow Hit Today, i Chubby & The Gang battono il ferro finché è caldo e sfornano, in pochissimo tempo, un seguito altrettanto dirompente. Certo, rispetto al disco precedente manca l’effetto sorpresa e questa volta l’LP perde qualche posizione, ma si piazza comunque fra le 10 uscite punk più interessanti del 2021. Ancora una volta gli ingredienti sono glam, pub rock, oi!, rock’n’roll grassoccio, hc e punk, appunto, spremuti in un’unica pinta ghiacciata e carica di schiuma. Al netto di qualche “ballata” in più, “The Mutt’s Nuts” resta una raccolta di anthem da cantare in coro ubriachi fradici. Un disco che dimostra come la scena londinese, di cui fanno parte anche i già citati Chisel, stia vivendo un vero e proprio momento magico. Se aggiungiamo poi la messe di gruppi post-punk alla Shame di cui abbiamo parlato poco fa (anche questi provenienti da varie parti della capitale inglese) bisogna ammettere che, dopo qualche anno di assestamento, la cara vecchia Londra è tornata a dettare legge in materia di musica alternativa.

Bandcamp / Recensione

09) AMYL AND THE SNIFFERS – COMFORT TO ME (ROUGH TRADE)

Se avessi dovuto stilare la classifica per la peggior copertina dell’anno, probabilmente avrei spedito “Comfort To Me” di Amyl And The Sniffers direttamente al primo posto. Ma fortunatamente quello che conta, in questo caso, è solo la musica e il secondo album del gruppo australiano è uno dei dischi punk più importanti dell’anno. Forse, rispetto ai primi singoli e all’esordio omonimo del 2019, “Comfort To Me” è venuto fuori meno diretto e più introspettivo. E la sua bellezza emerge piano piano, un ascolto dopo l’altro. La furia degli inizi si è leggermente stemperata e in questo disco sembra quasi che Amyl And The Sniffers si siano fatti travolgere dalla nuova ondata post-punk che sta imperversando un po’ ovunque. I suoni sono più spigolosi e taglienti, le melodie aspre e appuntite e anche il ritmo è meno caotico e più geometrico. Detto questo “Comfort To Me” mantiene immutato l’approccio abrasivo che ci ha fatto subito innamorare di questa banda di giovani delinquenti. E Amyl si conferma una delle migliori frontwoman degli ultimi 10 anni.

Bandcamp / Recensione

10) OI BOYS – OI BOYS (DISQUES DE LA FACE CACHÉE ECC)

La scena punk francese è sempre stata molto viva e originale, con una tendenza piuttosto spiccata alla sperimentazione. Un tratto distintivo che non riguarda solo le band storiche come i Métal Urbain, ma anche le nuove leve. Per esempio gli Oi Boys – un’oscura formazione di Metz, qui al proprio esordio su vinile – che fanno parte di quel filone particolarissimo di giovani gruppi che mescolano in modo eccellente e spericolato oi!, post punk e tematiche anarchiche, con testi cantati in francese. Un mix micidiale tra suoni sintetici alla Joy Division, cori alla Sham 69 e coscienza politica crassiana, che riesce a portare una ventata di aria fresca in un genere ormai storicizzato come il punk. E se, sulla carta, questi tre elementi appaiono assolutamente inconciliabili, il risultato finale è invece strabiliante. Il punto di riferimento di band come Condor, Syndrome 81, Défonce, Bromure e Traitre è il secondo e sottovalutatissimo album dei Blitz, “Second Empire Justice” del 1983: un disco post-punk inciso da un gruppo di skinhead. Questo primo lp degli Oi Boys è il degno erede di tanta bellezza. Batteria elettronica, atmosfere glaciali e incedere epico: il tutto suonato in modo grezzo e minimale. Come se i Nabat incidessero “Siberia” dei Diaframma.

Bandcamp

11) RUDIMENTARY PENI – GREAT WAR (SEALED RECORDS)

Questo disco dei Rudimentary Peni, storica band anarcho-punk inglese fondata nel 1980, è stato scritto e registrato una decina di anni fa, ma vede la luce solo adesso grazie alla Sealed Records, sottoetichetta de La Vida ES Un Mus. Il motore della band è, da sempre, il cantante e chitarrista Nick Blinko, autore anche delle grafiche minuziose, inquietanti e al limite della sociopatia, che impreziosiscono ogni LP.“Great War”, quarto album della band (che come avrete intuito non è mai stata molto prolifica), è un disco di death rock sporco e rumoroso, con chitarre gracchianti e al limite della cacofonia. Una litania di suoni scheletrici e malandati, che nella sua immediatezza riesce a entrarti nelle viscere come un amarissimo veleno. Le canzoni sembrano la colonna sonora di una guerra cupa e stracciona, con mitragliate soniche di pochi minuti, dai titoli emblematici come “Anthem for a doomed youth” e “Mental cases”. Se cercate le radici di gente malata come i D.D. Death (il loro album omonimo uscito per Goodbay Boozy non è entrato nella classifica dell’anno scorso per pochissimo) recuperate l’intera discografia dei Rudimentary Peni, che sta per essere ristampata integralmente.

Bandcamp

12) GOLPE – LA COLPA È SOLO TUA (SORRY STATE)

Anche se Golpe sembra in tutto e per tutto il nome di una band, si tratta del progetto solista del milanese Tadzio Pederzolli. “La Colpa È Solo Tua” è un album dai suoni violentissimi e lo-fi, che – anche in alcuni richiami espliciti come il motto “Chaos, non musica” – si rifà ai Wretched e all’hardcore anni ’80 italiano più veloce e corrosivo. Testi diretti e urlati, sommersi da una chitarra esplosiva e fuori controllo, rappresentano l’ossatura dei dieci brani dell’album. Una manciata di canzoni che raramente superano il minuto e mezzo di durata e che ti travolgono con il loro senso di inquietudine impetuoso e aggressivo. “La Colpa È Solo Tua”, con la sua grafica bicolore semplice ed efficace, in puro stile DIY, sembra quasi un concept sulla violenza della società contemporanea: un disco politico nel senso più vero del termine, in cui l’hardcore si libera da qualsiasi tentazione melodica ed esplode con il fragore di una molotov.

13) NOFX – SINGLE ALBUM (FAT WREACK CHORD)

Il peggiore lp dei NOFX merita comunque di finire nella classifica dei 20 migliori dischi punk dell’anno, anche se resta decisamente lontano dai primi 10 posti. Quando ho sentito “Single Album” per la prima volta ho avuto quasi uno choc, perché mi sono reso conto che anche Fat Mike e soci, come tanti miei eroi degli anni Novanta, erano probabilmente arrivati al capolinea. D’altra parte era fisiologico che dopo quasi 40 anni di carriera le droghe, i soldi e la pandemia, questi 4 punk ultracinquantenni con la cresta e i pantaloni bracaloni iniziassero a tirare il fiato. Qualche timido segnale di cedimento lo avevo già avvertito con “Coaster” nel 2009, ma poi i due dischi successivi mi avevano fatto cambiare idea. Adesso questo nuovo album, fatto per una buona metà di scarti recuperati qui e là, potrebbe essere la pietra tombale sulla storia di una delle più grandi punk band americane di tutti i tempi. Naturalmente “Single Album” non è tutto da buttare, altrimenti non sarebbe finito in questo elenco. Cinque delle 10 canzoni in scaletta sono dei piccoli gioielli e, in generale, i testi di questo disco sono tra i migliori di sempre scritti da Fat Mike. Quello che non va, spesso, è la musica: più articolata, ma anche più anonima rispetto al passato. Le melodie faticano a entrarti in testa e la sensazione è quella di essere di fronte a un disco messo insieme con poche idee e molto mestiere.

LEGGI ANCHE: GUIDA ALLA DISCOGRAFIA DEI NOFX

14) POISON RUÏN – THE FIRST LP (URGE RECORDS)

Le uniche notizie che ho dei Poison Ruïn sono che vengono da Philadelphia e che hanno esordito con due cassette, raccolte poi in questo primo lp, assai difficile da reperire. Per il resto brancolo nel buio. A essere sinceri, però, non credo sia necessario conoscere vita, morte e miracoli di una band per rendersi conto del suo valore. Soprattutto se il risultato è un disco come questo: carico di angoscia e atmosfere darkeggianti, in bilico tra post-punk e death rock di scuola losangelina. Canzoni più classiche come il rock’n’roll gotico di “Fog OF War”, si alternano a esperimenti arditi e angoscianti come “Sacrosanct”. I Poison Ruïn sono una band difficile da incasellare e, se fossimo all’inizio degli anni 80, non avrebbero sfigurato né sul catalogo della Frontier, né su quello della SST. Questo è punk totalmente irregolare, musica primitiva dai suoi storti e intrisa di malinconia e teatralità.

Bandcamp

15) QUICKSAND – DISTANT POPULATIONS (EPITAPH)

Non sono mai stato un fan sfegatato dei Quicksand e questo nuovo album mi ha colpito decisamente meno di quanto abbia fatto con buona parte della comunità hardcore. Già perché “Distant Populations” viene citato un po’ ovunque come uno dei dischi “underground” dell’anno. E il fatto che io lo inserisca “solo” in quindicesima posizione, forse, potrebbe far storcere il naso a qualcuno. Non so cosa dirvi: per me il nuovo lavoro dei Quicksand resta un buon disco, con qualche canzone piuttosto azzeccata (vedi “Colossus”), ma con un approccio un po’ datato e una produzione troppo curata. Il suono è bello granitico e i cori sono messi al posto giusto. Ma questo crossover anni ’90, figlio del post-hc, con qualche sprazzo di elettronica, mi fa lo stesso effetto di un dolce dall’aspetto bellissimo, ma dal ripieno troppo cotto. Detto ciò “Distant Population” resta un album assolutamente interessante e sopra la media, rispetto a tanti altri dischi pubblicati da vecchie glorie del punk-hc in cerca di riscatto. D’altra parte Walter Schreifels e soci non hanno bisogno di dimostrare quanto valgano: il loro percorso artistico parla da solo.

Bandcamp / Recensione

16) QLOWSKI – QUALE FUTURO (MEAPLE DEATH RECORDS)

“Quale futuro” dei Qlowski è un album dalla radici “meticce”, a metà strada tra Londra e Bologna, com’è d’altra parte la Maple Death Records che lo pubblica. La cornice musicale è quella del post-punk inglese, ma con una vena pop piuttosto spiccata e divagazioni kraut, synth pop, new wave e garage che ne fanno un lp assolutamente unico nel suo genere. Le voci di Michele Tellarini e Cecilia Corapi si rincorrono lungo cascate di suoni liquidi, a volte più puliti, altre più sporchi. In alcuni momenti i Qlowski mi ricordano i primi dischi pubblicati dalla Dirtnap Records, come gli esordi di Jeffie Genetic And His Clones e dei The Minds, anche se la band italo-inglese ha una maggiore propensione alla sperimentazione, rispetto ai due gruppi in questione (vedi un brano come “The Wanderer”). “Folk Song” e “To Be True” sono due pezzi con un gusto melodico unico, che da soli valgono l’album. Ma è anche l’estetica anni Settanta uno dei punti forti di “Quale futuro”: non a caso uno dei pezzi si chiama “Lotta Continua” mentre “Interlude (2/11/1975)” cita la data di morte di Pasolini. L’inserto del vinile, infine, è un splendida fanzine di 25 pagine, che alterna testi, fotografie e collage.

Bandcamp

17) CEMENTO – KILLING LIFE (IRON LUNGS RECORDS)

A dispetto del nome, i Cemento vengono da Los Angeles e a giugno 2021 hanno pubblicato il loro esordio su cassetta per la Iron Lungs Records di Seattle. “Killing Life” è un disco cupo e spietato di dark punk, una colonna sonora perfetta per questo secondo anno pandemico appena concluso. Il suono metropolitano della band è una nebulosa dentro la quale convergono post-punk e hardcore, melodie malinconiche e suoni sporchi di fuliggine. “Coming Down”, posta a metà della scaletta, è una sorta di manifesto dell’album, con i suoi ritmi forsennati e la voce sommersa dalla chitarra. “Killing Life” è un disco veloce e immediato, composto da otto pezzi scarni, che solo in un paio di casi arrivano ai tre minuti di durata. Spero che prima o poi qualcuno decida di stampare su cd o vinile questa preziosa cassetta, che dimostra come la scena punk underground di Los Angeles sia sempre molto viva e piena di giovani band poco inclini a parlare di spiagge e partite a beach volley.

Bandcamp

18) BARMUDAS – EVERY DAY IS SATURDAY NIGHT (AREA PIRATA)

La scena junkshop glam italiana è più viva che mai e il merito è senza dubbio dei Giuda, che una dozzina di anni fa si sono messi a suonare, con attitudine e radici punk, un genere dimenticato e mai realmente considerato nel nostro Paese. Ora che il gruppo romano si è leggermente distaccato dal suono classico alla Bay City Rollers/Sweet che aveva caratterizzato i primi due dischi e sta cercando con ottimi risultati di sviluppare maggiormente la propria identità musicale ci sono altre band italiane che guardano con cieca fedeltà alle radici del rock britannico della prima metà degli anni Settanta. I fiorentini Barmudas si erano già messi in mostra tre anni fa con un ottimo singolo uscito per Area Pirata e adesso sfornano, sempre per la label toscana, il loro primo LP. “Every day is saturday night” è il titolo programmatico di questa raccolta di dieci brani divertenti e tutti da ballare. Un jukebox programmato sul 1974, in cui i temi principali restano le bevute in compagnia degli amici e le serate passate a fare casino (che poi sono fondamentalmente la stessa cosa). Un album divertente dalla prima all’ultima nota.

Bandcamp

19) KOMET – KOMET (ONE CHORD WONDER)

Come mi è già capitato di dire poco più sopra, la classifica di quest’anno, per una ragione o per l’altra, comprende una buona dose di album italiani. Non credo si tratti semplicemente di una scelta figlia del mio provincialismo: o almeno non solo. Il fatto è che, parlando di “punk”, sono tante le nuove band di casa nostra che hanno davvero poco da invidiare a quelle straniere. Prendete i Komet, un gruppo nato quasi per gioco tra gente che, pur bazzicando quella scena, suona cose piuttosto diverse (dal grunge all’hard rock). Ecco, un album così istintivo, immediato e delizioso è davvero difficile da trovare ascoltando le tonnellate di band che nascono come funghi tra Inghilterra e Stati Uniti. Qui, al di là delle radici punk, si parla soprattutto di power-pop, anche se piuttosto irrobustito, e di alternative, con una vena di malinconia, che fa da sfondo al tutto. Rock di provincia suonato con naturalezza e per il semplice gusto di divertirsi. Uno degli apici del catalogo One Chord Wonder insieme agli ottimi Hakan.

Bandcamp

20) COCONUT PLANTERS – UPSET HOPES (FLAMIGO RECORDS)

Vi ricordate l’hardcore melodico californiano e svedese degli anni anni ’90? Non quello che è diventato oggi, con tutte quelle band di quaranta-cinquantenni che si trascinano da oltre 5 lustri tentando – spesso senza riuscirci – di evolvere il proprio sound verso qualcosa di ignoto. Intendo proprio i Millencolin del ’96, i Lag Wagon del ’93 e i Satanic Surfers del ’97 (ok, ho messo le date un po’ a caso). Ecco quella roba lì oggi la sanno fare bene davvero pochissime band e una di queste sono gli alessandrini – sì, lo so, un altro gruppo italiano … – Coconut Planters. Il loro primo LP targato Flamingo Records, che già aveva pubblicato un ottimo ep di esordio, suona niente più e niente meno come il caro vecchio hc melodico degli anni ’90. Quattro quarti furioso, chitarre aperte e grosse, palm muting, cori a manetta, stacchetti e basso sferragliante. “Upset Hopes” è un omaggio spontaneo allo skate core di quando molti di noi erano ragazzini e, aspetto più importante di tutti, ha i pezzi. Nel senso che il disco non suona come un magma indistinto di canzoni ineccepibili, ma anonime: come i migliori album del genere contiene parecchi brani che ti si stampano subito in testa e che potresti fischiettare mentre ti fai la barba. Una gran bella scoperta, insomma. Ottimo anche l’artwork di Marco Divertimenti.

Bandcamp

In conclusione:

  1. The Muslims – Fuck These Fuckin Fascists
  2. The Chisel – Retaliation
  3. The Dirtiest – Sovranista
  4. Turnstile – Glow On
  5. Descendents – 9th & Walnut
  6. Shame – Drunk Tank Pink
  7. Radio Days – Rave On
  8. Chubby & The Gang – The Mutt’s Nuts
  9. Amyl And The Sniffers – Comfort To Me
  10. Oi Boys – Oi Boys
  11. Rudimentary Peni – Great War
  12. Golpe – La Colpa È Solo Tua
  13. Nofx – Single Album
  14. Poison Ruin – The First LP
  15. Quicksand – Distant Populations
  16. Qlowski – Quale Futuro
  17. Cemento – Killing Life
  18. Barmudas – Every Day Is Saturday Night
  19. Komet – Komet
  20. Coconut Planters – Upset Hopes

LEGGI ANCHE

Redazione

SUPPORTA TOMORROW HIT TODAY!!! Se il blog ti è piaciuto, ti invitiamo a supportarci! Come? Compra dischi dal nostro negozio Flamingo Records o sostieni le band che produciamo acquistando la loro musica su http://taxidriverstore.bandcamp.com

Lascia un commento

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: