Baroness: I Dischi Da Avere
Hai visto i Baroness in qualche festival e ti sono piaciuti? Non riesci a distinguere i loro album e vuoi un aiuto? Vuoi sapere quale è il migliore disco della band? Dopo aver letto questo articolo saprai come orientarti in una discografia particolarmente colorata.
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Introduzione
Baroness si formano nel 2003 a Savannah, Georgia. La formazione ruota attorno al chitarrista e cantante John Dyer Baizley anche curatore degli splendidi artwork. Nel 2013 durante il tour europeo ebbero un serio incidente con il tourbus e due quarti della band abbandonò mentre nel 2017 lasciò il gruppo anche il chitarrista Pete Adams. Attualmente oltre a John troviamo Gina Gleason alla chitarra, Sebasthian Thomson alla batteria (ex Trans Am) e Nick Jost al basso. Il suono della band si può definire “sludge progressivo” o se volete essere meno specifici possono stare in un generico “alternative metal” con influenze psichedeliche. Gli esordi più duri sono quelli che hanno cementato l’amore del pubblico underground mentre i successivi sviluppi hanno raccolto consensi più generici.
I dischi da avere
Il capolavoro indiscutibile e il loro best-seller è l’esordio “Red Album” (2007), un perfetto mix di sludge di scuola Savannah e strutture progressive articolate. Riff di scuola heavy metal si interfacciano con momenti introspettivi e svarioni psichedelici. “Red Album” è la più riuscita risposta ai primi lavori dei Mastodon, per cui se ti piacciono loro vai sul sicuro con questo disco. L’artwork di Baizley è ispirato all’Art Noveu e contribuirà a renderlo famoso anche come designer, lavorando anche per band come Torche, Black Tusk, Rwake, Skeletonwitch, Pig Destroyer, Kylesa, Vitamin X, Kvelertak. In “Red Album” non c’è una canzone brutta ma fra tutte svettano “Isak”, “Rays On Pinion”, “O’Appalachia”, “Wanderlust”. In una discografia del meglio del metal degli ultimi anni “Red Album” è fondamentale.
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Altri dischi consigliati
Purtroppo Baroness non sono più riusciti ad eguagliare la bellezza del “Red Album”. Molti speravano che quel disco sarebbe stato l’inizio di una carriera in crescita mentre per vari motivi rimarrà la vetta di una carriera comunque più che dignitosa. “Blue Record” (2009) è il secondo disco consigliato. Purtroppo rispetto al precedente paga lo scotto di una produzione peggiore (soprattutto la batteria sembra uscire da un’altra stanza) ma lo stile rimane grintoso e articolato, senza cali di tensione. “Jake Leg”, “The Sweetest Curse”, “A Horse Called Golgotha” sono le canzoni migliori del lotto. Chissà se in futuro un remix o un remaster metterà a posto il sound di un disco che avrebbe meritato sorte migliore.
“Yellow And Green” (2012) è il disco che la band stava promuovendo mentre è uscita di strada con il tour bus. E’ un lavoro che svela l’anima morbida di John: si mettono da parte le irruenze progressive e viene fuori maggiormente il lato melodico “alternative” (“March To The Sea”) e addirittura quello folk. Sebbene le canzoni non siano disprezzabili l’eccessiva lunghezza tarpa le ali di un disco che avrebbe meritato attenzioni maggiori in fase di songwriting. Ad uscirne peggio è la voce di Baizley che mostra qui tutti i suoi limiti. Rimane consigliato perché contiene alcune delle migliori canzoni scritte dalla band (“Little Things”, “Board Up The House”, “Cocainium”).
Se invece preferisci atmosfere più heavy devi rivolgerti alla raccolta dei primi due EP “First & Second” (2008). I due EP uscirono prima del Red Album (2004 e 2005) e mostrano una band ancora più aggressiva del Red Album, in una formazione che è rimasta nel cuore di molti fan della prima ora. Se conoscete solo gli “ultimi” Baroness vi stupirà la potenza di fuoco sprigionata in questi due EP.
Dischi per completisti e appassionati
Baroness non hanno mai fatto dischi brutti per cui la discografia può essere completata senza grossi problemi, fosse solo per gli artwork spettacolari. La musica si è via via addolcita negli anni ma proprio per questo ha mostrato una band viva e umana, consapevole di non essere perfetta ma che cura le proprie produzioni come fossero degli artigiani. Non hanno dei suoni enormi? Non c’è il miglior cantante della storia? Poco importa quando i dischi sono fatti con il cuore senza cercare il trend o la strada facile. Ecco perchè sia “Purple” (2015) e il primo con Gina “Gold & Grey” (2019) meritano attenzione. Non li consiglio come prime scelte ma ciò non vuol dire che siano brutti lavori, anzi.
La discografia si completa con una discreta serie di singoli, ep, split (quello con gli Unpersons vale lo sbattimento di trovarlo) e due live.