Pearl Jam, guida essenziale ai migliori live album

A cura di Francesco Traverso

Dopo aver letto la guida essenziale alla discografia dei Pearl Jam ecco il momento di spulciare tra la montagna di pubblicazioni live della band di Seattle. A seguito degli innumerevoli bootleg non ufficiali comparsi negli anni 90, oggetto di culto tra i collezionisti, dal 2000 in poi i Pearl Jam hanno pubblicato praticamente tutti i loro concerti in via ufficiale. Nel 2000 furono distribuiti nei negozi ben 72 official bootleg, mentre per il tour del 2003 solo alcune date selezionate e successivamente i bootleg sono sempre stati acquistabili solo dal sito del gruppo (in formato cd e digitale). Una buona cernita di questa mastodontica produzione è disponibile anche su Spotify.

A queste inifinita serie di live album, si è aggiunta negli ultimi anni la serie Vault con cui sono stati ripescati alcuni concerti del primo decennio rendendo il catalogo dal vivo del quintetto ancor più ricco e complicato da decifrare. Rimangono comunque alcuni show non ancora usciti ufficialmente, su tutti i due celebrativi che la band a tenuto a settembre del 2011 in Wisconsin per festeggiare i venti anni di attività. Di seguito, le dieci release più significative (in ordine cronologico) per poter comprendere la forza dei Pearl Jam dal vivo.

1. MTV Unplugged (1992)

Registrato presso gli studi di MTV a New York, il 16 marzo 1992, l’ MTV Unplugged è stato pubblicato ufficialmente solo nel 2020, ma era già da decenni nelle case di quasi tutti i fan in versione “pirata”, diffusissima all’epoca. I Pearl Jam si presentano all’appuntamento dopo un lungo tour degli Stati Uniti (duranto praticamente tutto il 1991) e con il primo tour europeo appena concluso: la strada per il successo è appena cominciata. Tutto questo si vede (recuperate anche il video dell’esibizione) e si sente. Vedder con quella faccia da ragazzino ancora un po’ impacciato canta ogni parola come fosse l’ultima della sua vita, la band riesce a sprigionare un’energia che è raro vedere in uno show televisivo (parole dello stesso Eddie a fine concerto), tanto che il brano simbolo del disco è una versione infuocata di Porch, ad oggi una delle migliori mai registrate dal gruppo. La scaletta dell’album è leggermente diversa da quella originale, ma questo rimane il primo live che ha svelato al mondo le enormi potenzialità dal vivo dei cinque di Seattle.

2. Dissident (Live In Atlanta) (1994)

Altro classico bootleg degli anni 90, registrato al Fox Theatre di Atlanta, questo live venne pubblicato ufficialmente anche in versione triplo cd a supporto del singolo”Dissident”, tratto dal secondo disco “Vs”. Dalla release ufficiale vennero però tagliate “Satan’s Bed” e “Whipping” che troveremo in “Vitalogy” e la strepitosa cover di “Sonic Reducer” dei Dead Boys, per cui meglio procurarsi il bootleg non ufficiale! Il concerto fotografa la band all’apice del successo, un po’ consumata da 3 anni di tour e agli sgoccioli con Dave Abruzzese dietro alle pelli. I cinque sono ormai una macchina da palco, Eddie ha preso coscienza del proprio carisma di frontman, ma si respira una forte tensione per tutta la durata del live. Il castello di fama e gloria del grunge sta per crollare, è il 3 aprile 1994, due giorni dopo verrà annunciato il suicidio di Kurt Cobain che poche settimane prima aveva fallito il primo tentativo a Roma. Mette i brividi sentire Eddie dire: “Questa canzone è per Kurt” prima che parta “Go”. Se volete sentire come suonava un concerto dei Pearl Jam dei primi anni 90, questo è quello giusto. Forse il live più iconico della band.

3. Live In Berlin (1996)

Sono passati solo due anni da Atlanta, ma sembra cambiato il mondo. Il grunge è morto insieme a Cobain, i Pearl Jam sono sopravvissuti grazie al cambio di batterista (il vecchio amico Jack Irons al posto di Dave Abruzzese), grazie ad un disco ostile come “Vitalogy”, grazie ad alcune scelte coraggiose, e successivamente in qualche modo rinnegate, come quella di non girare più videoclip e di organizzare un tour, che si rivelò disastroso, senza il supporto del colosso dei biglietti Ticketmaster. Passata la burrasca, la band trova maturità e consapevolezza e pubblica “No Code”, album promosso con un bellissimo tour europeo che toccò l’Italia a Milano e Roma. Come per Atlanta, anche il live del 3 novembre 1996 a Berlino, venne trasmesso in diretta via radio in tutta Europa (in Italia toccò a radio 2). La serata è di quelle magiche, il live è introdotto dal discorso di Kennedy in cui viene pronunciata la famosa frase “io sono un berlinese”, poi tocca a “Long Road” dall’Ep collaborativo con Neil Young e ad una serie di classici dai primi quattro album suonati con Irons alla batteria. Chicca finale la cover dei The High Numbers “Leaving Here”. Essendo una trasmissione radiofonica anche questo bootleg è finito nelle case di molti fan attraverso uscite “pirata” dell’epoca e, al momento, non è mai stato pubblicato ufficialmente (l’unico di questa lista).

4. Live In Milan (2000)

Per tanti della mia generazione, il 22 giugno del 2000, ha rappresentato uno dei concerti della vita (per me sicuramente IL concerto) e come dice Eddie stesso durante lo spettacolo : “questo è il nostro miglior show a Milano” (a tutt’oggi, aggiungo io). E’ di nuovo cambiato tanto, dentro e fuori dai Pearl Jam. Matt Cameron ha preso il posto di Irons alla batteria, sono usciti “Yield” e “Binaural” e la band ha iniziato a virare verso un suono più classico, quello che poi ne contraddistinguerà il resto della carriera. Il mondo è entrato nel nuovo millennio, i fatti del G8 e le Torri Gemelle sono dietro l’angolo. Purtoppo è dietro l’angolo anche la tragedia di Roskilde.

Quello che rende questo live speciale è il rapporto che si instaura con il pubblico fin dalle prime battutte, il tempo di far sfumare l’opener “Of The Girl” e un boato accoglie le prime note di “Corduroy”. Quella sera band e forum di Assago sono stati tutt’uno e per fortuna abbiamo questo disco a ricordarcelo. Memorabili le versioni di “Daughter”, “Nothingman” e “Garden”. Un momento di grazia, in cui i Pearl Jam erano in equilibrio tra l’intensità emotiva della gioventù e la consapevolezza dell’età adulta.

5. Live in Las Vegas (2000)

Quando finalmente le acque sembravano calme, arriva la mazzata più grossa. Il 20 giugno del 2000, durante l’esibizione al festival Roskilde, in Danimarca, muoiono, schiacciati tra la folla, nove ragazzi. La leg europea del gruppo viene interrotta e la band torna negli USA. Il futuro è incerto, ma il 3 agosto in un’atmosfera surreale parte la prima leg del tour americano che sarà ricordato come uno dei migliori di sempre del gruppo.

Il 22 ottobre il tour fa tappa a Las Vegas per lo show che celebra i primi dieci anni di attività ed ecco che appare per la prima volta in scaletta “Crown Of Thorns” dei Mother Love Bone, band dalle cui ceneri, sono nati i Pearl Jam stessi. A questa si associano una versione magnifica del classico “Even Flow”, introdotta da alcuni aneddoti sulla nascita dalla band raccontati da Vedder e la cover di “Can’t Help Falling in Love” di Elvis Presley.

Ogni sera di questo tour i Pearl Jam regalano sorprese sotto forma di cover e rarità e il tutto verrà immortalato nel dvd “Touring Band 2000”, altra uscita imperdibile dell’epoca.

6. Live In Mansfield (2003)

Il giorno 11 luglio del 2003 i Pearl Jam suonano la terza di tre date in questa cittadina nei pressi di Boston e sorprendono tutti con un set acustico suonato prima della band di apertura (i Buzzcocks). E’ un po’ l’antipasto del Benaroya di cui parleremo dopo e Vedder si presenta con un ironico: “Good morning”. I 57 minuti acustici sono memorabili, vengono suonate rarità come “All Those Yesterdays” e “All Or None” e segue uno dei set elettrici migliori di questo tour, considerato insieme a quello del 2000, come il migliore della band. Fioccano le cover, tra cui la riuscitissima “Fortunate Son” dei Creedence Clearwater Revival e c’è spazio anche per una delle hit nascoste della band, ovvero “Breath”, presente in origine nella colonna sonora di “Singles”. Questo, con quello del 2005, è il tour più politico dei Pearl Jam che suonano anche “Know Your Rights” dei Clash ed è anche il primo con Boom Gaspar alle tastiere.

7. Live At Benaroya Hall (2003)

Dopo un tour trionfale e ricco di momenti memorabili, la band chiude l’anno in bellezza con una versione più matura dell’unplugged. Non siamo più in uno studio televisivo, ma siamo ad uno show di beneficienza per la Youth Care, una situazione che ricorda il Bridge School Benefit, organizzato da Neil Young ogni anno, e a cui i Pearl Jam hanno più volte partecipato. Il gruppo, libero da ogni impegno promozionale e non dovendo più dimostrare nulla a nessuno, regala due ore che entrano nella storia suonando cover inaspettate come “25 Minutes To Go” di Johnny Cash o perle del proprio repertorio com “Around The Bend”, “Low Light” e “Fatal”. Siamo nel giorno del tredicesimo anniversario del primo concerto e sta per arrivare una nuova svolta.

8. Live in Marseille (2006)

Il tour del 2006 è l’ultimo lungo tour che toccherà i palazzetti di tutta Europa, con ben cinque date italiane (la cui summa uscirà nel DVD “Immagine In Cornice”), successivamente il vecchio continente verrà per lo più toccato per brevi tour tra festival e stadi . Cambia la politica della band: meno date, ma in posti più grossi. Ci saranno diverse eccezioni, ma il canovaccio rimarrà questo negli anni a venire. Nel 2006 invece i Pearl Jam girano ancora in lungo e in largo, accompagnati da schiere di fedelissimi fan che partecipano spesso a più di una data. Il disco da promuovere è l’omonimo, detto anche “Avocado”, il primo flop discografico, eppure i cinque (+ uno) sono ancora una garanzia dal vivo. I brani vengono eseguiti con un piglio più punk e con qualche bpm in più e questo dà origine a concerti aggressivi e tirati come forse non se ne vedevano dagli anni 90. Su tutte, questa data a Marsiglia vede il gruppo suonare con un tiro strepitoso e basta sentire al versione di “Porch” per rendersene conto.

9. Live in Leeds (2014)

Come detto dal 2006 in poi, i Pearl Jam si sono sostanzialmente trasformati in una rock band da stadio e questo ha sicuramente tolto un po’ di magia ai concerti. Va detto però, che la qualità dei live non è mai calata, a parte una piccola parentesi a cavallo del 2010 in cui Vedder appariva un po’ difficoltà e anche in questi ultimi anni sono comunque molti i concerti che hanno reso felici i fan e che meriterebbero di essere citati. Alcuni, come questa serata a Leeds, non a caso siamo all’interno di un’arena, si sono trasformati in vere proprie maratone da oltre tre ore, un po’ sulla scia dei live di Bruce Springsteen. Come si può sentire la band è perfettamente in grado di reggere botta per tutto questo tempo e continua regalare soprese al proprio pubblico sera dopo sera come la bizzarra b-side “Don’t Gimme No Lip” canatata da Stone Gossard o la struggente “Tremor Christ” risalente ai tempi di Vitalogy.

10. Live In Seattle (2018)

Mi piace concludere questa selezione con uno dei ultimi concerti della band; i motivi sono diversi: non ho ancora citato serate suonate a Seattle, casa madre e da sempre sede di grandi performance; in più se volete farvi un’idea di cosa sono i Pearl Jam oggi dal vivo, questa è un’ottima testimonianza sia dei lati positivi (rimangono in grado di confrontarsi con il loro glorioso passato), che di quelli negativi (l’eccessivo ammiccamento a soluzioni da stadio, come i coretti che rovinano il pathos di un brano come “Corduroy”). Infine, è uno degli ultimi concerti tenuti dal gurppo prima dello stop forzato, causato dall’epidemia di Coronavirus, quindi è un po’ il punto da cui ripartire per il futuro.

Le due serate, passate alla storia come Home Shows, al Safeco Field, sono state entrambe un trionfo, concerti di tre ore ricchi di sorprese, ospitate (Kim Thaiyl dei Soundgarden, Mark Arm e Steve Turner dei Mudhoney) e un sentito omaggio all’amico Chris Cornell con il brano “Missing”, pubblicato nell’edizione deluxe della colonna sonora del film “Singles” di Cameron Crowe.

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